domenica 30 gennaio 2022

Siamo in circa duemila provenienti da Yol e non mi risulta che ce ne siano di Imperia

Oneglia: uno scorcio

[n.d.r.: alle vicende salienti della vita di Giacomo Agnese si è già fatto qui riferimento, per cui si rimanda anche a questo collegamento, sottolineando che le missive che seguono sono state scritte nell'ultimo periodo di prigionia in India dell'autore]
[...] 25 settembre 1944
Mia cara, due tue lettere, del 25 gennaio e del 26 marzo, costituiscono i tuoi più recenti scritti in mie mani. Sono molto preoccupato per te, per la bambina e per i vecchi: comprendo quanto queste attuali settimane siano dure per tutti voi, né vedo ancora quando potremo porre la parola fine. Spero che non avrai mai lasciato Costigliolo e che non ti sarai staccata dalla bimba: dovete stare insieme e mai separarvi dalla campagna, che sempre potrà darvi i mezzi di nutrimento. Gradirei sapere quali mie lettere hai ricevuto da un anno a questa parte. Tu sai da tempo quanto io stimi il mio vecchio padre: egli potrà, credo, essere sempre in grado di darti dei buoni consigli. Mia Lina, ogni cosa andrà meglio domani, sta certa che non tutto il male è venuto per nuocere, anche se il grido di dolore dell'umanità sembra salire sino al sordo cielo. Tutto comincerei ora sulla strada che mio padre mi indicava (7) e che non potei comprendere quando ero immaturo. Attendimi. Ti bacio
Jacques
21 dicembre 1944
Lina carissima,  
per il rimpatrio non ho nessuna speranza e ciò sarebbe nulla se potessi sapere che almeno te e la bambina state bene, o almeno che siete vive. Ma io e te siamo ben divisi, e nessuna luce di speranza è vicina. È inutile fare sogni e progetti per l'avvenire, quando la nostra stessa vita è incerta. Io vivo questa prigionia in una continua agitazione, non riesco a rassegnarmi, né ad abituarmi a qualcosa. Il primo anno ho dormito sempre per terra e ho vissuto completamente solo; qua, deambulo continuamente e mi privo, volutamente o per inerzia, anche d'ogni concessa comodità, come lenzuola o materassi.
Da quando ti ho lasciata non ti ho mai dimenticata un istante, e sei sempre stata, con la bimba, il mio principale pensiero e una costante preoccupazione. Se non ci fossi stata tu e le mie nuove convinzioni, probabilmente non avrei saputo trovare la forza per durare sinora in questa maledetta prigionia. Tu, dal campo di concentramento mi scrivesti che avevi alfine conosciuto il genere femminile, e io posso assicurarti che la cosa peggiore della prigionia sono i nostri simili. Se io non tornassi, certo sono parole dure ma bisogna dirle, ebbene sappi che non ho nulla da rimpiangere, tanto tu hai riempito di te la mia vita. L'avvenire di nostra figlia mi preoccupa. Che cosa dirle? Dille d'essere felice quando può, di essere onesta e generosa sempre. Tu sarai la sua guida ma non le farai mai nessuna pressione, si orienterà da sé verso la strada migliore per la sua naturale inclinazione. Mio padre, col suo naturale buonsenso, può sempre darti dei buoni consigli: se io e lui ci fossimo compresi in tempo, forse non sarei qui. Ancora una volta vi stringo a me e vi bacio. Saluti a tutti
Jacques
9 maggio 1945
Carissima,
ho saputo che Oneglia è stata liberata e che tu, la bambina e tutta la famiglia state bene, ma sono ansioso di ricevere presto tue notizie. Dammi anche notizia degli avvenimenti, che noi qui ascoltiamo solo radio Londra, e leggiamo qualche giornale pubblicato in India. Per il 1944, ho ricevuto una tua lettera del maggio e una seconda del 26 settembre, dove mi parli ancora dellaprocura. Io ho provveduto a mandartela appena ricevuta la tua richiesta; fu inviata in Italia tramite le autorità spagnole e se non l'hai ricevuta dimmi se debbo inviartene un'altra. Io da anni faccio la solita vita, ma quanto le mie idee siano cambiate lo avrai capito. Ho passato visita medica internazionale, ma senza risultato. Ho chiesto il rimpatrio perché ho sei persone inabili a carico. So che la liberazione vi porterà nuovi guai economici, ma non importa: porta con mio padre fiori sul monumento ai caduti di Castelvecchio (8) che ricostruiremo. Tanti baci
Jacques
17 maggio 1945
Carissima,
non so più cosa dirti, sono stanco di scrivere cose insulse e di fare i conti con gli umori della censura. Tu non sai, Lina, quanto sia grande il desiderio di coricarmi e dormire per sempre. Ho ancora una moglie, una bambina, dei genitori? Che cosa sono, io stesso? Un numero, sono, un numero sperduto nel nulla delle montagne indiane. Non so nemmeno più desiderarti.
Vivere con te e la bimba sopra un monte sono cose che non hanno più senso: nemmeno l'eco delle cose del mondo, qua, mi giunge, ma non m'interessa. Sono uno che non è più senza essere mai stato, un numero senza senso tormentato dalla pena d'essere vivo e d'essere chiamato per le conte, dalla pena di sentire parlare di libertà e di proibito, di indifferenza, di vedere reticolati e sentinelle, di sentire puzza di animalesca umanità in putrefazione. Ti ricordo una donna forte, lo devi essere sempre, è il tuo destino: io ho perduto anche l'ultima dea. Non mandare la bimba a studiare da quella gente, rovinano ogni cosa. Non mi ricordare, io forse sono migliore ora, che non esisto più
Jacques
9 giugno 1945 (9)
Sempre privo notizie, gioisco liberazione valorosi partigiani e ti auguro bene. Tutto andrà meglio domani e ricostruiremo già distrutto monumento caduti. Tanti baci a Niluccia, a te e parenti tutti
Jacques
9 gennaio 1946 (10)
Caro babbo,
le ultime lettere che ho ricevuto sono della prima metà di settembre, e in esse vi dimostrate convinti del mio ritorno per Natale. Così questo nuovo e ipocrita inganno mi priva anche della vostra corrispondenza. Non ne posso più, e questi mesi invernali sono i più maledetti di quelli trascorsi qui dentro. Un così lungo periodo di completo isolamento e inerzia è bestiale e inconcepibile. Non abbiamo più affetti, più famiglia, più legami, più volontà, più mestiere, più salute: siamo delle mummie che si sfasceranno al primo contatto con la vita. Lina mi chiede un po' di filo: bisogna dirle che i pochi soldi che ci danno non sono nemmeno sufficienti per le diaboliche sigarette che possiamo fumare per uccidere i nervi. Ora ogni cosa è stata ridotta, la razione è assolutamente insufficiente. Ci mantengono congelato un credito che in Italia non ci servirà assolutamente a nulla, mentre qua ci permetterebbe di nutrirci fuori mensa, e di acquistare un po' di minutaglia, utile a noi e alla casa. Far soffrire la gente non è cosa utile a nessuno. È più umano, mille volte più umano uccidere subito, che avvelenare per sempre la vita a noi e ai nostri cari
Jacques
Kalyan, 4 aprile 1946
Lina, improvvisamente sono stato incluso in un elenco di rimpatriandi e dopo quattro giomi e notti di treno sono qua, in questo sobborgo di Bombay; stanotte dovrei imbarcarmi su un piroscafo, con la speranza d'essere a casa per l'ultima decade di questo aprile. Non conosco il nome del piroscafo, nè il porto di sbarco; se tu segui i giornali e la radio, forse potrai saperne più di me; io ho un numero al collo (Y-0668) e viaggio come un baule, senza un soldo. Questa cartolina  mi è stata regalata da un compagno. Prima di partire da Yol ho alfine ricevuto una tua lettera, che come temevo mi recava brutte notizie. Avevo enorme desiderio di rivedere mio padre e parlargli, volevo sdebitarmi moralmente e dargli quelle soddisfazioni che meritava. Per la bambina, mi rendo conto di quanto hai fatto durante la sua malattia. Siamo in circa duemila provenienti da Yol e non mi risulta che ce ne siano di Imperia. Privo assolutamente di mezzi, non ho potuto portarti il filo. Buone cose a tutti quanti e arrivederci. Su, Lina!
Jacques
Giacomo Agnese ritornò dalla prigionia nel 1946. Insieme alla moglie lo aspettava alla stazione di Oneglia la bambina diotto anni che ero io, sua figlia, incapace di riconoscerlo: era quello il papà di cui mia madre mi aveva parlato tanto spesso e le cui lettere erano arrivate sempre con tanto ritardo? Mi stava davanti un uomo alto emagrissimo, che non doveva essersi fatto labarba da giorni, mentre aveva stranamente rasata la testa: uno che aveva tanti buchi in tutto il cappotto, ma non un solo boitone per chiuderlo.
Quell'uomo trovò dopo qualche mese dopo un impiego statale modesto, che riteneva transitorio e che sarebbe invece stato definitivo. Dopo il lavoro, lo vedevo trascorrere i pomeriggi e le sere a leggere e mi sembrava un adulto insolito, forse un bocciatom, scolaro fuori tempo. Se si accorgeva del mio viso, sporgente a metà dallo stipite per osservarlo, mi chiamava: "Vieni, Niluccia. tienimi compagnia". A quel tempo non lo sapevo che cercasse nei libri risposte, idee per trasformare in qualcosa di più felice l'impulso a demolire se stesso insieme a un'epoca di errori. Dai giornali ritagliava articoli dai libri estraeva frasi che trasferiva nei quaderni: erano come cemento, pietre per la realtà nuova che gli si andava delineando. A volte chiamava mia madre e faceva ascoltare a lei un brano su cui riflettere, oppure discuteva di quello stesso con amici venuti a trovarlo o con gruppi di persone per strada, sotto i portici.
Mi comperò  "Lettere dei condannati a morte della Resistenza", quando fui più grande, perché sapessi che cosa nazismo e fascismo erano stati.
Ma rattristarmi era l'ultima cosa che potesse desiderare: poiché sapeva che amavo le canzoni e voleva non mi mancasse qualche spensieratezza giovanile, mi comperò anche la radio, quando ancora era un piccolo lusso.
"Ciecamente non devi credere a nessuno" mi disse un giorno, "nemmeno a me". Avevo forse quindici anni, quando mi diede questo consiglio; mi raccomandò di documentarmi su ogni cosa osservandone la tangibilità, quando possibile, e comunque attingendo sempre a più d'una voce, più d'una fonte le notizie; piuttosto che instillarmi diffidenza sulle intenzioni altrui credo volesse trarre dagli abbagli della propria gioventù un insegnamento di ragionevolezza che guidasse la mia.

Nila Agnese
[NOTE]
(7) La posta dei prigionieri era controllata, e alcune cose era bene dirle per allusioni. Per far capire alla moglie quanto il proprio pensiero sia mutato, Giacomo si avvale di riferimenti al padre, che aveva sempre detestato il fascismo.
(8) Il monumento portava la scritta "Guerra ai signori della guerra"
(9) Si tratta d'un biglietto spedito tramite la Croce Rossa Internazionale, nel quale non potevano essere superate cinque righe.
(10) Quando Giacomo scrive questa lettera ignora che il padre è già morto: la lettera di Lina che gli dà notizia del decesso, scritta in dicembre, gli arriverà a fine marzo.
Giacomo Agnese, Dall'Africa all'India (Diario di guerra e lettere: 1935-1946), ed. Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Imperia, 1992