Non so gli ultimi giorni, ma certo gli ultimi anni di buon ritiro onegliese di Alessandro Natta hanno potuto godere di una palese felicità mentale anche grazie alla letteratura e alla poesia. Quella letteratura su cui si formò negli anni della Scuola Normale di Pisa, classe di lettere, con compagni come Ettore Bonora che - Natta medesimo raccontava - gli furono quasi maestri nello studio e nell'intelligenza della grande poesia francese da Baudelaire ad Apollinaire, e i maestri a pieno titolo come Luigi Russo, docente ammirato e temutissimo di Letteratura italiana che non transigeva sui fondamenti classici della preparazione degli allievi, per i quali dunque l'arte, la letteratura e la poesia contemporanea dovevano restare ai margini, quasi un culto privato; tant'è che Natta sgobbò parecchio prima sul Canzoniere del Petrarca e poi sul Leopardi. Questi ricordi sono racchiusi in una recentissima nota a Alfonso Gatto, Alla scoperta della terra più sconosciuta (Ed. San Marco dei Giustiniani), ovvero gli articoli che Gatto scrisse nel 1947 per "l'Unità" sui luoghi più belli della Riviera di Ponente.
Ma, tra gli studi e gli interventi di Natta sulla letteratura (un esempio: la biografia del portorino Giovanni Boine), non avrei dubbi - anche perché ne conservo memoria viva - ad attribuire un valore quasi testamentario alla sua rilettura di Giorgio Caproni, fatta il 21 giugno 1997 al Santuario di Montebruno in Val Trebbia, in occasione di una tavola rotonda sul poeta con Massimo Quaini e chi scrive (ora si legge in "Per Giorgio Caproni", sempre per i tipi di Giorgio Devoto, un editore che ha affettuosamente e intelligentemente contribuito a estrarre Natta dalla nicchia onegliese e a proporgli benefiche sfide di lettura).
Ebbene, Natta qui, in un soggetto intitolato "Il tempo e il luogo della guerra", s'ingaggia nella lettura serratissima di un poeta che evidentemente conosce benissimo e che gli serve per ripercorrere l'autobiografia propria e di tutta una generazione, senza tuttavia scomporre di un millimetro Caproni, anzi evidenziandone, a forza di citazioni, le prese di posizione sul conflitto e sulla resistenza sia in versi che in prosa (con un'intensa rilettura del racconto caproniano "Il labirinto").
E prese posizioni anche secche, quanto mai attuali: «Provare compassione e rimorso di fronte alla distruzione nel mondo di milioni e milioni di uomini (...); essere aperti e fraterni ai tanti che passarono le barricate e trovarono nelle brigate garibaldine un riscatto, come anche qui accadde a molti alpini della "Monterosa"; e patire, sentire pietà anche per i fascisti, anche per "i torturati e i carnefici dei nostri compagni", giustamente condotti a morte, nell'aprile del '45, sui sassi della Val Trebbia, non significa affatto confondere le idee, il costume, la condotta degli uni e degli altri, non vuol dire affatto pareggiare i conti della storia, legittimare ed eguagliare il passato degli uni e degli altri: il collaborazionismo subalterno e la violenza assassina di Salò e il patriottismo nuovo e fiero del movimento partigiano che rifondeva la dignità e l'unità della nazione nel segno della libertà e della giustizia sociale».
E poco dopo: «E la Repubblica, del resto, è stata già estremamente magnanima e pronta nel chiudere ferite, nel concedere pietosi perdoni. Forse anche al di là del giusto».
Può essere che lo avvertisse pure Caproni quando dopo tanti anni, e nuove guerre lontane e feroci e stragi oscure, indicibili nel nostro Paese, sembrava constatare con disincanto e in modo desolato la fine della memoria della resistenza: «I morti per la libertà / Chi l'avrebbe mai detto. / I morti. Per la libertà./ Sono tutti sepolti».
Per dire che gli ultimi anni di Natta sono stati tutt'altro che uno stanco ripiegamento nostalgico o un chiuso silenzio.
La letteratura coniugata con la storia, secondo l'insegnamento di Russo e il costume di una vita, è riuscito anzi a farla oggetto di un nuovo investimento, un bilancio e una conferma di posizioni incrollabili, le stesse delle ragioni della sua estraneità di uomo, costruitosi in altri tempi, ai tempi nuovi e alla cultura trasformata, di cui forse lui non dichiarava apertamente tutto l'orrore che avvertiva.
E la poesia, coraggiosissima e sempre in trincea (se non altro sul fronte estremo, teologico), di un uomo tutto d'un pezzo come Caproni lo aiutò a trovare ciò che in ultimo si fatica sempre a trovare, le parole giuste.
Così iniziava, appunto, quel suo testo letto in Val Trebbia: «Forse perché mi appresso oramai al limite, e sta già passando per me il momento di decidere, anch'io, di staccare dal muro la lanterna e di scendere nel vallone, forse é per questo che la poesia di Giorgio Caproni mi inquieta e mi affascina sempre più».
Giorgio Bertone, Le passioni politiche e letterarie, (da "Il Secolo XIX" - 29 maggio 2001) in Pagine Nuove del Ponente, bimestrale di politica e cultura, Imperia, Numero 4 - Anno III luglio-agosto 2001
Ma, tra gli studi e gli interventi di Natta sulla letteratura (un esempio: la biografia del portorino Giovanni Boine), non avrei dubbi - anche perché ne conservo memoria viva - ad attribuire un valore quasi testamentario alla sua rilettura di Giorgio Caproni, fatta il 21 giugno 1997 al Santuario di Montebruno in Val Trebbia, in occasione di una tavola rotonda sul poeta con Massimo Quaini e chi scrive (ora si legge in "Per Giorgio Caproni", sempre per i tipi di Giorgio Devoto, un editore che ha affettuosamente e intelligentemente contribuito a estrarre Natta dalla nicchia onegliese e a proporgli benefiche sfide di lettura).
Ebbene, Natta qui, in un soggetto intitolato "Il tempo e il luogo della guerra", s'ingaggia nella lettura serratissima di un poeta che evidentemente conosce benissimo e che gli serve per ripercorrere l'autobiografia propria e di tutta una generazione, senza tuttavia scomporre di un millimetro Caproni, anzi evidenziandone, a forza di citazioni, le prese di posizione sul conflitto e sulla resistenza sia in versi che in prosa (con un'intensa rilettura del racconto caproniano "Il labirinto").
E prese posizioni anche secche, quanto mai attuali: «Provare compassione e rimorso di fronte alla distruzione nel mondo di milioni e milioni di uomini (...); essere aperti e fraterni ai tanti che passarono le barricate e trovarono nelle brigate garibaldine un riscatto, come anche qui accadde a molti alpini della "Monterosa"; e patire, sentire pietà anche per i fascisti, anche per "i torturati e i carnefici dei nostri compagni", giustamente condotti a morte, nell'aprile del '45, sui sassi della Val Trebbia, non significa affatto confondere le idee, il costume, la condotta degli uni e degli altri, non vuol dire affatto pareggiare i conti della storia, legittimare ed eguagliare il passato degli uni e degli altri: il collaborazionismo subalterno e la violenza assassina di Salò e il patriottismo nuovo e fiero del movimento partigiano che rifondeva la dignità e l'unità della nazione nel segno della libertà e della giustizia sociale».
E poco dopo: «E la Repubblica, del resto, è stata già estremamente magnanima e pronta nel chiudere ferite, nel concedere pietosi perdoni. Forse anche al di là del giusto».
Può essere che lo avvertisse pure Caproni quando dopo tanti anni, e nuove guerre lontane e feroci e stragi oscure, indicibili nel nostro Paese, sembrava constatare con disincanto e in modo desolato la fine della memoria della resistenza: «I morti per la libertà / Chi l'avrebbe mai detto. / I morti. Per la libertà./ Sono tutti sepolti».
Per dire che gli ultimi anni di Natta sono stati tutt'altro che uno stanco ripiegamento nostalgico o un chiuso silenzio.
La letteratura coniugata con la storia, secondo l'insegnamento di Russo e il costume di una vita, è riuscito anzi a farla oggetto di un nuovo investimento, un bilancio e una conferma di posizioni incrollabili, le stesse delle ragioni della sua estraneità di uomo, costruitosi in altri tempi, ai tempi nuovi e alla cultura trasformata, di cui forse lui non dichiarava apertamente tutto l'orrore che avvertiva.
E la poesia, coraggiosissima e sempre in trincea (se non altro sul fronte estremo, teologico), di un uomo tutto d'un pezzo come Caproni lo aiutò a trovare ciò che in ultimo si fatica sempre a trovare, le parole giuste.
Così iniziava, appunto, quel suo testo letto in Val Trebbia: «Forse perché mi appresso oramai al limite, e sta già passando per me il momento di decidere, anch'io, di staccare dal muro la lanterna e di scendere nel vallone, forse é per questo che la poesia di Giorgio Caproni mi inquieta e mi affascina sempre più».
Giorgio Bertone, Le passioni politiche e letterarie, (da "Il Secolo XIX" - 29 maggio 2001) in Pagine Nuove del Ponente, bimestrale di politica e cultura, Imperia, Numero 4 - Anno III luglio-agosto 2001