venerdì 11 aprile 2025

Da Vallecrosia ad un'oasi in Libia e ritorno

Vallecrosia (IM): la zona "Ponte"

a nonno Ibrahim,
per la sua amicizia e la sua saggezza,

a Silvano,
l'amico che nel momento più scuro mi ha spedito in Libia,

a Sandro l'idraulico,
con lui si riusciva a ridere anche nel deserto.


Prefazione
Ibrahim, i soldati, i tanti Mohamed, i jisiani (gli egiziani), Mimo, Sandro, i coreani, gli italiani ed i libici. Tante vite, tutte culture diversissime tra di loro che si trovano scaraventate in un unico luogo. E questo luogo non è, come si potrebbe pensare, una metropoli, ma più semplicemente e sorprendentemente un'oasi sperduta nel deserto libico.
Jalo è un paese di poche migliaia di abitanti, ed è il crogiolo in cui si trovano a convivere i protagonisti di "Ibrahim, i datteri, il pesto", una sorta di diario in cui Mac Fiorucci [di Vallecrosia] ci racconta la sua esperienza africana.
Jalo è in Libia, una nazione cui molti italiani guardano con particolare interesse e con sentimenti forti, fin da quando fu colonizzatta esattamente cento anni fa. E chi vi scrive è uno di questi, in quanto le sue due zie sono nate negli anni '20 del secolo scorso proprio a Tripoli.
Ma ciò che sorprende di più, leggendo le pagine scritte da Mac, è che i segni della colonizzazione italiana, terminata drammaticamente nel 1969 con la rivoluzione di Gheddafi, sono presenti nei ricordi degli anziani libici, ancor più che nei rari esempi di architettura coloniale. Quasi delle memorie fossili che Mac, dopo averle scoperte in mezzo alla sabbia del deserto, ci ripropone nel suo racconto.
È stupefacente leggere di come il rispetto dei soldati italiani nei confronti degli uomini e delle donne libiche e della loro cultura viene ricordato e tramandato ancora oggi. Esemplare è il ricordo dell'episodio in cui a Jalo i nostri militari consegnarono ai civili libici tutto quanto possibile alla vigilia della resa alle truppe inglesi nella seconda guerra mondiale. Non dimenticando però di svuotare nel deserto le damigiane di vino per non mettere a rischio i precetti religiosi della popolazione locale.
E altrettanto commovente è il ricordo della riconoscenza manifestata dai libici con il lancio dei datteri attraverso le finestre del carcere per sfamare i soldati italiani ormai prigionieri degli inglesi.
[...] E la solidarietà, che tra questi sentimenti è quello che emerge più prepotentemente dalla lettura di questo libro, è quella che ci può salvare. E che forse ha salvato anche Mac e molti altri.
Dr. Enrico Maria Ferrero
[...] Nella presentazione del mio "Scritti invano" del settembre 2009, ricordavo l'intenzione espressa agli amici di raccogliere in un libro i racconti di vita vissuta durante il mio soggiorno in Libia, dal luglio 1997 al dicembre 1999. Durante i recenti avvenimenti che hanno visto concludersi il regime dittatoriale di Gheddafi, più volte mi è stato chiesto: - Tu che ci sei stato, com'è?
Non è facile rispondere. Ho vissuto quei 2 anni e mezzo in un'oasi, lontano da Tripoli e Bengasi, ma in una realtà libica mia-mia, come dicono i libici, cioè al 100%. Sono passati da allora quasi 12 anni ma alcune cose fondamentali non sono cambiate. Penso che la Libia raccontata dai media, tv specialmente, risenta del ricorrente errore di raccontare mezze verità. Ricordo un insegnamento di mio padre: mezza verità è una balla intera. Una di queste mezze verità: la sollevazione popolare da Bengasi a tutta la Libia di popolazioni ridotte all'indigenza e in miseria dal regime. Per capire la balla chiedetevi se avete mai visto o saputo di libici che vendono tappeti o puliscono i parabrezza delle auto ai semafori dei nostri incroci. Non ce ne sono. Da questi aneddoti che racconto, forse emerge una Libia più reale. La recente rivoluzione ha spezzato la tirannia feroce e crudele contro ogni opposizione anche minima e contro il fanatismo religioso. Gli autori del recente sovvertimento sono trentenni e quarantenni, i ventenni e trentenni che ho conosciuto bene ai tempi del mio soggiorno. Temo che il fattore importante della rivolta sia stata non la protesta contro la miseria che in Libia non c'è, ma la frustrazione per l'inaccessibilità a beni di relativo lusso, che la ricchezza del paese consentirebbe e che il governo nega. Per specifica volontà del regime ai giovani di allora è stato impedito di apprendere una qualsiasi lingua straniera, sono stati educati a una concezione di vita parassitaria dipendente dalla distribuzione dei proventi del petrolio, senza una diffusa educazione allavoro. Ho qualche serio dubbio che in questi 11 anni possano aver maturato e profondamente acquisito i valori fondamentali della democrazia così come noi la intendiamo; inoltre l'inesorabilità del tempo avrà ridotto la presenza degli anziani privando quei giovani della loro importante saggezza. Spero di sbagliarmi, ma percepisco il divenire delle condizioni più favorevoli all'insorgere del fanatismo religioso.
[...] Fatta eccezione per Sandro l'idraulico, grande amico, dei personaggi italiani e della ditta per cui abbiamo lavorato non è stato riportato il nome. Per tutti loro e in particolare per il padrone e il capo-area, nutro la massima stima e riconoscenza. Nel 2001 Sandro venne a trovarmi a Vallecrosia. Di sua iniziativa si adoperò per riportarmi in Libia. Quando il suo progetto stava prendendo corpo, rimase vittima di un incidente stradale sulla strada nazionale per l'oasi di Kufra.
Come per il mio precedente "Scritti invano", questa mia raccolta di aneddoti libici certamente non è un'opera d'arte e, per un minimo di pudore che mi è rimasto, non oso mettere in vendita questa raccolta.
È un omaggio ai tanti sostenitori de "Il Ponte" [di Vallecrosia], che mi hanno permesso di realizzare il "Gruppo Sbarchi", le varie presentazioni di libri, anche di illustri scrittori e giornalisti, le mostre storiche dei documenti relativi al "Gruppo Sbarchi", le "Leggi Razziali" e tutte le altre iniziative realizzate.
[...] Il lavoro sarà sempre in Libia, ma non con i francesi. Partenza programmata. Alla vigilia ricevo la telefonata dalla segretaria della ditta che mi invita a non partire, è tutto rinviato. Nessuna spiegazione, rinviato sine die. La notte non dormo, penso che le garanzie di Silvano [Zanella] non siano state sufficienti. Quando vedi tutto nero, non c'è niente da fare. Il giorno dopo esco di casa, giro vagabondando tutto il giorno, così quando mi telefonano di partire la sera stessa per Roma, perché avrei così fatto il viaggio Roma-Djerba con il padrone, io non sono in casa. In ditta sono incazzati. Mi avessero detto la ragione del rinvio... Ci metto una pezza. La ditta modifica d'ufficio la data di partenza sul biglietto aereo.
Finalmente si parte. Treno Ventimiglia-Roma, partenza alle 22 e arrivo a Termini alle 7 del mattino. L'aereo per Djerba-Tunisi alle 2 del pomeriggio da Fiumicino.
In cuccetta non dormo, troppa emozione. Dopo 18 mesi di buio, forse un po' di luce.
A Genova la sosta è un po' lunga, a Spezia anche, in Toscana la velocità scende. A Pisa il ritardo è di quasi 3 ore, l'avvicinamento a Roma è sempre più lento con lunghe soste in aperta campagna. Poco prima delle 10 arriviamo a Civitavecchia, ennesima sosta lunga. Realizzo che la distanza da Civitavecchia a Fiumicino sia simile a quella da Roma. Sto per scendere ma il capotreno mi informa che il treno riparte e che gli hanno telefonicamente garantito l'ingresso a Termini. C'è stato un incidente; un locomotore ha tranciato un tratto della linea elettrica proprio sul passante che collega a Roma le linee nord e sud.
[...] Il poliziotto estrae dal cappotto una trasmittente e confabula qualcosa. Il pilota dell'aereo alza gli occhi verso la vetrata e fa segno che ormai... Irremovibile l'ufficiale fa segno al pilota di fermarsi. Rassegnato il pilota si leva la cuffia-radio e ordina qualcosa al secondo che gli siede a fianco.
- Vai, vai, presto! -  Mi ordina. Passo ben 3 controlli passaporti in un baleno, accompagnato dal coro "Ialla, Ialla" di tutti gli addetti. Nel frattempo è stata riappoggiata la scaletta al portellone vicino alla carlinga, un'hostess si affaccia: - Presto, presto. -
Salgo trafelato la scaletta, ho il tempo di voltarmi e salutare con un cenno della mano l'amico poliziotto, che risponde stringendo le sue mani, come la stretta di mano e poi con il pollice all'insù di ok.
- Il posto in ultima fila. -  Mi indica con tono severo.
Percorro tutto il corridoio senza guardare in vollo nessuno. Mi accompagna un brusio fatto di epiteti, il più gentile è: stronzo.
Arrivo al mio posto, fianco a me: Pierpaolo il chimico.
- Sei un fenomeno! Anche qui c'era il vecchietto che ti ha fatto passare? - domanda ridendo.
-  Sì. Me lo porto dietro.
Seduta sul sedile di emergenza infisso sul portellone di coda, l'hostess continua a fissarmi. È bella, ma non credo che il suo sguardo intenso nei miei confronti sia per il mio sex appeal: barba di due giorni, insonne da 40 ore, blu jeans ancora polverosi di sabbia del deserto.
Il cicalino segnala il permesso di slacciare le cinture di sicurezza. L'hostess si alza e chinandosi verso di me, mi chiede:
-  Ma lei, chi è?
Già! Chi sono?
Giuseppe "Mac" Fiorucci, Ibrahim, i datteri, il pesto. Tragicomiche di un vallecrosino nel deserto della Libia di Gheddafi, Associazione Culturale "Il Ponte" - Vallecrosia, 2011