mercoledì 18 marzo 2020

Il British Cemetery di Bordighera (IM)


Nel varcare la soglia del «British Cemetery»  di Bordighera in località Arziglia si è subito investiti da una duplice sensazione di solennità e pace. Gli spazi verdi curati meticolosamente, le lapidi bianche tutte uguali ed equidistanti tra loro, una maestosa croce di pietra al centro: le tombe appaiono integrate naturalmente con l’ambiente circostante, immerse nel verde silente della collinetta. 

Un paesaggio della memoria capace di essere potente ma non invasivo, confinato in un recinto murario austero che lo protegge e lo amplifica.
Nonostante la bellezza dello spazio funebre, il cimitero militare è sconosciuto ai più, e ancor meno nota sembra essere la motivazione per cui esso fu impiantato.
Una targa in metallo all’interno del perimetro sepolcrale risponde a questa iniziale domanda, fornendo al visitatore le coordinate principali per conoscere la natura del luogo.
Lo stesso scopre così di trovarsi all’interno di un sacrario militare britannico eretto alla fine della Prima guerra mondiale allo scopo di dare degna sepoltura ai combattenti del Regno Unito - e non solo, come vedremo - che hanno lasciato le proprie spoglie mortali nella Città delle palme.
Due epigrafi gemelle ricordano il congiunto sacrificio degli eserciti alleati.
Bordighera, che già ospitava una nutrita colonia di Sua maestà, nella parte finale della Grande Guerra diventa infatti sede di due ospedali militari inglesi: il 61° tra il gennaio del 1918 e il gennaio del 1919, e il 66° tra il gennaio e il marzo del 1918.
Qui sono venuti a mancare numerosi soldati per le conseguenze delle ferite riportate in combattimento o, più spesso, per malattia.
La presenza delle forze britanniche sul fronte italo-austriaco nella Prima guerra mondiale è potenziata dopo la disfatta di Caporetto [...]
Nel marzo 1918 avviene un avvicendamento delle truppe inglesi sul fronte italo-austriaco [...]
La loro partecipazione alla campagna d’Italia vedrà, tra gli altri, l’intervento nella battaglia risolutiva di Vittorio Veneto e in diverse azioni fino all’armistizio 4 novembre, lasciando sul campo oltre 2.600 caduti.
Sin dal 1917 la Gran Bretagna si occupa delle migliaia di connazionali morti all’estero attraverso l’istituzione della Commonwealth War Graves Commission.
Da una relazione statistica del Ministero della Difesa è possibile fotografare la situazione dei caduti britannici della Grande Guerra inumati in Liguria.
Essi si trovano raggruppati principalmente tra Bordighera, Savona e Genova Staglieno.
Tutti i cimiteri britannici all’estero sono stati concepiti secondo precise caratteristiche: cura degli spazi verdi, organizzazione, ordine.
Ad ogni singolo soldato è dedicata una lapide permanente con inciso il proprio nome, il corpo d’appartenenza, ed una frase rituale quale «gone but not forgotten» o «not dead but sleeping».
Nessuna distinzione tra rango, razza o culto, fatta eccezione per il simbolo religioso inciso sulla lapide.
La presenza inglese a Bordighera durante la Prima guerra mondiale non è contraddistinta unicamente dalla degenza negli ospedali territoriali.
Numerosi furono gli alberghi requisiti per ospitare le truppe di passaggio o residenziali.
Tra questi la «Pension Jolie» di Via Regina Margherita di proprietà di Gustavo Adolfo Maccaferri, il «Vittoria» di Via Regina Elena di proprietà della vedova del Sig. Seeger Adamo.
In una simile cornice si comprende come la guerra abbia inibito il turismo ma non il lavoro cittadino, perché «quantunque siano mancati in gran parte i forestieri d’albergo, il commercio locale ha subito indubbiamente un notevolissimo sviluppo, essendosi avuto costantemente - a Bordighera - tra profughi, truppe, ospedali militari e prigionieri di guerra - non meno di duemila persone in più del consueto».
A partire dal 1918 sulla comunità bordigotta e sui suoi ospiti stranieri si abbatte la falce dell’epidemia influenzale.
Sarà essa a causare il maggior numero di vittime nelle fila britanniche, imponendo la necessità di realizzare il sacrario [...]
Una delibera del consiglio comunale relativa ai fondi da stanziare per il servizio di trasporto eccezionale a beneficio del medico condotto Odello, conferma la portata del morbo e la sua estensione: «Ritenuto che ai primi di settembre del decorso anno 1918 ebbe disgraziatamente a manifestarsi in questa città la nuova epidemia di influenza, conosciuta sotto il nome di febbre spagnola, epidemia che prese in seguito un notevole sviluppo e che durò può dirsi fino al gennaio dell’anno corrente».
Con decreto luogotenenziale n. 896 del 23 giugno 1918 sono emanate le norme per la costruzione dei cimiteri militari per alleati deceduti in Italia.
Tali disposizioni snelliscono la burocrazia e consentono una più veloce realizzazione di sepolture.
Esse riguardano soprattutto località dove sono impiantati ospedali militari per truppe straniere e prevedono che le spese di acquisto dei terreni destinati al cimitero  spettino allo stato italiano, e che i costi di gestione vadano ai governi alleati.
Il 29 gennaio 1918 il comandante del presidio militare inglese a Bordighera scrive al commissario prefettizio della città chiedendo l’autorizzazione a «costruire un cimitero [...]».
Sono dunque gli stessi alleati a individuare una porzione di terreno adiacente al già esistente cimitero civile acattolico ove riposano molti connazionali di Sua maestà in passato residenti a Bordighera.
Si tratta di due lotti da espropriare ai signori [...] per un totale di quasi 550 metri quadrati.
Soltanto dieci giorni più tardi il medico provinciale e l’ingegnere del consiglio provinciale sanitario effettuano un sopralluogo nel sito prescelto per la sepoltura dei soldati.


Il 12 dicembre 1918 la commissione darà parere favorevole per la costruzione, anticipata da una delibera comunale del 31 agosto che ne approvava l’impianto: «Il Commissario Prefettizio […], delibera di approvare, come approva, la costruzione in Bordighera di un cimitero per il seppellimento dei Soldati Inglesi […]».
I costi e il progetto saranno a carico del governo inglese.
Il direttore dei lavori è il tenente colonnello Lowry, di stanza presso la Villa Moschini di Longara (Vicenza), sede dell’Imperial War Graves Commision in Italia.

Nonostante le successive autorizzazioni del sottoprefetto di Sanremo (21 giugno 1919) 12 e della direzione del Genio militare di Genova (29 agosto 1919) 13, al 3 agosto 1920 non sono ancora iniziati i lavori di costruzione del sacrario 14, complice un intralcio burocratico relativo alla compravendita degli spazi.
Finalmente il 20 agosto 1920 il cantiere è inaugurato, non senza aver lasciato aperta una questione fondamentale: il pagamento dei terreni espropriati.
Già il 1 aprile 1919, infatti, il signor [...] denuncia il mancato pagamento dell’appezzamento di sua proprietà requisito dal comando inglese per la costruzione del sacrario.
L’importo dovuto è a carico dello stato italiano come indicato nel sopracitato decreto n. 896, disposizione confermata da una successiva circolare del Ministero della guerra.
Nonostante ciò un’interessante lettera del sottoprefetto di Sanremo indirizzata al Commissario prefettizio di Bordighera parla di occupazione degli spazi «con provvedimento sommario» da parte degli alleati.
La vertenza legale si protrae ancora e alla data del 6 novembre 1922 [...] non sono ancora stati risarciti.
Si arriva ad una parziale soluzione soltanto nel 1926 quando a quest’ultimo vengono saldate 1.100 lire, mentre rimane sospesa la pratica di Allavena, non riconosciuto come proprietario del lotto da almeno trent’anni.
Quello del risarcimento non è l’unico inciampo di immagine che causa la realizzazione del cimitero. A partire dal novembre 1924 si apre infatti il contenzioso per l’erogazione gratuita dell’acqua utile alla cura del sacrario. [...]
In quello stesso periodo, infine, si registrano le lamentele dei turisti inglesi rispetto alle pessime condizioni della strada di accesso al sacrario. Si chiede pertanto di intervenire «per evitare le critiche della numerosa colonia Inglese» 23, la quale « ha fatto più volte giuste rimostranze per le condizioni pietose in cui si trova il breve tratto per cui si accede al Cimitero». 
La risposta del commissario fascista è a tal proposito seccata e risolutiva: per sistemare la strada sono sufficienti « una giornata di mano d’opera di due operai e tre carri di ghiaino».

[...] Nel sacrario si trovano in tutto 84 sepolture, 68 appartenenti a soldati britannici optimo iure, 4 del più ampio insieme del Commonwealth (di questi 3 soldati caraibici e 1 indiano), e 12 dell’Impero austro-ungarico (prigionieri di guerra). 83 sono uomini, una è donna. La sola dislocazione delle sepolture è di per sé assai indicativa di una certa gerarchia della memoria che sottende all’impianto
funebre. 


Mentre le lapidi dei soldati britannici sono disposte ordinatamente lungo diverse file, ai soldati nemici è destinata una tomba più piccola, interrata e apparentemente nascosta all’occhio del visitatore.
Tra esse si trova inoltre la sepoltura del soldato indiano, quasi confinato in un limbo della memoria: non con gli inglesi, ma neppure allo stesso livello dei nemici. Una posizione che induce molte riflessioni.
Basandoci sui soli simboli religiosi presenti sulle lapidi, fatta eccezione per il soldato indiano e due soldati britannici (rispettivamente ebreo e ateo), tutti i caduti professavano fede cristiana.
La componente multirazziale dell’impero britannico emerge dalla presenza del soldato indiano e di 3 uomini di colore nativi caraibici.
La principale causa di morte è l’epidemia di influenza che colpì soldati e prigionieri austroungarici.
Molti tra gli uomini scomparsi servivano infatti i reparti medici dei due ospedali militari inglesi a Bordighera: sono loro i più colpiti dall’epidemia.
L’età media dei caduti (di cui si conosce la data di nascita) è poco più di 30 anni [...]
A questa dimensione numerica è opportuno tentare di affiancare l’aspetto qualitativo della vicenda.
Piccoli approfondimenti biografici, accompagnati nei casi più fortunati da un ritratto, ci consentono in ultima istanza di estrarre dalla pietra i nomi, riconsegnandoli per un istante alla loro dimensione corporea ed esistenziale.
Tra questi vale la pena ricordare il capitano dei fucilieri Maurice Gilbert Parkinson. [...]
Storie di valore e patriottismo incondizionato, come quella di William Stevens, fanteria leggera, scomparso in ospedale il 14 gennaio 1918.
[...]
Ma Sua maestà non sembra essere stata sempre così riconoscente.
Ben tre delle 84 sepolture del sacrario di Bordighera appartengono infatti a soldati del « British West Indies Regiment », una divisione di soldati volontari originari delle colonie occidentali: sono Charles Skeete, A. Reid e Samuel Urayah Thompson. Uomini di colore che cercavano attraverso l’arruolamento volontario l’affrancamento dalla condizione segregante imposta dall’imperialismo d’oltre Manica. Troveranno la morte nella Città delle palme, seguiti non molto tempo dopo da diversi compagni che, al termine del conflitto, furono oggetto di una delle pagine più grigie della storia militare britannica della Prima guerra mondiale.
Il 9° e il 10° battaglione nel 1918 vennero infatti concentrati a Taranto e smobilitati precocemente onde scongiurarne le legittime richieste emancipazioniste.
Ciò innescò la sollevazione dei caraibici, la cosiddetta rivolta di Taranto, soffocata nel sangue dagli stessi inglesi.

Se per i componenti del «British West Indies Regiment» la guerra fu un’occasione mancata di autodeterminazione individuale, per Rachel Ferguson essa rappresentò la dimostrazione di un maggiore protagonismo femminile nella società.
«She gave her life for her country»: recita così l’epitaffio scolpito nella sua lapide.
La donna, reclutata nelle fila dei Queen Alexandra’s Royal Army Nursing Corps, aveva prestato servizio dal 7 novembre 1917 fino alla fine dei suoi giorni presso l’ospedale militare inglese n. 62.
[...] Fu ancora una volta la malattia a spegnere John Virald Walsh, 20a compagnia «Manchester Regiment».
[...] E molte altre storie sarebbero da approfondire, carte d’archivio permettendo.
In questo teatro della memoria troviamo personaggi che stuzzicano la fantasia e ben si prestano ad una narrazione variopinta della più Grande Guerra che l’Umanità abbia probabilmente conosciuto.
Si avvicendano sul palcoscenico della memoria individui come William Macpherson, postino del genio zappatori; il capitano medico George Kneith di Edinburgo, sopravissuto ad un siluramento nel Mare Egeo, pioniere nello studio della cura del cancro, morto di «pneumonia»; Henry Arthur How, ucciso dalle ferite riportate in combattimento sull’Altopiano di Asiago; l’aviatore Willam Shiley Fage; l’ebreo Abraham Peters del «King’s Liverpool Regiment»; il sergente Francis Mckenzie del Corpo sanitario, morto a causa di un incidente automobilistico; l’autiere Harry Mileham, scomparso per le complicazioni di un’operazione chirurgica; l’indiano Rup Lal, tumulato in disparte vicino ai nemici (perché?); e infine questi ultimi, prigionieri di guerra, defunti insieme ad altri dieci milioni di soldati di tutte le nazioni, sacrificati per il nuovo ordine mondiale. [...]


di Graziano Mamone da Diario del dolore. Feriti e crocerossine nella Prima Guerra Mondiale attraverso le loro scritture in Le vittime della grande guerra e il ruolo della Croce rossa di Costantino Cipolla e Susanna Vezzadini, Franco Angeli Edizioni, 2018