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Un'opera di Eleonora Siffredi - Fonte: Comune di Sanremo (IM) |
Così, in una porzione del piano superiore dell’edificio che ospita la severa raccolta di quadri e libri del sacerdote Stefano Paolo Rambaldi (che fu in rapporti epistolari con Pellico, Gioberti, D’Azeglio e Manzoni, fra le altre cose), ecco questa mostra che si presenta con la leggerezza e l’impalpabilità delle nuvole.
Sono quadri, quelli che vediamo in questa esposizione?
Diremmo di sì, per lo meno in quell’accezione aperta e un po’ turbata che ci fa ritenere quadri i polimaterici di Prampolini o gli assemblages di Rauschenberg.
Anzi, Siffredi esce assai poco dalla bidimensionalità, e comunque chiede uno sguardo unidirezionale, quello appunto della pittura.
Insomma, a queste opere non ci puoi girare attorno, come invece si può fare con le sculture o con gli edifici.
O, volendo, puoi farlo, come per ogni cosa, ci puoi anche passeggiare davanti e di dietro, guardarle dall’alto e dal basso: “qui oggetto è l’aria (materia anch’essa) che vi passa attraverso”, come scrisse Sandro Bajini.
Osservi queste trine, questi ricami, queste cuciture: sono cose raccolte qui e là, materiali di scarto, oggetti deteriorati dal tempo – e strappati al tempo.
Sembrano i resti fossili dei pensieri inconsci, le tracce di un sogno.
Siffredi dichiara che “ci vuole sempre un particolare su cui lavorare aggiungendo o togliendo, bruciando o cucendo”.
Il risultato è un apparente disordine, composto da formelle, pezzi di cartone, vecchi tessuti lacerati, che si trasforma in una sorta di architettura fragile e incantata.
Questi quadri hanno la magica bellezza delle ragnatele.
E se dovessimo indicarne un padre spirituale, saremmo prevedibili e ovvi, ma il nome che ci viene in mente è quello di Kurt Schwitters.
Naturalmente altri rapporti si possono scovare, altri predecessori o compagni di strada si possono indicare.
Così, quasi per gioco, un po’ avventatamente, possiamo provare a stabilire qualche connessione.
La poetica siffrediana trova un antecedente nei procedimenti di Burri, certo, che nei suoi sacchi strappati e ricuciti, nelle sue plastiche trasformate dal fuoco, trova il modo di realizzare raffinati equilibri spaziali e cromatici.
Da un punto di vista puramente visivo certi esiti possono ricordare Gaudì: taluni particolari di Casa Calvet o del Tempio della Sagrada Familia, per esempio.
O ancora si possono trovare parentele con i montaggi di frammenti della realtà attuati da Tony Cragg e con i graffiti di Cy Twombly, con le pitture di Antoni Tàpies e con l’operare di Domenico Bianchi, dove può capitare che alcuni piccoli lavori diventino - con un procedimento da musicista - motivi su cui basare ulteriori rielaborazioni.
Il cerchio metallico di Cose perdute a noi ha ricordato Self portrait as Enzo and as Twig di Douglas Beasley.
Nella Siffredi è fondamentale questo continuo costruirsi e sfaldarsi, questo decadere e questo risorgere dalle ceneri.
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Ventimiglia (IM): Chiesa di San Francesco, part. |
Se andiamo a cercarci i primi lavori, talvolta ancora figurativi, dell’artista (una piccola grafica, un grande quadro con fiori) troveremo opere accurate, precise, meticolose. Eppure il segno è inconfondibile, si vede subito che la mano è la stessa - è lo stesso il pensiero che muove la mano, la capacità di rielaborazione, lo stile.
A Villa Luca è esposta una Composizione, datata in catalogo 2012 (ma la stessa opera, esposta, è indicata come Tappeto e datata 2013: le datazioni dei vari pezzi vanno prese cum grano salis, nella fluidità creativa della Siffredi, che lascia probabilmente germinare le opere con il tempo, prima nei suoi pensieri e poi nel loro farsi). Questo quadro è composto da sedici piccoli quadrati di carta, sedici tasselli, disposti l’uno accanto all’altro in quattro file.
Un ordine geometrico pacato, fermo, che dà a quella materia dilavata e decomposta una sorta di ritrovata purezza, di sommessa musicalità. Una semplicità assoluta, raggiunta come in una maturazione continua, così come cresce un albero o si leviga una roccia per l’azione del vento.
«È un lavoro lento. Io sono una persona lenta».
Marco Innocenti in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno VII, n° 1 (25), gennaio-marzo 2016
[Marco Innocenti è autore di diversi lavori, tra i quali: Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo
Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti,
immagini, De Ferrari, 2006]