Nella prima metà degli anni '60 la tradizionale sfilata, a San Remo, di carri fioriti nel pieno dell'inverno aveva assunto grande risonanza da quando era stata escogitata la formula dell'«Europa in fiore» con l'apporto di splendidi gruppi folcloristici rappresentanti i Paesi europei che davano maggior risalto alla meravigliosa esibizione, a fine di gennaio - primi di febbraio, dei grandiosi carri disegnati da Rino Ceduto, pieni di fiori preziosi quali strelizie, orchidee e simili.
Erano quelli gli anni di una novella, democratica «belle époque» e mi parve che non avrebbe dovuto mancare alla manifestazione [quella del 1965] un impegno federalista, cosicché ero riuscito a convincere gli organizzatori ad ammettere, nella sfilata, il canto dell'inno «Europa Unita» musicato da Reddy Bobbio su mie parole e che l'editore sanremese Carlo Beltramo aveva fatto arrangiare a Berlino, sperando di rinnovare il successo che tanti anni prima aveva avuto, sempre a San Remo, con la canzone «Festopoli».
Beltramo si era pure incaricato della stampa della stesura definitiva dell'inno che era stato inviato in omaggio a moltissime scolaresche e diffuso specialmente in Piemonte e Liguria grazie alla collaborazione della prof. Jolanda Audino Dentis, presidente dell'Associazione Europea degli Insegnanti di Torino, e della prof. Vittoria Cavaglià, direttrice didattica di San Remo.
Dopo essere stato cantato in molte occasioni dalla corale «La Baita» di Cuneo, il momento di vero «pathos» fu raggiunto quando un'altra corale, la «San Maurizio» di Imperia si assunse l'incarico di presentare l'inno, dopo la sfilata dei carri, nello spettacolo che si sarebbe svolto, la sera al Teatro Ariston.
I coristi di Porto Maurizio arrivarono regolarmente mescolandosi, modesti e quasi inosservati nei loro abiti da pescatori acquistati a mie spese, tra le scintillanti divise di pennacchiuti ussari, l'indifferente sufficienza degli orchestrali della banda della marina militare americana, le rotondità procaci e il profumo carnale delle miss europee che avevano troneggiato sui carri, al pomeriggio.
A loro doveva toccare di iniziare il programma e si passarono la voce per schierarsi sulla scena a sipario ancora chiuso, in prima posizione, mentre gli altri gruppi (gli ussari, gli zampognari scozzesi, i ballerini spagnoli, gli sbandieratori tedeschi ...) ancora facevano capannello qua e là nei meandri del teatro.
Giunti alla soglia del palcoscenico ci si accorse, però, che dietro al sipario chiuso l'enorme palco era già completamente ostruito da una muraglia di uomini in divisa azzurro-cupo, che tenevano tra le braccia enormi tromboni luccicanti dalle aperture assai più larghe delle nostre normali trombe e tromboni e sembravano quasi dei bazooka.
La voce si diffuse in un baleno: chi erano costoro? Chi erano questi intrusi che soffiavano ai nativi l'onore di aprire lo spettacolo? Non ci volle molto a capirlo, si trattava della banda della marina militare AMERICANA!
I cacelotti e i ciantafurche (questi gli scherzosi soprannomi indicanti i portorini e gli onegliesi) del coro San Maurizio non tardarono a farsi prendere dai «fümasci» o, per dirla in altri termini, dai «futùi», e con rapida manovra, sgusciando fra quegli uomini impalati, si portarono davanti a loro, diciamo subito dietro la buca del suggeritore, ossia quasi a contatto col sipario. Qualcuno poi cominciò a far gesti verso gli americani invitandoli a retrocedere ed anche a spingerli verso il retroscena. Fino a quel momento tutto poteva attribuirsi a qualche errore organizzativo, ma quale non fu, invece, lo stupore quando il regista della trasmissione televisiva, che aveva pieni poteri, il solito «romanaccio» gonfio di prosopopea, si precipitò avanti intimando di andarsene non agli americani, ma ai coristi di San Maurizio.
Ne nacque un battibecco che venne percepito anche dalla platea e volò qualche cazzotto. Ma il regista Coccorese, che almeno il suo nome passi alla storia, fu inflessibile. Per lui «Europa» era solo uno pseudonimo di America, la grande «fiesta» dell'Europa in fiore doveva iniziare con questo grande oltraggio allo spirito dei federalisti europei, il dirompente e lacerante frastuono di una fanfara militare e, per di più, americana.
Finalmente il sipario si alzò e la gente compatta applaudì fragorosamente gli ottoni d'oltre Atlantico, con lo stesso entusiasmo con cui, forse, avrebbe applaudito i coristi di San Maurizio. Questi ultimi, invece, ancora in preda ai «fümasci», continuarono nel retroscena a discutere accanitamente ed a gesticolare e nemmeno la vicinanza delle miss o di altri simpatici figuranti riusciva a calmare i più agitati. Cosicché quando, dopo concitati parlamentari con l'assessore al turismo e poi di quest'ultimo con il regista, si ottenne finalmente che l'inno fosse cantato all'inizio del secondo tempo, quando si passò la voce ai coristi di prepararsi, purtroppo ci si accorse che quasi la metà, non potendo digerire l'oltraggio, se n'erano già andati, a prendere la corriera per Porto Maurizio, alla vicina autostazione.
Enrico Berio, ALPAZUR. Nizza, Cuneo, Imperia "Distretto Europeo". La cooperazione transfrontaliera nell'interregione delle Alpi Meridionali, IsrecIm, 1992, pp. 59,60,61
Erano quelli gli anni di una novella, democratica «belle époque» e mi parve che non avrebbe dovuto mancare alla manifestazione [quella del 1965] un impegno federalista, cosicché ero riuscito a convincere gli organizzatori ad ammettere, nella sfilata, il canto dell'inno «Europa Unita» musicato da Reddy Bobbio su mie parole e che l'editore sanremese Carlo Beltramo aveva fatto arrangiare a Berlino, sperando di rinnovare il successo che tanti anni prima aveva avuto, sempre a San Remo, con la canzone «Festopoli».
Beltramo si era pure incaricato della stampa della stesura definitiva dell'inno che era stato inviato in omaggio a moltissime scolaresche e diffuso specialmente in Piemonte e Liguria grazie alla collaborazione della prof. Jolanda Audino Dentis, presidente dell'Associazione Europea degli Insegnanti di Torino, e della prof. Vittoria Cavaglià, direttrice didattica di San Remo.
Dopo essere stato cantato in molte occasioni dalla corale «La Baita» di Cuneo, il momento di vero «pathos» fu raggiunto quando un'altra corale, la «San Maurizio» di Imperia si assunse l'incarico di presentare l'inno, dopo la sfilata dei carri, nello spettacolo che si sarebbe svolto, la sera al Teatro Ariston.
I coristi di Porto Maurizio arrivarono regolarmente mescolandosi, modesti e quasi inosservati nei loro abiti da pescatori acquistati a mie spese, tra le scintillanti divise di pennacchiuti ussari, l'indifferente sufficienza degli orchestrali della banda della marina militare americana, le rotondità procaci e il profumo carnale delle miss europee che avevano troneggiato sui carri, al pomeriggio.
A loro doveva toccare di iniziare il programma e si passarono la voce per schierarsi sulla scena a sipario ancora chiuso, in prima posizione, mentre gli altri gruppi (gli ussari, gli zampognari scozzesi, i ballerini spagnoli, gli sbandieratori tedeschi ...) ancora facevano capannello qua e là nei meandri del teatro.
Giunti alla soglia del palcoscenico ci si accorse, però, che dietro al sipario chiuso l'enorme palco era già completamente ostruito da una muraglia di uomini in divisa azzurro-cupo, che tenevano tra le braccia enormi tromboni luccicanti dalle aperture assai più larghe delle nostre normali trombe e tromboni e sembravano quasi dei bazooka.
La voce si diffuse in un baleno: chi erano costoro? Chi erano questi intrusi che soffiavano ai nativi l'onore di aprire lo spettacolo? Non ci volle molto a capirlo, si trattava della banda della marina militare AMERICANA!
I cacelotti e i ciantafurche (questi gli scherzosi soprannomi indicanti i portorini e gli onegliesi) del coro San Maurizio non tardarono a farsi prendere dai «fümasci» o, per dirla in altri termini, dai «futùi», e con rapida manovra, sgusciando fra quegli uomini impalati, si portarono davanti a loro, diciamo subito dietro la buca del suggeritore, ossia quasi a contatto col sipario. Qualcuno poi cominciò a far gesti verso gli americani invitandoli a retrocedere ed anche a spingerli verso il retroscena. Fino a quel momento tutto poteva attribuirsi a qualche errore organizzativo, ma quale non fu, invece, lo stupore quando il regista della trasmissione televisiva, che aveva pieni poteri, il solito «romanaccio» gonfio di prosopopea, si precipitò avanti intimando di andarsene non agli americani, ma ai coristi di San Maurizio.
Ne nacque un battibecco che venne percepito anche dalla platea e volò qualche cazzotto. Ma il regista Coccorese, che almeno il suo nome passi alla storia, fu inflessibile. Per lui «Europa» era solo uno pseudonimo di America, la grande «fiesta» dell'Europa in fiore doveva iniziare con questo grande oltraggio allo spirito dei federalisti europei, il dirompente e lacerante frastuono di una fanfara militare e, per di più, americana.
Finalmente il sipario si alzò e la gente compatta applaudì fragorosamente gli ottoni d'oltre Atlantico, con lo stesso entusiasmo con cui, forse, avrebbe applaudito i coristi di San Maurizio. Questi ultimi, invece, ancora in preda ai «fümasci», continuarono nel retroscena a discutere accanitamente ed a gesticolare e nemmeno la vicinanza delle miss o di altri simpatici figuranti riusciva a calmare i più agitati. Cosicché quando, dopo concitati parlamentari con l'assessore al turismo e poi di quest'ultimo con il regista, si ottenne finalmente che l'inno fosse cantato all'inizio del secondo tempo, quando si passò la voce ai coristi di prepararsi, purtroppo ci si accorse che quasi la metà, non potendo digerire l'oltraggio, se n'erano già andati, a prendere la corriera per Porto Maurizio, alla vicina autostazione.
Enrico Berio, ALPAZUR. Nizza, Cuneo, Imperia "Distretto Europeo". La cooperazione transfrontaliera nell'interregione delle Alpi Meridionali, IsrecIm, 1992, pp. 59,60,61
