giovedì 14 settembre 2023

I pomodori di Cervo Ligure nei ricordi di un grande intellettuale

Un angolo di Cervo (IM)

Il luogo a cui sono più legato al mondo è un paese nella costa di ponente della Liguria, Cervo, a metà strada tra Alassio e Imperia. È un paese bellissimo: probabilmente il più bello della Liguria. È molto antico. E le rare volte in cui penso al mio passato, mi accorgo che Cervo è l'unico luogo che conservo, intero o quasi, nella mente.
Pietro Citati, Cervo Riviera dei Fiori, Minerva, 2021

“Che buoni i pomodori di Cervo! Li mangiavo senza stancarmi mai e non sopportavano paragoni nemmeno con i capolavori della cucina ligure: la torta pasqualina e la cima. Il pomodoro era il frutto supremo del Mediterraneo: dorato e amato dal sole. Oggi i frutti sono tutti uguali mentre il vero pomodoro ha forme diverse, complicate, con spaccature e screziature, e talvolta generosi aspetti barocchi, che piacevano ai pittori napoletani del diciassettesimo secolo. Non sanno di niente. Sono pieni d'acqua, mentre allora venivano innaffiati da ruscellini magri e parsimoniosi”.
Queste sono parole di Pietro Citati, che nacque a Firenze e trascorse la sua infanzia e adolescenza a Torino, dove frequentò il Liceo Massimo D'Azeglio.
Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, lui e la sua famiglia sfollarono a Cervo Ligure, che rimase il luogo a cui fu più legato. Questo paese del ponente ligure, a metà strada tra Alassio e Imperia, è un paese bellissimo e antico.
Citati è morto il 28 luglio di quest'anno a Roccamare, vicino a Castiglione della Pescaia, luogo dove riposa Italo Calvino, con il quale ebbe una lunga amicizia.
Laureato in Lettere Moderne all'Università Normale di Pisa, fu un grande intellettuale e critico letterario ma prima di tutto un lettore curioso e instancabile. Quelli che lo hanno conosciuto dicono che era impietoso e senza peli sulla lingua, capace di apostrofare come “i cretini” alcuni professori universitari, ma anche dotato di una estrema gentilezza che rivolgeva ai suoi studenti migliori.
“Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza” - diceva - “dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo, c'è una frase scritta apposta per noi”.
Come critico aveva un metodo diverso da tutti gli altri: leggeva tutto di un determinato scrittore e poi ne scandagliava la psiche ed eviscerava le parti più intime dei personaggi, come nel caso di Dickens. Citati ce lo descrive come instabile, isterico, istrionico, con una volontà di ferro, uno scrittore che sapeva toccare le profondità dell'animo umano ma aveva paura di perdere il successo e l'affetto dei suoi lettori, che a Natale si sedevano davanti al camino divorando tacchini e leggendo i suoi romanzi. Storie che parlavano di ombre, sogni, terrore e miseria. Con un piacere insaziabile nel raccontare e con l'ansia di essere abbandonato (lo stesso sentimento che provano gli orfani delle sue storie). Dickens ci rivela come il fascino che alcuni personaggi esercitano, possa nascondere l'abisso e l'orrore.
Lo scrittore inglese viene raccontato dal critico come un uomo sempre lieto, pieno di estro, con un'allegria furiosa, che non si annoiava mai, che amava le belle giornate e con una tale immaginazione che poteva beffarsi della realtà. Dotato di un grande senso dell'umorismo, amava i buoni, soprattutto quelli buffi.
Chissà se Citati stesse parlando anche un po' di sé, proiettando sul giovane Dickens alcuni aspetti della sua natura.
Aveva amato smodatamente anche Pinocchio, e del suo autore racconta che era stato un gran giocatore, che aveva perso al tavolo da gioco molti guadagni ricavati dai suoi innumerevoli lavori (impiegato, libraio, giornalista, autore teatrale); Collodi poteva fare di tutto ma si ubriacava e fumava troppi sigari toscani. Era nevrastenico e fobico, sembrava un bambino non cresciuto e aveva la mania di possedere molti cappelli. Ma era dotato di una immaginazione fenomenale e lo si capisce dalle prime parole del libro “c'era una volta… un re! diranno subito i miei piccoli lettori - no, ragazzi, avete sbagliato, c'era una volta un pezzo di legno”.
Sono convinta che Citati amasse questo libro perché anche Pinocchio, come già molti personaggi dei romanzi di Dickens, a modo suo è un orfano; figlio di un secolo che ama la spontaneità, l'illegalità e la crudeltà infantile ma vorrebbe correggerla e castigarla trasformando l'enfant terrible in un ragazzino per bene. Pinocchio è vanitoso, credulone e bugiardo ma anche sentimentale, con una struttura psicologica molto complessa. Un libro di iniziazione, di trasformazione come lo sono tutte le fiabe: quando Pinocchio viene buttato in mare senza pietà risalirà diverso e in una notte di luna piena prenderà il padre per mano e nuoterà con Geppetto sulle spalle guadagnando la riva.
Citati, con grande sensibilità ed intelligenza, dà origine ad una “critica narrativa” che analizza il testo e le biografie; le poetiche di grandi autori diventano a noi semplici lettori più familiari e comprensibili.
Da ragazzino, guardando il mare dalla sua camera a Cervo Ligure, aveva visto un sommergibile inglese, dal quale erano emersi soldati in bermuda che dopo qualche minuto rientrarono nel ventre del sottomarino. Quando raccontava questa esperienza giovanile che era capitata durante la guerra aveva un tono lieve e divertito; chissà se pensava al suo Pinocchio che emergeva dal ventre del pescecane?
Laura Bonfiglio, Che buoni i pomodori di Cervo!, Margutte, 21 ottobre 2022 

Cervo (IM): una vista su Capo Berta e sul Dianese 

[...] "Quand'ero ragazzo, passavo le lunghe vacanze estive a Cervo Ligure, un piccolo, bellissimo paese tra Alassio e Imperia. Ogni mattino, verso l'una, se avevo fatto il bagno nella spiaggia più famigliare, il Pilone, pieno di scogli e scoglietti coperti di alghe, tornavo a casa, in cima al paese. Con la gioiosa ed ansiosa velocità della giovinezza, risalivo centocinquanta ripidi scalini. Correvo. La prima rampa era la più dura. Poi s'allargava una piazzetta. Lì c'era un vecchio palazzo in rovina: dove, in una specie di antro, abitava l'unico barbiere-parrucchiere di Cervo Ligure. Credo che ci dormisse, in un lettuccio lungo la parete. Era il più povero barbiere, che abbia mai conosciuto: molto più povero di Geppetto. Nell'antro dipinto di calce bianca come una moschea del Sahara, non c'era quasi niente: solo un vecchio rasoio, un paio di forbici, un pettine, una grossa brocca piena di acqua fredda, un fornellino che cercava timidamente di produrre acqua tiepida, una sedia, un bacile sopra un treppiede. I fohn e le macchinette superavano le possibilità finanziarie del barbiere. I clienti erano pochissimi: pescatori di origine napoletana; gli appena abbienti andavano dai sontuosi parrucchieri di Diano Marina, a tre chilometri. Sopra la sedia stava un giornale di Genova, La Gazzetta Mercantile: sempre lo stesso giornale, di alcuni anni prima, che doveva placare le curiosità intellettuali dei clienti. Il vecchio barbiere aveva i modi e l'eleganza di un principe o di un duca alla corte di Versailles, al tempo di Luigi XIV. Salutava con discrezione e grazia, con un lieve cenno del capo: aveva un particolare sorriso per me, perché appartenevo ai potenti (senza potere) di Cervo Ligure. Quando arrivavo davanti al suo antro, stava pranzando. E mi invitava con un sorriso dolcissimo: «Vuol favorire?». Era un gesto puramente simbolico, che apparteneva alla sua buonissima educazione. Nulla di reale gli corrispondeva, perché né lui voleva separarsi dal suo poco cibo, né io volevo intingere la forchetta in un bacile, che assomigliava pericolosamente al bacile che gli serviva per insaponare i clienti. Non mangiava mai né carne né pesce, perché costavano troppo. Il suo pranzo era sempre e soltanto il condijun ligure (che i liguri colti traducevano in italiano con condiglione): vale a dire, cipolla, basilico, peperoni, insalata, qualche oliva, qualche acciuga, e soprattutto POMODORO [...] Non ci sarà, da qualche parte, in Liguria, o nelle Puglie o in Sicilia, un giovane, audace imprenditore, capace di far rinascere i pomodori? Non ci vogliono molti capitali: eccellenti semi, poca acqua, sole, diligenza, attenzione, precisione, accordo con qualche supermercato. I veri pomodori hanno un grande pubblico: quasi come i libri di Alessandro Baricco. In piccola parte, potrei contribuire al finanziamento. Come molti, sarei disposto a pagare i veri pomodori almeno venti euro al chilo [n.d.r.: racconto di Pietro Citati]".
I pomodori di Cervo Ligure.
Mauro Salucci, Pomodori di Cervo Ligure e altre storie di Pietro Citati, zena a toua, 7 febbraio 2022