martedì 22 luglio 2025

Io mi sono mangiata le quattro banane davanti al doganiere

Camporosso (IM): uno scorcio di Piazza Garibaldi

Pierina
A Camporosso veniva l'ambulante a vendere e a comprare e ogni volta che veniva c'era un signore che "batteva la cria", cioè avvisava tutti; con una trombetta suonava e poi diceva: «Oggi c'è uno che compra le olive». E se gli davi le olive, si faceva lo scambio, il baratto con qualcosa.
L'indomani diceva che comprava l'olio e invitava di nuovo a comprare o a vendere. Tutti i giorni c'era qualcosa di nuovo da scambiare.
[...]
Pierino S.
Qui nella zona del ventimigliese più del commercio funzionava il contrabbando. C'erano persone senza un lavoro che per guadagnare qualcosa andavano in Francia a vendere verdura, ad esempio carciofi e frutta. C'era un limite alla merce che doveva passare alla frontiera: per esempio, una persona poteva portare 7 carciofi e non di più. Ma quelle persone riuscivano a sistemarseli così bene che ne passavano 10-14 alla volta. Per passare più roba, sia all'andata che al ritorno, se la nascondevano sotto; erano talmente cariche che camminavano male; tante volte si pensava che si fossero proprio fatte male!
In Francia si portavano verdure, liquori, parmigiano, gorgonzola, salumi... Di ritorno si portavano in Italia carne, zucchero a zollette, banane, cioccolato e le famose caramelle "berlingo" (erano caramelle di forma un po' irregolare con strisce colorate secondo i gusti). Si importavano molto anche i profumi, le colonie, le essenze.
Era "le petit trafic de frontière".
Ziviana
C'era della gente povera che faceva questo piccolo traffico di frontiera proprio per vivere. Ricordo un certo Franceschino che negli anni d'anteguerra era venuto da Milano ed aveva aperto un negozio di biciclette a Ventimiglia. Negli anni venti questo negozio era rifornitissimo di bici da corsa e Franceschino faceva affari d'oro. Poi è invecchiato: durante la guerra non c'erano più mezzi sufficienti per il commercio di biciclette, la moglie si era ammalata, non avevano possibilità di un altro lavoro e non avevano più niente. C'era a quel tempo, nel dopoguerra, l'ECA (Ente Comunale di Assistenza), che dava loro un Kg. di zucchero al mese, la pasta, ecc., ma non riuscivano ad andare avanti solo con quello. Allora per poter campare si erano messi a fare anche loro un po' di contrabbando: tutti i giorni si trascinavano in Francia a portare quello che potevano e ritornavano con quello che riuscivano a comprare là. Poveri vecchietti, facevano pena, perché facevano con grande fatica questo commercio per pochi spiccioli, proprio per vivere! Eppure qualche volta, anche in quel caso lì, la dogana "cattiva" perquisiva tutto! Sono morti infatti in miseria assoluta, tanto che i funerali sono stati fatti dal Comune (con una cassa al risparmio che sembrava una cassa da frutta!).
La dogana con questi limiti è durata ancora per alcuni anni dopo la guerra. Ricordo che una volta ho partecipato ad una gita di insegnanti supplenti a S. Paul de Vence. Al ritorno, per portare qualcosa ai miei genitori, ho comprato quattro banane che pesavano un Kg. Arrivati alla frontiera, alla dogana ci hanno fatti scendere tutti e il doganiere ha cominciato a dire: «Questo non si può passare... questo ce n'è troppo... Anche lei, quelle banane o le lascia qui o paga la dogana».
«Le lascio qui? Ma neanche per sogno! Scommettiamo che me le mangio? La dogana se la paghi lei!».
Il doganiere non pensava che lo facessi davvero e mi teneva d'occhio. Io mi sono mangiata le quattro banane davanti a lui: è rimasto esterrefatto!
Emma
Ma c'erano anche quelli che con il contrabbando si arricchivano veramente: a Ventimiglia c'è una casa che, si dice, "è stata fatta col gorgonzola", perché i proprietari in mezzo alla sabbia che trasportavano con i loro camion nascondevano le forme di gorgonzola da vendere in Francia. Anche la moglie poi, visto che il contrabbando rendeva, aveva iniziato a fare un suo "petit trafic", ma portando oro e sterline.
Redazione, ... E il commercio funzionava? in Il tesoro della memoria, Città di Camporosso, 2007, pp. 127-130