martedì 11 novembre 2025

Mi avvio costeggiando Capo Berta

Imperia: la discesa di Capo Berta

Giorgio Lavagna, l'autore dello scritto che qui segue, con altri partigiani imperiesi, quasi tutti autorizzati dal comandante Libero Briganti, aveva raggiunto le linee alleate a ridosso di Mentone ai primi di settembre 1944. Questi patrioti italiani - ed altri, giunti per altre vie - erano stati allora arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil's Brigade, The Black Devils, The Black Devils' Brigade, Freddie's Freighters), reparto d'elite statunitense-canadese di commando, già impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia. Il reparto, però, fu sciolto nel dicembre 1944. Dopo di che, per non farsi internare, questi antifascisti furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese, presso il quale furono impiegati solo per lavori di fatica. 
Adriano Maini
 
12 maggio 1945
[...] raggiungo Albenga e, sempre in cerca di un mezzo di fortuna, trovo sulla strada «Ricù» Raineri che, con una corriera adibita a trasporto merci, carica di farina, sta per partire. Attendo impaziente per un quarto d'ora, poi si parte; ma quando già credevo di aver trovato il mezzo giusto per avvicinarmi a casa, intoppo in una spiacevole sorpresa: a Capo Santa Croce la strada è interrotta, e per non seguire «Ricù» che deve fare un percorso più lungo, rimango un'altra volta a piedi. Mi guardo attorno, sento che niente potrebbe fermarmi. Vedo in basso la galleria della ferrovia e mi informo che anche quella non sia saltata, poi mi avvio giù per la scarpata a strapiombo, scivolando ne raggiungo l'entrata buia che imbocco, quindi cammino seguendo i binari; durante il percorso incontro due persone che non riesco nemmeno a vedere in faccia; giunto all'altra estremità, mi trovo ad Alassio. 
Percorro a piedi la via Aurelia fino al termine di Laigueglia. Ancora una volta devo agire di prepotenza, mostrando la mia bomba a mano a un camionista che si rifiuta di farmi salire sul proprio mezzo. Oltrepassati Cervo e San Bartolomeo, proseguo a piedi verso Diano Marina. La giornata volgeva al tramonto ma ormai mi sentivo a casa. Mi avvio costeggiando Capo Berta, percorrendo un sentiero tracciato sulle frane della vecchia strada e prima delle venti giungo a Borgo Peri. Guardavo emozionato Porto Maurizio, mi sembrava di vederlo per la prima volta, non mi era mai apparso così bello, mi sembrava un sogno, avrei voluto gridare pensando ai miei che, inconsapevoli della mia vicinanza, attendevano ancora con angoscia il mio ritorno. 
Addentrato nelle strade di Oneglia, ignorato da tutti, cammino senza rendermi conto dello stato in cui mi trovo, guardo qua e là cercando persone di mia conoscenza; sul ponte Impero, quasi distrutto, incontro «Pinù» Acquarone che, non vedendomi da molto tempo, mi chiede da dove arrivo; gli accenno brevemente la mia storia ma la fretta non mi permette di dilungarmi; quell'amico, della cui cortesia non avrei mai dubitato, intuisce la mia premura e, senza che io gli chieda cosa alcuna, mi offre in prestito la sua bicicletta; non chiedo di meglio, parto veloce sull'ultimo tratto del mio percorso, pensando che non mi sarei più fermato. 
Ma prima di giungere a Porto Maurizio, incontro Andrea Corradi, non più rivisto da quando avevo lasciato l'accampamento di Monte Faudo; ci fermiamo uno di fronte all'altro, nella sua voce c'è un'esclamazione di stupore, e, come se tornassi dall'altro mondo, mi chiede anch'egli da dove io venga; anche a lui accenno poche cose, dopo di che ognuno prosegue per la propria strada. 
Giunto a Porto, sotto il vecchio orologio, all'angolo di Via Mazzini, incontro Giovanni Ascheri, amico di famiglia, che, sorpreso nel vedermi, chiama sua zia Maria. Quella donna, gentile e affettuosa, che durante la mia assenza aveva sempre esortato mia madre a sperare, nonostante fosse al corrente delle poche possibilità che ormai si potevano nutrire su un mio ritorno, mi corre incontro stringendomi in un abbraccio emozionato. Mentre a Maria sto spiegando brevemente la causa del mio arrivo in ritardo, una ventina di giorni dopo la liberazione, giunge a salutarmi anche l'amico Andrea. Egli mi attende e insieme ci avviamo verso casa. Durante quel tratto di strada, non sapendo che io già conoscevo quello che si diceva al mio riguardo, egli mi consiglia che sarebbe opportuno avvertire i miei genitori del mio arrivo, per evitare che un'emozione troppo violenta potesse loro nuocere, e si offre di essere lui a fare ciò. 
Pochi minuti mi separavano da un incontro che per me sarebbe stato meraviglioso. Senza provarlo, nessuno può capire cosa significhi poter riabbracciare i propri genitori dopo aver tanto sofferto. Il compagno che mi aveva preceduto con la bicicletta era scomparso davanti a me, ormai lo immaginavo già a contatto con i miei, mentre comunicava loro la notizia. Pedalo contemplando il panorama circostante, osservo emozionato i miei vecchi luoghi, ad un tratto vedo, in alto, davanti a me, il paese di Torrazza che, molte volte, avevo immaginato distrutto. Mi sentivo orgoglioso della causa per la quale avevo combattuto; ero felice di essere tornato, e di poter ancora raccontare gli episodi di quel passato burrascoso, che non avrei più dimenticato. 
Dal monte del Ciapà imbocco la strada che, attraverso una vecchia cava, porta a casa mia. Scendo dalla bicicletta all'inizio di quella cava per salutare un contadino di Torrazza. Dalla strada giungono altre persone che, forse, mi avevano scorto. Nel frattempo, da casa mia arriva mio padre ancora incredulo, con Andrea. Mia madre, colta all'improvviso da quella notizia, per alcuni minuti rimane seduta sopra un muretto in mezzo al vigneto. Stringo finalmente mio padre mentre i nostri visi si bagnano di lacrime. Mia madre, riavutasi, giunge quasi correndo, mi stringe pronunciando varie volte il mio nome, vorrei dirle tante cose ma posso solo piangere e non riesco a dire nulla. Nella mia giovane età, nemmeno quel giorno avevo capito, come capirò più tardi, quanto quella donna avesse potuto soffrire in quell'anno di guerra, nel sapermi in pericolo, confortata solo da una tenue speranza di potermi riabbracciare. 
In mezz'ora la notizia del mio arrivo si diffonde, da Torrazza scendono altri amici, fra loro ricordo solo Don Mela, parroco del paese; da Porto Maurizio giunge in bicicletta il colonnello Laureri. Per più di mezz'ora rimango bloccato nella cava da quella gente desiderosa di conoscere la mia storia, le ragioni della mia lunga assenza dall'Imperiese. Solo a tramonto inoltrato raggiungo la soglia di casa mia, da dove una sera di giugno, al chiaro di un lume a petrolio, i miei genitori mi avevano visto partire. 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza - Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, IsrecIm - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982, pp. 148-150