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venerdì 5 settembre 2025

La Parasenegalia Visco è segnalata in Italia solo in Sicilia e a Ventimiglia


La Parasenegalia Visco di Via M. E. Basso a Nervia di Ventimiglia (IM). Foto: Silvana Maccario

Il mio mondo di appartenenza, quello vegetale, ieri e oggi.
I primi boschi che ho attraversato e percorso quelli delle favole raccontate dagli adulti.
Quello pieno di paura di Cappuccetto Rosso, quello allegro di Pollicino che sapeva come non perdersi, quello protettivo della Bella au bois dormant, quello pauroso attorno al palazzo di Barbablù.
Più avanti i boschi addomesticati sarebbero stati quelli delle nonne, avrei fatto conoscenza con i lillà in cui avrei tuffato il naso, la Justicia carnea chiamata Giustizia, con i suoi fiori tubolari che avrei scoperto ricchi di un dolce nettare, e gigantesche ortensie. Queste le mie prime amiche perchè avevano un nome come lo hanno i veri amici. Gli adulti quasi mai mi presentavano i veri nomi e cognomi, come avrei poi imparato in seguito, se non qualche volta in dialetto.
C’era nel giardino di una nonna una rosa che solo anni dopo avrei potuto chiamare e salutare.
Una rosa diffusa nelle coltivazioni del ponente che i floricoltori spedivano nel nord Europa.
Era la Gruss an Koburg, ibridata da Ducher in Germania.
A scuola [n.d.r.: a Ventimiglia, località Nervia] avrei amato il profumo del Pitosforo, sotto cui saremmo state fotografate nel cortile della scuola, noi piccole alunne dal grembiule con il fiocco, insieme alla maestra. 
All’ingresso tre imponenti alberi ignoti mi avrebbero inebriato con il loro profumo annunciandomi la fine dell’anno scolastico. Le chiamavano Gaggie, non è stato facile risalire alla sua vera identità. Forse erano state piantate dal dottore e benefattore Ludovico Isnardi nel 1918-9 quando vicino agli scavi romani eresse la sua clinica.
Clinica che nel tempo avrebbe avuto diversi utilizzi.. Collegio di suore francesi, e poi scuole statali elementari, per diventare Ospedale ed essere recentemente abbandonato.
I suoi pesanti rami contorti hanno sostegni in cemento per evitarne la rottura. Le chiome sono immense e raggiungono la sovrastante via Aurelia e le sue radici saranno finite sotto i mosaici romani raffiguranti i delfini.
Ancora oggi quando transito da quelle parti apro il finestrino dell’auto per far entrare quell’aroma avvolgente che sa di terre lontane.
Dopo infinite diatribe tra gli appassionati si è giunti alla sua esatta identificazione. Arriva dall’Argentina, Bolivia, Perù, ama le altitudini i terreni aridi e il caldo.
È segnalata in Italia solo in Sicilia e a Ventimiglia.
Si chiama Parasenegalia Visco o più comunemente Acacia Visco.
Del grande Gelso che si affaccia alla finestra dell’aula sapevo molte cose imparate sul libro scolastico.
Sempre da quelle parti, mi appassionava per la forza che esprimeva, una pianta dal fogliame grigio-argenteo e dai fiori giallo limone, arrampicata a strapiombo, cresciuta in una crepa del Cavalcavia ferroviario, con vista sulle terme romane, anche lei innominata.
Il suo nome era Nicotiana glauca.
Ama le macerie e i muri vive di niente.
Ho occupato crescendo e diventando adulta e ormai con i capelli bianchi, di cercare  di dare un nome alle piante anche le più umili che erroneamente si chiamano erbacce.
Sono diventate così care amiche che mi hanno raccontato le loro storie che sono racchiuse nei loro nomi botanici, che a saperle leggere ci forniscono la loro esatta identità.

Silvana Maccario