Realdo - Fonte: Comune di Triora (IM) |
Fra tutti i fine d’anno attraversati ne ricordo come bellissimo uno solo.
Realdo.
Un gruppo di case abbracciate come un gregge attorno ad un campanile.
Un luogo salvato dalla distruzione del finto progresso.
Scelto da un gruppo numeroso di amici per fingere di lasciare il secolo ‘900 ed entrare timorosi con poca speranza nel nuovo millennio.
Finiti i logoranti abbracci e brindisi, alla notizia che fuori nevicava scappavo furtiva.
Fuori avrei compreso il linguaggio segreto del mondo vegetale.
Il paese da bello si era trasformato in un incanto da meraviglia.
Le strette stradine che portavano nel bosco poco distante non erano ancora state percorse da piedi umani.
Solo le orme di zampe leggere e la scia di una coda.
Una volpe.
La stradina diventava sentiero.
Senza case attorno gli occhi erano liberi di vagare e scrutare con attenzione.
Lasciati gli orti addormentati, dopo aver superato una cappella ed un ponte, potevo entrare invitata nella cattedrale bianca retta dai pilastri degli alberi che la neve colpita dalla luna rendeva magica.
La bellezza era estrema. Gli alberi spogli avevano abiti come mantelli regali ed una strana forza mi attirava costringendomi ad inoltrarmi per diventare parte di quel tutto.
Una comunione.
Ero entrata in unione con la grande Madre Natura.
Il silenzio totale, i riflettori di una luna piena che illuminavano a giorno.
I tonfi della neve non mi spaventavano: sentivo che tutti gli abitanti del bosco mi proteggevano.
Ero così felice che sentivo il desiderio di dover condividere con gli altri rimasti al chiuso il luogo della VERA FESTA.
Li ho odiati.
Chiassosi e irrispettosi di quel candore, stavano profanando un luogo sacro.
La mia liturgia era stata interrotta.
Erano contenti per quello spettacolo inatteso, ma non potevano lasciarsi affascinare da un incantesimo che con il loro chiasso avevano interrotto.
E come scrisse il poeta:
"Molti, la natura li disturba; i più non la vedono.
In lei io mi verso.
È la sola costanza, la sola fedeltà che conosco nell'incertezza di tutto".
Camillo Sbarbaro
Gris de lin