giovedì 26 dicembre 2024

Bestemmie volano insieme ai sacri manufatti

Sanremo (IM): uno scorcio di Piazza Eroi Sanremesi, ripreso più o meno all'altezza del negozio citato in questo racconto

Cantico di Natale anni '50 a Sanremo.
L'aria è molto fredda, il cielo è grigio e distante. La porta della nostra drogheria è semichiusa per attutire il gelo che viene dalla piazza [n.d.r.: Piazza Eroi Sanremesi di Sanremo]. La vigilia di Natale è arrivata, ma c'è un po' di tristezza nell'aria. Gli affari non vanno per niente bene  perché di soldi ne circolano pochi.
Nostra mamma, come in tutte le feste, ha fatto una bella vetrina, con carta argentata, ciotole di canditi, uva sultanina, scatole di cacao, di the, di caffè. Per noi bambini questo è l'autentico segnale del Natale che sta arrivando, insieme alle vacanze scolastiche che sono già iniziate da un giorno. Ci divertiamo a stare in negozio come i grandi e a vedere entrare ed uscire le persone. E' bello anche guardare fuori: dal mattino presto si sono installati in piazza con un banco  provvisorio, sicuramente abusivo, fatto di due cavalletti e un asse abbastanza lungo, due o tre individui che da noi si chiamano "lingere". Sono giovanotti, ma nemmeno tanto giovani, mal messi e con una fama da  "faignants", da fannulloni. Quello di loro che viene abitualmente chiamato "Rovinafigli", in memoria di un'epica lite da lui sostenuta contro alcuni suoi stretti famigliari, è a capo dell'impresa. Hanno costruito con cartoni  e colla delle capanne un po' storte che probabilmente non vedranno mai nascere il Bambino. Speravano di fare un po' di soldi, ma in tutta la giornata non sono riusciti a vendere niente. Si fa scuro e il freddo si sente di più. Entra da noi in negozio, per riscaldarsi, Gambin (così è chiamato da tutti nella piazza ma non sappiamo il perché). Possiede un  baracchino (lui lo chiama azienda) dirimpetto al nostro negozio. Vende ostriche ed altri frutti di mare e normalmente si tira su, inverno ed estate, bevendo "cicchetti" uno dopo l'altro, reggendo straordinariamente bene tutti i generi di alcolici. Mia mamma, che si immedesima nel fallimento dei venditori di capanne ("non sono nemmeno al coperto e si prendono tutto il freddo di questa Vigilia gelida") esprime la sua pena per loro: vorrebbe avere tanti soldi per comprargliele lei tutte quelle capanne. Gambin sostiene invece che non darebbe nemmeno un soldo a degli scansafatiche poco di buono che dovrebbero solo andare a lavorare. Si rompe inevitabilmente l'atmosfera di comprensione universale e siamo riportati tutti sulla spietata terra.
Ormai è venuta l'ora di chiusura, i negozi stanno tirando giù le saracinesche, anche Gambin è andato a chiudere la sua azienda. Nella quiete un po' sorda della sera natalizia sentiamo delle urla  nella piazza. Finalmente qualcosa di interessante da vedere, anche per noi bambini: Rovinafigli, ormai in preda ad una rabbia violenta e ai tanti bicchieri bevuti per scaldarsi, sta scagliando a terra, una per una, le capanne invendute, praticamente tutte. Bestemmie volano insieme ai sacri manufatti, qualche  passante si ferma incuriosito, tutti noi, grandi e piccini, assistiamo senza fiatare alla fine violenta di grandi speranze. L'ostricaio è l'unico che tenta di opporsi a quella tempesta distruttiva.
"Ma dai, non fa cuscì! Ti purerai vendile l'annu proscimu" (Ma dai, non fare così! Potrai venderle l'anno prossimo) e intanto afferra una capanna. "Ti vei, ‘sta chi a l'è bèla, tegnila!"(Vedi, questa è bella, tienila!). Ma Rovinafigli è ormai al di là di ogni ragione. "Na, a veuio buttà tutto. A sun disgrasiau. Maledete ste feste e chelu che u l'ha inventae!" (No, voglio buttare tutto. Sono disgraziato. Maledette queste feste e  quello che le ha inventate!). Gambin, con aria quasi paterna e un po' falsa, prende in mano un'altra capanna: "Sta chi damela, ciutostu che butala, cuscì duman a fassu u presepe a ca mea. In fundu i nun sun cuscì brute" (Questa dammela, piuttosto che buttarla, così domani faccio il Presepe a casa mia. In fondo non sono così brutte).
Di fronte alla valutazione decisamente modesta del suo lavoro, l'ira sale ancor di più: "Na, a devu buttà tutu, lascime sta, a sun nasciu disgrasiau! Ti u dixi anche tu che i sun  brute"(No, devo buttare tutto, lasciami stare, sono nato disgraziato. Lo dici anche te che sono brutte).  La rabbia e la violenza  sono contagiose: finalmente anche l'ostricaio  esprime il suo vero  e più profondo parere e al diavolo l'amore per il prossimo. Tenendo la capanna in mano, quella che non era poi così brutta, esclama inesorabilmente il suo giudizio: "Sci, ti l'hai raixiun. I sun brute. Adessu a posciu ditelu che i sun propiu di brutesci! Aspeita ca te do ina man!" (Sì', hai ragione. Sono brutte. Adesso posso dirtelo che sono dei brutessi (cose disgustose). Aspetta che ti do' una mano!) e giù a buttare capanne per terra e a saltarci addosso con i piedi. Davanti a tutto quel furore, un po' di gente si è radunata e guarda divertita. Nessuno tenta di fermare i due invasati, qualcuno dice che è sacrilegio distruggere in quel modo delle cose destinate al Bambino. Mentre il gruppetto di curiosi si scioglie, si sente un commento anonimo ad alta voce:" Però i l'eira propiu brute! U l'è staitu meju sciapale" (Però erano proprio brutte! E' stato meglio spaccarle).
Donatella D'Imporzano
Chiara Salvini, Donatella D'Imporzano - Cantico di Natale a Sanremo anni Cinquanta, Nel delirio non ero mai sola, 25 dicembre 2024

giovedì 19 dicembre 2024

Il restauro del Castello Doria a Dolceacqua


Fonte: Luca Dolmetta e Silvia Rizzo, art. cit. infra

Viste del Castello Doria prima degli interventi di restauro e a completamento delle opere (in basso). Fonte: Luca Dolmetta e Silvia Rizzo, art. cit. infra

Fonte: Luca Dolmetta e Silvia Rizzo, art. cit. infra

Fonte: Luca Dolmetta e Silvia Rizzo, art. cit. infra

Il castello di Dolceacqua ha muratura in pietra a spacco o mista, di ciottoli, mattoni pieni e malta di calce. Nelle diverse zone, sebbene la tessitura muraria appartenga a periodi di costruzione differente, erano presenti degradi comuni tra cui disgregazione della pietra, erosione dei giunti di malta, presenza degli attacchi biologici per l’umidità introdotta direttamente nella muratura e per l’inefficienza dei sistemi di raccolta di acque piovane. Crolli, fessurazioni, lesioni, lacune e mancanze erano piuttosto diffuse. Per quanto riguarda lo strato di intonaco (presenza poco diffusa) i degradi si potevano individuare come distacco, rigonfiamento e crosta nera. Molti erano i segni di dissesto nella costruzione; estesi ed allarmanti risultavano i fenomeni di imbarcamento, vistosi crolli delle pareti e lesioni, che interessavano anzitutto il bastione superiore richiedendo interventi di consolidamento statico. Per contrastare lo spanciamento della porzione di parete che unisce il Cortile d’onore con il Bastione Sabaudo (prima dei lavori la zona più a rischio), era stato predisposto in precedenza un reticolo creato con tubi innocenti ancorati alla muratura.
Tale porzione di muratura, precedentemente coperta da vegetazione ed oggi totalmente recuperata, presentava fenomeni di disgregazione, decoesione, erosione e fratturazione con estese mancanze. Problemi forse dovuti alla disomogeneità del terreno d’appoggio o mancanza d’ammorsatura tra le pareti della muratura stessa con quelle del corpo vicino. Tutto ciò risultava aggravato dall’umidità penetrata che indeboliva la resistenza della parete.
Le principali operazioni di restauro previste dall’intervento hanno riguardato:
1. il rivellino verso la Porta Lù; 2. la porzione dell’edificio crollato a ridosso del nuovo giardino belvedere; 3. la “Vela” Nord; 4. il Bastione Sabaudo, parte fino al nuovo giardino e parte verso il cortile esterno.
In particolare i principali interventi effettuati hanno riguardato: a) restauro muratura esterna in pietra; b) stuccatura dei giunti con malta di calce con materiali dello stesso tipo, forma e colore di quelli esistenti compreso consolidamento localizzato.
Intervento di riqualificazione della Porta del Lù, attraverso la realizzazione di una scala di accesso al rivellino ed il recupero dell’attuale biglietteria (da spostarsi all’interno del Castello) da destinarsi a spazio espositivo connesso al Castello. Realizzazione di un giardino pubblico-belvedere naturale per riqualificare lo spazio oggi abbandonato ai piedi del Castello e di grande valore per l’attrattività complessiva del monumento, compreso il restauro della muratura dell’edificio crollato esistente.
Miglioramento dell’attuale belvedere attraverso la collocazione di un nuovo portone che rafforzi il concetto di “fortezza-baluardo difensivo”. Restauro della “vela” nord anche attraverso l’introduzione di una passerella in acciaio necessaria a consolidare, interrompendo la lunghezza della parete, la muratura esistente.
Realizzazione di un sistema di collegamento e passerelle tra il piano superiore del portico del cortile d’onore ed il “rudere” limitrofo al cortile stesso. La scala diventa anche in parte elemento di ricostruzione-consolidamento, anche simbolici, del muro demolito con cui interagisce ed entro cui si avvolge, non risultando percepibile dal cortile d’onore. Dall’esterno, il sistema di chiusura risulta leggero, trasparente ed è costituito da lamiera stirata di corten che lascia percepire le parti retrostanti della muratura esistente, pur ricomponendo in parte il disegno del prospetto fino al portico esistente. Realizzazione di una scala di discesa al bastione dove è stato eseguito il recupero dello spazio aperto.
Luca Dolmetta e Silvia Rizzo, Restauro del Castello dei Doria a Dolceacqua, Imperia, paesaggio urbano,  n° 2 - 2016

Fonte: Manlio Montuori, art. cit. infra

Fonte: Manlio Montuori, art. cit. infra

Ben lungi dall’essere un’operazione nostalgica di recupero dei valori identitari di una comunità o di attardata azione di ripristino dei caratteri figurativi della preesistenza, l’intervento condotto dagli architetti genovesi Luca Dolmetta e Silvia Rizzo si caratterizza per la forte impronta contemporanea che, assumendo il monumento nella sua stratificata redazione documentale pervenutaci allo stato di rudere, si fa interprete di un’attenta azione di valorizzazione. La prassi di mantenimento dell’identità paesaggistica, inoltre, è una componente non secondaria del progetto che, come richiamato da Piero Gazzola nel 1969 in occasione della tavola rotonda su “Le opere di fortificazione nel paesaggio e nel contesto urbano”, si concretizza nello stretto rapporto tra la fortificazione, per la sua specificità strategica, e l’habitat preesistente che lo ha assimilato nell’immagine.
Il progetto, che fa seguito a un’attività edilizia avviata già da un ventennio, dichiara una definita intenzionalità rispetto alla fortificazione nel suo complesso, fatto di aree interne ma anche esterne al castello, evidenziando la programmatica finalità di dare nuova fruibilità culturale alla fortificazione, sia continuando le operazioni già cominciate per la salvaguardia delle critiche condizioni d’abbandono in cui versavano le murature, sia soprattutto abolendone le destinazioni d’uso improprie come lo spostamento dei locali di servizio dalla torre Sud alla ‘Vela’ Nord o il recupero ad una più appropriata funzione espositiva dei locali in prossimità di Porta Lu, destinati alla ex biglietteria, spostando quest’ultima all’interno del castello.
Decisamente più impegnativo appare il risarcimento delle membrature architettoniche lungo il fronte meridionale negli ambienti posti al piano terra ed al piano superiore del portico sul cortile d’onore. La perdita dei setti murari, infatti, determina la convincente scelta di non ricomporre le arcate obliterate, demandando al nuovo sistema di scale e passerelle il ruolo di collegamento. Il nuovo intervento, schiettamente contemporaneo nell’uso dell’acciaio corten, inoltre, assolve una doppia funzione: quella di migliorare il comportamento strutturale delle murature con interventi di consolidamento localizzati e quella di risarcire le figuratività delle membrature senza voler alludere, in forza di tale risarcitura, ad una preesistenza materica ormai perduta.
Il castello sorge su uno sperone di roccia che, dominando dall’alto l’abitato e le acque del torrente Nervia, lo isola su tre versanti di un alto strapiombo.
Il dialogo fra l’architettura e il sito è pertanto strettissimo, al limite della complementarietà fatta non solo dell’uso dei materiali offerti dal luogo, ma dell’integrazione della componente arborea al margine del perimetro fortificato.
Proprio questa interazione viene sapientemente potenziata, restituendo alla fruizione pubblica giardini e belvedere che circondano il castello e, di fatto, diventando parte integrante della strategia di valorizzazione anche in chiave paesaggistica della fortezza dei Doria.
Manlio Montuori, Frammentarietà di forme e completezza di significati nel Castello di Dolceacqua, paesaggio urbano,  n° 2 - 2016

venerdì 13 dicembre 2024

Presentazione del libro "L’arte è pensiero che diventa forma" di Elio Lentini


 

 

Sanremo, Museo Civico di Palazzo Nota, Mercoledì 18 dicembre 2024, ore 16.30
 

Presentazione del libro "L’arte è pensiero che diventa forma" di Elio Lentini
 

Con la partecipazione di Silvia Pavanello, Chiara Tonet, Marco Innocenti, Fabio Barricalla, Elio Lentini 


Il Museo dello Studiolo

giovedì 12 dicembre 2024

La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera

La pista ciclopedonale a Santo Stefano al Mare (IM)

[...] La provincia di Imperia si troverà ancora in anticipo allorché il turismo, a carattere prevalentemente élitario fino ai primi anni Cinquanta del Novecento, nel ventennio successivo si trasforma in turismo di massa, manifestando qui quella specificità della “seconda casa” che solo qualche decennio dopo caratterizzerà il resto d’Italia: il saggio di Italo Calvino, che legge il fenomeno ed è intitolato “La speculazione edilizia”, è pubblicato già nel 1963.
L’offerta ricettiva diventa extra-alberghiera e viene a predominare su quella alberghiera, in concomitanza con i mutamenti strutturali della domanda, che vede diminuire l’incidenza della componente straniera e aumentare fortemente quella nazionale, con flussi provenienti soprattutto dal Piemonte e dalla Lombardia, favoriti dal manifestarsi in quel periodo di molte concause, tra cui merita di essere ricordata l’apertura dell’Autostrada dei Fiori avvenuta il 6 settembre 1971 e il diffondersi della vacanza estiva anche in strati sociali fino a quel momento poco propensi a tali abitudini, per ragioni economiche e culturali.
Sempre negli stessi anni, si accentua anche l’interesse per l’investimento immobiliare che, anche nei decenni successivi, grazie alla continua rivalutazione del valore degli immobili, favorirà non solo nei ceti più abbienti la tendenza a considerare la seconda casa non soltanto come una modalità conveniente per i soggiorni di tempo libero al di fuori del luogo abituale di residenza, ma anche e soprattutto come un “bene-rifugio”.
La produzione architettonica post-bellica presenta una prima fase, corrispondente all’ottimismo e al fervore culturale degli anni Cinquanta, caratterizzata da alcune importanti realizzazioni sia ad opera di architetti esterni (Daneri e Giò Ponti, per citare i casi più eclatanti), sia locali (Mario Alborno) e una seconda fase, negli anni Sessanta e Settanta, purtroppo identificata dalla massiccia ed impersonale edificazione di condomini e case monofamiliari: “la febbre del cemento s’era impadronita della Riviera: là vedevi il palazzo già abitato, con le cassette dei gerani tutte uguali ai balconi, qua il caseggiato appena finito, coi vetri segnati da serpenti di biacca, che attendeva le famigliole lombarde smaniose di bagni; più in là ancora un castello di impalcature” (I. Calvino, La speculazione edilizia, Milano, 1963, pp.4-5). Rappresentano delle felici eccezioni la Casa di vacanza per i dipendenti Atm a Bordighera di Giancarlo De Carlo e il Villaggio del Poggio a Cervo di Leonardo Mosso.
E ritorniamo all’oggi, a una provincia turisticamente molto matura e in profonda crisi rispetto al modello di sviluppo consolidato della “seconda casa” che, un po’ inaspettatamente, mostra segni ed esperienze di innovazione probabilmente ancora in anticipo rispetto al resto del Paese.
L’asse portante della rivoluzione industriale, cioè la linea ferroviaria Genova-Ventimiglia che transitava molto vicina alla linea costiera è spostata a monte, non più visibile in città. E, al posto dell’alta velocità, la provincia di Imperia ha scelto il muoversi lento della bicicletta e del pedone: la riconversione delle aree ex ferroviarie ha lasciato il posto al Parco Costiero della Riviera dei Fiori e alla sua pista ciclo-pedonale lunga, al momento, 24 km.
Il deserto verde dell’entroterra rurale, con le sue attività che non rappresentano più la base economica della società locale e con la sua armatura territoriale sedimentatasi nei secoli precedenti, non è più un luogo da abbandonare: si è assistito nei decenni precedenti al recupero sporadico di edifici nei centri storici, a volte di pensionati che sono ritornati nella casa di famiglia, altre volte di turisti che hanno scelto un diverso modo di avere la loro “seconda casa”, altre volte ancora di nuove famiglie che hanno scelto l’entroterra perché i valori immobiliari sono più accessibili.
L’insieme di queste iniziative individuali si sono sommate fino a interessare quasi integralmente interi nuclei storici.
Questo processo è stato poi interpretato anche da iniziative imprenditoriali che hanno interessato il riuso di interi complessi o nuclei come residenze secondarie, volti proprio a valorizzare i caratteri dell’architettura tradizionale e puntando su quelli per raggiungere risultati di elevato standard qualitativo.
Da lì a vedere il protagonismo diretto delle comunità locali il passo è breve: si tratterà di vedere se leadership avvedute sapranno guidare dal basso verso il recupero del proprio territorio nella sua integrità, cercando di reinterpretarne le vocazioni produttive.
Francesca Buccafurri e Lucio Massardo, Per un panorama dell’architettura moderna e contemporanea in provincia di Imperia in (a cura di) Giovanna Franco e Stefano Francesco Musso, Architetture in Liguria dopo il 1945, De Ferrari, 2016, volume esito del progetto di ricerca “Censimento e schedatura di complessi di architettura moderna e contemporanea in Liguria” ideato e realizzato dall’allora Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, oggi Segretariato regionale del MiBACT per la Liguria, da Regione Liguria e dal Dipartimento di Scienze per l’Architettura-DSA dell’Università degli Studi di Genova, nell’ambito dell’Accordo di Programma Quadro “Beni e Attività culturali III integrativo - Intervento BF-10 Progettazioni per lo sviluppo di programmi di valenza strategica in materia di cultura”

venerdì 6 dicembre 2024

Originale incontro con lo scrittore Franco Fiorucci


Domenica 8 dicembre 2024, alle ore 16, a San Biagio della Cima (IM) nei locali de "U Bastu", avrà luogo, largamente aperto al pubblico, un estroso incontro-dibattito con lo scrittore Franco Fiorucci in merito al suo libro "Matti. Quasi matti. Sognatori. E fattucchiere. 21 mila parole per 7 racconti". Adriano Maini


Franco Fiorucci. 76 anni, giornalista in pensione. Ha cominciato come corrispondente dell'Unità da Imperia, per poi lavorare per varie testate motoristiche (Rombo, Automobilismo, AM, Automobilismo d'Epoca, InterAutoNews). Da pensionato scrive storie gialle che si diverte a inventare. Ne ha pubblicato quattro: Tango argentino sulla Côte, Atti di morte, Fiori che odorano di soldi, Scarpe nuove per morire.
Redazione, Biografia dell'autore Franco Fiorucci, etabeta