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Il Monte Toraggio - Foto Moreschi |
Primi asfodeli a Monte Ceppo - Foto Moreschi |
Il settore meramente alpino della Liguria, pur nella sua limitata estensione circoscritta alla porzione delle Alpi liguri ed all'inizio delle Marittime, rappresenta uno fra gli ambiti più rilevanti e peculiari per la sua prossimità all'ambiente mediterraneo ed al forte condizionamento climatico che ne subisce.
Le sue cime più significative attorno ai 2000 metri d'altitudine, a volte superandoli, altre volte rimanendo di poco al di sotto, si chiamano Toraggio, Pietravecchia, Cima Marta, Saccarello, Mongioje, Marguareis, Carmo, Armetta, che si affiancano a quelli di minor elevazione, ma dotati di caratteri geologici, climatici, e vegetazionali, propri dell'orizzonte alpino: sono il gruppo sovrastante Voltri, la cerchia montuosa di Santo Stefano d'Aveto, l'Aiona, il Maggiorasca, con situazioni ambientali del tutto differenziate rispetto al panorama vegetale dell'Appennino ligure.
La fascia più elevata della nostra regione, fra l'altro percorsa da Ventimiglia a La Spezia da una straordinaria arteria, lunga 440 chilometri, chiamata "Alta Via dei Monti Liguri", dal punto di vista vegetazionale presenta piani articolati, che si susseguono a volte in modo coerente, altre volte con passaggi repentini dall'areale del Faggio, a quelli di Larice, Abete e Pinus sylvestris, per arrivare al regno indiscusso degli arbusti contorti (Rhododendron ferrugineum e Juniperus sabina), ed infine a quello culminale delle praterie e delle rupi.
La flora presente denuncia i tipici connotati delle piante alpine, soggette a condizioni ambientali e climatiche molto difficili che innescano una complessa gamma di opportuni adattamenti per la conservazione della specie e la caparbia difesa di ogni minimo frammento di territorio, formando associazioni vegetali riscontrabili con minime variazioni in tutta la cerchia alpina.
Molti di questi fattori evolutivi sono legati alla storia delle catene montuose.
Le montagne liguri con la loro concentrazione in spazi limitati di una varietà rilevante di condizioni ambientali difformi, hanno consentito la stabile residenza a molti vegetali, anche nei periodi in cui le condizioni generali del clima sono mutate più volte radicalmente.
Le sue cime più significative attorno ai 2000 metri d'altitudine, a volte superandoli, altre volte rimanendo di poco al di sotto, si chiamano Toraggio, Pietravecchia, Cima Marta, Saccarello, Mongioje, Marguareis, Carmo, Armetta, che si affiancano a quelli di minor elevazione, ma dotati di caratteri geologici, climatici, e vegetazionali, propri dell'orizzonte alpino: sono il gruppo sovrastante Voltri, la cerchia montuosa di Santo Stefano d'Aveto, l'Aiona, il Maggiorasca, con situazioni ambientali del tutto differenziate rispetto al panorama vegetale dell'Appennino ligure.
La fascia più elevata della nostra regione, fra l'altro percorsa da Ventimiglia a La Spezia da una straordinaria arteria, lunga 440 chilometri, chiamata "Alta Via dei Monti Liguri", dal punto di vista vegetazionale presenta piani articolati, che si susseguono a volte in modo coerente, altre volte con passaggi repentini dall'areale del Faggio, a quelli di Larice, Abete e Pinus sylvestris, per arrivare al regno indiscusso degli arbusti contorti (Rhododendron ferrugineum e Juniperus sabina), ed infine a quello culminale delle praterie e delle rupi.
La flora presente denuncia i tipici connotati delle piante alpine, soggette a condizioni ambientali e climatiche molto difficili che innescano una complessa gamma di opportuni adattamenti per la conservazione della specie e la caparbia difesa di ogni minimo frammento di territorio, formando associazioni vegetali riscontrabili con minime variazioni in tutta la cerchia alpina.
Molti di questi fattori evolutivi sono legati alla storia delle catene montuose.
Le montagne liguri con la loro concentrazione in spazi limitati di una varietà rilevante di condizioni ambientali difformi, hanno consentito la stabile residenza a molti vegetali, anche nei periodi in cui le condizioni generali del clima sono mutate più volte radicalmente.
Pertanto si spiega come sia possibile ritrovare sui nostri rilievi montuosi, anche se presenti in limitate stazioni, piante di origine caucasica, himalayana, provenienti da ambienti steppici, dalle tundre nordiche, specie mediterranee e nordafricane accanto a quelle da sempre indigene.
Tutto ciò ha richiesto strategie di adattamento molto sofisticate. Poiché la maggior parte di liquidi viene eliminato tramite gli stomi delle foglie, il problema principale è quello della traspirazione; può esser regolata razionalmente dall'ispessimento delle pareti cellulari dell'epidermide, se queste diventano più consistenti o se vengono rivestite di mezzi protettivi fisici, se l'ampiezza delle lamine è limitata.
Le diverse soluzioni adottate a questo scopo sono:
tormentosità più o meno fitta per deviare i raggi del sole e mantenere uno strato di aria contatto con l'epidermide come nelle Artemisia, Hieracium, Antennaria, Leontopodium: oppure setole o seta come nei Juncus, Carex, Allium
rivestimenti cerosi come nella Primula farinosa e longiflora, Cerinte glabra, ecc
spessore e minor superficie fogliare per accumulare i succhi nei tessuti come i Sempervivum, Sedum, Rhodiola
superficie cuoiosa e coriacea come il Rhododendron, l'Arctostaphylos, la Globularia cordifolia o la Polygala chamaebuxus)
ripiegamento dei bordi su se stessi per ridurre il contatto con l'aria della lamina come nell' Erica carnea.
Un'altro aspetto fra i più evidenti nelle specie alpine è quello della statura ridotta, con portamento quasi sempre aderente al suolo per difendersi dai venti, la cui velocità si attenua in prossimità della superficie; in tal modo diminuisce anche la traspirazione con la possibilità di un rifornimento rapido di liquidi.
L'aria rarefatta delle alte quote causa forti escursioni termiche segnate da una forte insolazione diurna e la successiva dispersione di calore della notte, obbligando molte specie a munirsi di utili difese anche contro il gelo. A contatto con il suolo il fusto principale della pianta produce attorno a se numerose ramificazioni secondarie fittamente fogliose, formando un tappeto compatto ed emisferico (pulvino); ottiene così il triplice risultato di assorbire tutta l'acqua necessaria, ridurre al minimo la traspirazione, superare gli sbalzi di temperatura. Ne sono un esempio probante i cuscini formati dalla Silene acaulis, i diversi Semprevivi, maestri nel trovare ospitalità nelle fessure, le Sassifraghe penzolanti con le loro grandi spighe fiorite da tutte le pareti rocciose.
Anche le rosette basali, nelle quali risiede la maggior parte del laboratorio fogliare, si trovano strettamente appressate alla base del fusto compresso, con uno stelo, quasi sempre nudo o poco foglioso, destinato a tenere alto il fiore, come negli Hieracium, Aster, Armeria, Arnica.
La stessa funzione è affidata ai cespi composti da numerosi virgulti tutti fittamente riuniti fra di loro, a volte tappezzanti e cespugliosi come nel caso del Nardus stricta, delle specie d'alta quota di Festuca, Carex ed Artemisia.
Infine la categoria dei vegetali prostrati che distendono fusto e foglie facendoli strisciare aderenti al terreno come la Dryas octopetala, il Salix rethiculata o retusa, la Saxifraga oppositifolia e la rara Loiseleuria procumbens. I detriti pietrosi permettono inoltre la conservazione di una gran varietà di specie molto particolari a distribuzione limitata come la Petrocallis pyrenaica, i diversi Thlaspi, l'Erinus alpinus, l'Eritrichium nanum.
Sono tutte piante molto frugali ma poco resistenti alla concorrenza di specie più aggressive, come quelle che lottano quotidianamente nei prati di tutte le altitudini. Il loro ciclo vegetativo è stato sensibilmente ridotto per consentire l'espletamento di tutte le operazioni legate alla fioritura ed alla fruttificazione, ben prima del lungo periodo di innevamento e del riposo invernale. L'azione intensa dei raggi solari ha provocato un'altro meccanismo difensivo insospettabile, come l'intensa colorazione dei fiori dovuta alla maggiore concentrazione di pigmenti.
Serve per riflettere i raggi almeno in parte e richiamare gli insetti pronubi perché compiano la loro opera al più presto. Infatti è inutile cercare in questi luoghi specie anemofile, in grado di produrre la grande quantità di polline necessaria a non fallire quando ci si affida all'aria per la propagazione della specie. I mutamenti della crosta terrestre e quelli biologici hanno causato sulle montagne zone di insediamento vegetale sovrapponibili in senso verticale a quelle che seguendo la curvatura della terra si riscontrano sui due emisferi a partire dall'equatore verso i rispettivi poli. Nella parte bassa boschi d'alto fusto; quindi, estesi popolamenti arbustivi, seguiti dalle praterie culminali. A seconda dell'esposizione, le fasce della vegetazione alpina variano la loro quota di limite massimo, come accade sulle montagne della Liguria dove l'influenza del mare le fa progredire di 200 metri, rispetto al livello raggiunto sulle altre montagne europee.
Come abbiamo visto nelle Alpi Liguri, e nella porzione contigua di Marittime, sono presenti condizioni di favore, definite "oasi xerotermiche": in sostanza sono zone calde ed aride, in grado di ricreare le condizioni ambientali a clima di tipo substeppico, ideali per conservare la sopravvivenza delle specie originarie dell'Asia, arrivate sulle Alpi migliaia di anni fa nei periodi interglaciali caratterizzati da climi secchi. Venendo a tempi più recenti ed alle trasformazioni operate dall'uomo, il piano collinare vanta la maggior ricchezza di ambienti vegetali perché consente una media annuale di 250 giorni vegetativi; vi crescono, oltre alle piante coltivate, boschi di latifoglie miste, querceti con castagneti sui versanti più freschi. Le zone più aride ospitano le conifere come il Pinus pinaster ed il sylvestris. Anche questa fascia ha subito quasi dovunque modificazioni per sfruttare il lungo periodo vegetativo sostituendo il bosco originario con aree per la coltivazione o per lo sfalcio. L'orizzonte montano con 50 giornate vegetative in meno all'anno è in buona misura occupato dalla Faggeta frammista a Conifere e, sorprendentemente il Larix decidua, un albero abituato alle forti escursioni termiche annuali, che resiste altrettanto bene a temperature rigide ed a quelle più calde dell'estate con aria asciutta. Ne è la prova provata la sua presenza in Liguria a quote ben inferiori alla media europea e solamente ad una decina di chilometri dal mare sul Monte Ceppo, nell'alta valle del Tanaro, attorno ai monti Toraggio e Pietravecchia, nella foresta demaniale di Gerbonte ai piedi del Saccarello. In prevalenza i boschi sono governati a ceppaia, per ricavare legna da ardere o legname di pregio per la falegnameria. Al di sopra si trova quello che non tutti chiamano piano subalpino, caratterizzato ancora da boschi di Conifere, dove l'attività umana prevalente è quella legata alla pastorizia. E' occupato da pascoli estesi, rubati alla foresta preesistente ed aggiunti alla praterie naturali del successivo piano alpino. In questo modo il limite naturale estremo raggiunto dagli alberi è stato abbassato in tutta la cerchia alpina assieme a quello chiamato degli arbusti contorti, compresi i Rododendron, Juniperus e l'Alnus viridis.
Al di sopra del piano alpino dove le giornate vegetative sono inferiori a 100, la pastorizia, rimane l'unica attività; dopo comincia il piano nivale, ossia la fascia di nevi perenni che in Liguria è pressoché assente. Tornando al sottobosco ed alle radure il Rhododendron ferrugineum si impone come il più tipico arbusto della zona alpina ligure per la sua ampia diffusione lungo una fascia molto estesa che scende a toccare il record di vicinanza al mare sul Monte Bignone alle spalle di Sanremo ed al monte Carmo sopra Loano. Molte sono le specie ad areale ristretto come l'Aquilegia bertoloni o il Lilium pomponium.
Non sono le uniche specie endemiche ospiti della Liguria e, fra queste, vale la pena si segnalare il Rhaponticum bicknelli, una Centaurea gigante presente anche a limiti inferiori, dedicata al celebre botanico e studioso inglese, Clarence Bicknell. Bicknell è stato un famoso pioniere della ricerca botanica ed archeologica con le sue pubblicazioni sulla Flora dell'estremo ponente, la scoperta e lo studio specifico degli antichi graffiti sulle rocce della Valle delle Meraviglie. Ha contribuito enormemente a segnalare l'importanza ambientale dell'estremo ponente al mondo scientifico dell'ottocento.
Molte specie che segnano nelle Alpi la loro maggiore presenza come la Tulipa sylvestris, la Corydalis solida, la Rosa pendulina, sono insediate anche in altri ambiti montuosi nel resto della Liguria come si può riscontrare nella conca della Val d'Aveto comprendente i rilievi del Maggiorasca ed Aiona, caratterizzata da una brughiera di tipo alpino, punteggiata di cespugli di Vaccinium vitis-idaea e Vaccinum ulginosum; testimonianza residuale di antichissimi fenomeni glaciali sulla della vegetazione di questi ambienti notevolmente differenziati dal resto dell'Appennino.
Tutto ciò ha richiesto strategie di adattamento molto sofisticate. Poiché la maggior parte di liquidi viene eliminato tramite gli stomi delle foglie, il problema principale è quello della traspirazione; può esser regolata razionalmente dall'ispessimento delle pareti cellulari dell'epidermide, se queste diventano più consistenti o se vengono rivestite di mezzi protettivi fisici, se l'ampiezza delle lamine è limitata.
Le diverse soluzioni adottate a questo scopo sono:
tormentosità più o meno fitta per deviare i raggi del sole e mantenere uno strato di aria contatto con l'epidermide come nelle Artemisia, Hieracium, Antennaria, Leontopodium: oppure setole o seta come nei Juncus, Carex, Allium
rivestimenti cerosi come nella Primula farinosa e longiflora, Cerinte glabra, ecc
spessore e minor superficie fogliare per accumulare i succhi nei tessuti come i Sempervivum, Sedum, Rhodiola
superficie cuoiosa e coriacea come il Rhododendron, l'Arctostaphylos, la Globularia cordifolia o la Polygala chamaebuxus)
ripiegamento dei bordi su se stessi per ridurre il contatto con l'aria della lamina come nell' Erica carnea.
Un'altro aspetto fra i più evidenti nelle specie alpine è quello della statura ridotta, con portamento quasi sempre aderente al suolo per difendersi dai venti, la cui velocità si attenua in prossimità della superficie; in tal modo diminuisce anche la traspirazione con la possibilità di un rifornimento rapido di liquidi.
L'aria rarefatta delle alte quote causa forti escursioni termiche segnate da una forte insolazione diurna e la successiva dispersione di calore della notte, obbligando molte specie a munirsi di utili difese anche contro il gelo. A contatto con il suolo il fusto principale della pianta produce attorno a se numerose ramificazioni secondarie fittamente fogliose, formando un tappeto compatto ed emisferico (pulvino); ottiene così il triplice risultato di assorbire tutta l'acqua necessaria, ridurre al minimo la traspirazione, superare gli sbalzi di temperatura. Ne sono un esempio probante i cuscini formati dalla Silene acaulis, i diversi Semprevivi, maestri nel trovare ospitalità nelle fessure, le Sassifraghe penzolanti con le loro grandi spighe fiorite da tutte le pareti rocciose.
Anche le rosette basali, nelle quali risiede la maggior parte del laboratorio fogliare, si trovano strettamente appressate alla base del fusto compresso, con uno stelo, quasi sempre nudo o poco foglioso, destinato a tenere alto il fiore, come negli Hieracium, Aster, Armeria, Arnica.
La stessa funzione è affidata ai cespi composti da numerosi virgulti tutti fittamente riuniti fra di loro, a volte tappezzanti e cespugliosi come nel caso del Nardus stricta, delle specie d'alta quota di Festuca, Carex ed Artemisia.
Infine la categoria dei vegetali prostrati che distendono fusto e foglie facendoli strisciare aderenti al terreno come la Dryas octopetala, il Salix rethiculata o retusa, la Saxifraga oppositifolia e la rara Loiseleuria procumbens. I detriti pietrosi permettono inoltre la conservazione di una gran varietà di specie molto particolari a distribuzione limitata come la Petrocallis pyrenaica, i diversi Thlaspi, l'Erinus alpinus, l'Eritrichium nanum.
Sono tutte piante molto frugali ma poco resistenti alla concorrenza di specie più aggressive, come quelle che lottano quotidianamente nei prati di tutte le altitudini. Il loro ciclo vegetativo è stato sensibilmente ridotto per consentire l'espletamento di tutte le operazioni legate alla fioritura ed alla fruttificazione, ben prima del lungo periodo di innevamento e del riposo invernale. L'azione intensa dei raggi solari ha provocato un'altro meccanismo difensivo insospettabile, come l'intensa colorazione dei fiori dovuta alla maggiore concentrazione di pigmenti.
Serve per riflettere i raggi almeno in parte e richiamare gli insetti pronubi perché compiano la loro opera al più presto. Infatti è inutile cercare in questi luoghi specie anemofile, in grado di produrre la grande quantità di polline necessaria a non fallire quando ci si affida all'aria per la propagazione della specie. I mutamenti della crosta terrestre e quelli biologici hanno causato sulle montagne zone di insediamento vegetale sovrapponibili in senso verticale a quelle che seguendo la curvatura della terra si riscontrano sui due emisferi a partire dall'equatore verso i rispettivi poli. Nella parte bassa boschi d'alto fusto; quindi, estesi popolamenti arbustivi, seguiti dalle praterie culminali. A seconda dell'esposizione, le fasce della vegetazione alpina variano la loro quota di limite massimo, come accade sulle montagne della Liguria dove l'influenza del mare le fa progredire di 200 metri, rispetto al livello raggiunto sulle altre montagne europee.
Come abbiamo visto nelle Alpi Liguri, e nella porzione contigua di Marittime, sono presenti condizioni di favore, definite "oasi xerotermiche": in sostanza sono zone calde ed aride, in grado di ricreare le condizioni ambientali a clima di tipo substeppico, ideali per conservare la sopravvivenza delle specie originarie dell'Asia, arrivate sulle Alpi migliaia di anni fa nei periodi interglaciali caratterizzati da climi secchi. Venendo a tempi più recenti ed alle trasformazioni operate dall'uomo, il piano collinare vanta la maggior ricchezza di ambienti vegetali perché consente una media annuale di 250 giorni vegetativi; vi crescono, oltre alle piante coltivate, boschi di latifoglie miste, querceti con castagneti sui versanti più freschi. Le zone più aride ospitano le conifere come il Pinus pinaster ed il sylvestris. Anche questa fascia ha subito quasi dovunque modificazioni per sfruttare il lungo periodo vegetativo sostituendo il bosco originario con aree per la coltivazione o per lo sfalcio. L'orizzonte montano con 50 giornate vegetative in meno all'anno è in buona misura occupato dalla Faggeta frammista a Conifere e, sorprendentemente il Larix decidua, un albero abituato alle forti escursioni termiche annuali, che resiste altrettanto bene a temperature rigide ed a quelle più calde dell'estate con aria asciutta. Ne è la prova provata la sua presenza in Liguria a quote ben inferiori alla media europea e solamente ad una decina di chilometri dal mare sul Monte Ceppo, nell'alta valle del Tanaro, attorno ai monti Toraggio e Pietravecchia, nella foresta demaniale di Gerbonte ai piedi del Saccarello. In prevalenza i boschi sono governati a ceppaia, per ricavare legna da ardere o legname di pregio per la falegnameria. Al di sopra si trova quello che non tutti chiamano piano subalpino, caratterizzato ancora da boschi di Conifere, dove l'attività umana prevalente è quella legata alla pastorizia. E' occupato da pascoli estesi, rubati alla foresta preesistente ed aggiunti alla praterie naturali del successivo piano alpino. In questo modo il limite naturale estremo raggiunto dagli alberi è stato abbassato in tutta la cerchia alpina assieme a quello chiamato degli arbusti contorti, compresi i Rododendron, Juniperus e l'Alnus viridis.
Al di sopra del piano alpino dove le giornate vegetative sono inferiori a 100, la pastorizia, rimane l'unica attività; dopo comincia il piano nivale, ossia la fascia di nevi perenni che in Liguria è pressoché assente. Tornando al sottobosco ed alle radure il Rhododendron ferrugineum si impone come il più tipico arbusto della zona alpina ligure per la sua ampia diffusione lungo una fascia molto estesa che scende a toccare il record di vicinanza al mare sul Monte Bignone alle spalle di Sanremo ed al monte Carmo sopra Loano. Molte sono le specie ad areale ristretto come l'Aquilegia bertoloni o il Lilium pomponium.
Non sono le uniche specie endemiche ospiti della Liguria e, fra queste, vale la pena si segnalare il Rhaponticum bicknelli, una Centaurea gigante presente anche a limiti inferiori, dedicata al celebre botanico e studioso inglese, Clarence Bicknell. Bicknell è stato un famoso pioniere della ricerca botanica ed archeologica con le sue pubblicazioni sulla Flora dell'estremo ponente, la scoperta e lo studio specifico degli antichi graffiti sulle rocce della Valle delle Meraviglie. Ha contribuito enormemente a segnalare l'importanza ambientale dell'estremo ponente al mondo scientifico dell'ottocento.
Molte specie che segnano nelle Alpi la loro maggiore presenza come la Tulipa sylvestris, la Corydalis solida, la Rosa pendulina, sono insediate anche in altri ambiti montuosi nel resto della Liguria come si può riscontrare nella conca della Val d'Aveto comprendente i rilievi del Maggiorasca ed Aiona, caratterizzata da una brughiera di tipo alpino, punteggiata di cespugli di Vaccinium vitis-idaea e Vaccinum ulginosum; testimonianza residuale di antichissimi fenomeni glaciali sulla della vegetazione di questi ambienti notevolmente differenziati dal resto dell'Appennino.
di Alfredo Moreschi