lunedì 7 agosto 2023

Calvino prima della guerra coltiva quello che più tardi definirà un «tranquillo antifascismo»

Villa Meridiana a Sanremo (IM), abitazione già di proprietà della famiglia Calvino, in una fotografia d'epoca. Fonte: www.sanremoincartolina.com. Qui ripresa da Elisa Longinotti, Op. cit. infra

[...] Sanremo tra le due guerre era, nelle parole di Calvino, «una cittadina […] piuttosto diversa dal resto dell’Italia, […] popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. […] A San Remo i quotidiani più letti erano quelli di Nizza, non quelli di Genova e di Milano. “L’Eclaireur” durante la guerra di Spagna teneva per Franco; “Le Petit Niçois” teneva per i repubblicani» <12.
Insomma, la città si presentava come un mosaico di voci e figure molto più variegato rispetto all’immagine monolitica della politica e della società imposte dal regime mussoliniano.
Il primissimo ricordo di Calvino bambino «è un socialista bastonato dagli squadristi […] col viso pesto e sanguinante, la cravatta a fiocco strappata» che entrò in casa chiedendo soccorso <13. Ma si tratta di un’immagine di violenza isolata nella sua drammaticità. Lo scrittore ha precisato come la sua vita durante il regime, prima della guerra, non avesse in realtà niente di drammatico: «vivevo», ha scritto, «in un mondo agiato, sereno, avevo un’immagine del mondo variegata e ricca di sfumature contrastanti, ma non la coscienza di conflitti accaniti» <14.
Cresciuto in un ambiente laico e anticonformista eccezionalmente controcorrente per l’Italia di allora <15, Calvino si abitua a trovarsi «spesso in situazioni diverse dagli altri» <16. La madre, di «tenace fede pacifista» <17, ritarda il più possibile l’iscrizione del figlio all’Opera Nazionale Balilla perché non vuole che il bambino impari a usare le armi né, dovendo assistere alla messa della domenica, sia costretto ad «atti esteriori di devozione» <18. Una volta iscritto senza possibilità di esonero, Calvino partecipa, come gli altri bambini, «alle adunate e alle sfilate dei balilla moschettieri e poi degli avanguardisti: senz’alcun piacere, […] accettandole come una delle tante cose noiose della vita scolastica» <19.
I suoi compagni appartengono «quasi tutti alle vecchie famiglie medio-borghesi cittadine, figli di bravi professionisti antifascisti o comunque non fascisti» <20, e come lui sono «quasi tutti ostili al fascismo» <21 ma accettano «forme esteriori di disciplina fascista […] tanto per non aver grane» <22. Così, crescendo nell’Italia mussoliniana ma ascoltando anche voci critiche verso il regime e frequentando persone che non vi si riconoscono, Calvino prima della guerra coltiva quello che più tardi definirà un «tranquillo antifascismo» <23: senza compiere azioni di protesta o di ribellione eclatanti <24, si limita a vedere nel credo fascista semplicemente «una via tra le tante, ma una via sbagliata, condotta da ignoranti e disonesti» <25: "fino a quando non scoppiò la Seconda guerra mondiale, il mondo mi appariva un arco di diverse gradazioni di moralità e di costume, non contrapposte ma messe l’una a fianco dell’altra; a un estremo stava il disadorno rigore antifascista o prefascista […] e di lì via via si passava attraverso sfumature di indulgenza alle debolezze umane e pressapochismo e corruzione sempre più smaccate e corrive seguendo tutta la fiera delle vanità cattoliche, militaresche, conformisticoborghesi, fino ad arrivare all’altro estremo, quello della assoluta pacchianeria e ignoranza e fanfaronaggine che era il fascismo beato dei suoi trionfi, privo di scrupoli, sicuro di sé" <26.
In questo quadro per Calvino avere uno spirito libero e indipendente, distinto dalla massa indottrinata dal regime, significa essenzialmente due cose: «rifiutarsi di amare le armi e la violenza» <27 e diventare «schernitori d’ogni retorica patriottica o militare» <28. In una società inquadrata militarmente fin dai primi anni di scuola, dove vigono «la proibizione d’ogni critica e d’ogni ironia» <29, distinguersi diventa «prima di tutto opposizione al culto della forza guerresca, una questione di stile, di “sense of humour”» <30. I miti totalizzanti della patria, della disciplina, dell’obbedienza al capo vengono allora irrisi e guardati con ironico distacco, per smascherare l’«ignoranza e fanfaronaggine» che stanno dietro alla retorica ufficiale.
Teniamo a mente questi due valori - antimilitarismo e ironia - che Calvino coltiva nell’infanzia e nella prima adolescenza come antidoti al fascismo; li ritroveremo più avanti.
3. L’uomo a cavallo
Crescere secondo principi antifascisti non sottrae Calvino all’insistenza della propaganda mussoliniana: come tutti gli altri bambini, infatti, anche lui è costretto, a scuola e fuori, ad assorbire gli slogan e le immagini proposti dal regime. Ma è proprio su questi che si esercita il sentimento antifascista del futuro scrittore: si diventa «schernitori d’ogni retorica patriottica o militare», infatti, imparando a irridere i contenuti della retorica patriottica o militare.
Tra le immagini cui nessuno in Italia, negli anni tra le due guerre, poteva sfuggire vi era, naturalmente, quella del Duce. I ritratti del dittatore, diffusi soprattutto attraverso fotografie e filmati, riempivano gli spazi pubblici e spesso entravano anche in quelli privati degli italiani fino a imprimersi a fondo nel loro immaginario <31. Così gli atteggiamenti, le movenze, il viso, l’espressione di Mussolini costituivano un patrimonio comune, fino a diventare proverbiali nelle conversazioni. Anche i bambini li assorbivano, addirittura prima di imparare a parlare, attraverso le moine dei grandi; lo racconta lo stesso Calvino: "Tra i vezzeggiamenti che si usava fare ai bambini d’un anno o due, c’era a quel tempo l’abitudine di dire: «Fa’ la faccia di Mussolini», e il bambino prontamente assumeva un’espressione accigliata e sporgeva le labbra corrucciate. Insomma, il ritratto di Mussolini gli italiani della mia generazione cominciavano a portarlo dentro se stessi prima ancora di saperlo riconoscere sui muri […]" <32.
In casa Calvino non si dilettavano di simili vezzeggiamenti, anzi le pose enfatiche del dittatore venivano ridicolizzate o commentate con sdegno dai parenti dello scrittore <33; ma Calvino avrà visto altri bambini sollecitati dai grandi a «fare la faccia di Mussolini»; e comunque quella faccia la vedeva da solo ogni giorno a scuola: "Si può dire che i primi vent’anni della mia vita li ho passati con la faccia di Mussolini sempre in vista, in quanto il suo ritratto era appeso in tutte le aule scolastiche, così come in tutti gli uffici e locali pubblici. […] Sono entrato in prima elementare nel 1929 e ho netto il ricordo dei ritratti di Mussolini di quell’epoca […]. Lo ricordo […] nella piccola litografia a colori appesa in classe […] e in una fotografia in nero tra le ultime pagine dell’antiquato sillabario […]" <34.
Fuori dalle aule scolastiche l’immagine di Mussolini si poteva ancora vedere «nei ritratti, nelle statue, nei film “Luce” (i cinegiornali dell’epoca), nei giornali illustrati» <35. Erano immagini che, nota Calvino, comunicavano «una disciplina senza imprevisti» <36.
Per trasmettere questo senso di indiscutibile e incrollabile disciplina particolarmente incisivo risultava, tra tante tipologie, il ritratto del Duce a cavallo. Negli anni Trenta, questa immagine già emersa nel decennio precedente viene meticolosamente costruita per creare il mito dell’unico, invincibile condottiero in uniforme militare del popolo italiano, del nuovo cesare alla guida di un rinnovato impero. È un’immagine modellata spesso sugli esempi della statuaria romana e rinascimentale e di tipo marcatamente militare: Mussolini indossa la divisa dell’esercito, con il fez o l’elmo da guerra, e si erge imponente sul suo cavallo.
Calvino ricordava bene la figura del «Duce condottiero»: «Questo è il ritratto di Mussolini che si può considerare canonico e che ebbi sotto gli occhi per gran parte della mia vita scolastica, sportiva, premilitare, ecc.» <37. L’immagine di Mussolini a cavallo rimaneva particolarmente impressa nella mente di bambini e ragazzi, ben più delle varianti del Duce trebbiatore o aviatore.
[...] Accanto ai valori complementari dell’antimilitarismo e dell’ironia che costituivano la base del primo antifascismo di Calvino, bisogna dunque ricordare tra le memorie più forti della sua infanzia e adolescenza anche l’immagine di Mussolini a cavallo. L’antimilitarismo, l’ironia e la figura del cavaliere sono tutti elementi che entrano, rivisitati in modi e tempi diversi, nella narrativa calviniana dopo l’esperienza unica, sconvolgente e rivoluzionaria della guerra.
4. Alla prova del fuoco
Con l’avvicinarsi della guerra Calvino entra nell’adolescenza. Ciò che conta ora «non [è] più soltanto l’aspetto esteriore delle persone e degli ambienti» <42. Alla «memoria visiva […] della fanciullezza, quando le figure erano il canale principale del […] contatto col mondo», cominciano ad accompagnarsi in maniera sempre più nitida «idee, ragionamenti, giudizi di valore» <43. La guerra accelera questo processo: impone di fare delle scelte, di schierarsi, di decidere da che parte stare. In tale mutato scenario i valori su cui Calvino aveva costruito la sua personalità e le immagini che aveva assorbito nell’infanzia e nella prima adolescenza subiscono anch’essi dei cambiamenti.
Il principale mutamento è una vera e propria scossa al «tranquillo antifascismo » in cui Calvino era cresciuto: le convinzioni antimilitariste e i modi ironici che aveva coltivato fino a quel momento si devono misurare con la violenza della lotta partigiana: "Per molti di noi, fin da ragazzi, rifiutare la mentalità fascista voleva dire innanzitutto rifiutarsi di amare le armi e la violenza; l’inserimento nella lotta partigiana armata implicò, dunque, oltretutto, il superamento di forti blocchi psicologici dentro di noi. Ero venuto su con una mentalità che poteva condurmi più facilmente a fare l’obiettore di coscienza che il partigiano; e a un tratto mi trovavo in mezzo alla lotta più cruenta" <44.
Un altro mutamento importante riguarda sicuramente l’immagine di Mussolini a cavallo. Con la guerra, lungi dal rappresentare la solidità di «una disciplina senza imprevisti», la figura del Duce cavaliere mostra tutta la fragilità della costruzione propagandistica che l’aveva tenuta in piedi: "Di fronte alla realtà delle sconfitte militari, la messa in scena delle parate rivela la sua vanità anche a chi non aveva avuto occhi per accorgersene prima. La voce che corre dopo El Alamein (come subito correvano le voci propalandosi per l’Italia) che con le truppe italiane in ritirata nel deserto c’era il cavallo bianco che Mussolini voleva fosse tenuto pronto per il suo ingresso trionfale in Alessandria d’Egitto, segna la fine dell’iconografia del condottiero" <45.
A El Alamein, travolto sul campo, l’esercito italiano si ritira: e il condottiero che in sella al suo cavallo bianco doveva guidarlo verso la vittoria dove è finito? L’immagine statuaria diffusa negli anni precedenti è come smembrata: c’è il cavallo ma non c’è il cavaliere. All’improvviso diventa chiaro a tutti che quel cavaliere non c’era mai stato veramente; ora appariva in tutta la sua inconsistenza: era solo un «cesare di cartapesta», come avrebbe detto il caricaturista e scrittore umorista Gec <46; un cesare di cartapesta che aveva messo in piedi, nelle parole di Calvino, un’«Italia di cartapesta» <47. Insomma, con la guerra Calvino da un lato ridefinisce i termini del suo antifascismo, dall’altro tocca con mano, come tutti gli italiani, quanto la figura del Duce condottiero fosse del tutto priva di sostanza: con la sconfitta di El Alamein quell’immagine segna irrimediabilmente un vuoto, rimanda a un’assenza; resta soltanto il cavallo bianco in ritirata con i soldati [...]
[NOTE]
12 Italo Calvino, Autobiografia politica giovanile. I: Un’infanzia sotto il fascismo (1960), in Id., Eremita a Parigi. Pagine autobiografiche, Milano, Mondadori, 1994, pp. 149, 155.
13 Ivi, pp. 149-150.
14 Ivi, p. 155. Cfr. anche Italo Calvino, I ritratti del Duce (1983), in Id., Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, vol. II, pp. 2879-2880: «Il clima della violenza squadrista era pure registrato nei miei primissimi ricordi infantili […] ma quando cominciai ad andare a scuola il mondo pareva tranquillo e assestato».
15 Cfr. I. Calvino, Autobiografia politica giovanile. I: Un’infanzia sotto il fascismo cit., pp. 151-152.
16 Ivi, p. 154.
17 Ivi, p. 152.
18 Ivi, p. 154.
19 Ivi, p. 156.
20 Ivi, p. 158.
21 Ivi, p. 150.
22 Ivi, p. 160.
23 I. Calvino, Prefazione 1964 cit., p. 1198.
24 Cfr. Autobiografia politica giovanile. I: Un’infanzia sotto il fascismo cit., p. 156: «partecipavo alle adunate e alle sfilate dei balilla moschettieri e poi degli avanguardisti […]. Il gusto di sottrarvisi, di farsi sospendere da scuola per non essere andato all’adunata o per non aver messo la divisa nei giorni di precetto divenne più forte verso gli anni del liceo, ma anche allora era più che altro una bravata d’indisciplina studentesca».
25 Ivi, p. 152.
26 Ivi, p. 157.
27 I. Calvino, Autobiografia politica giovanile. II: La generazione degli anni difficili [1962], ora in Id., Eremita a Parigi cit., p. 169.
28 I. Calvino, Autobiografia politica giovanile. I: Un’infanzia sotto il fascismo cit., p. 159.
29 I. Calvino, I ritratti del Duce cit., p. 2883.
30 I. Calvino, Prefazione 1964 cit., p. 1198.
31 Sono ovviamente moltissimi gli studi sull’argomento. Tra i tanti, anche se si concentra sull’immaginario che deriva dalla parola scritta e non dalle immagini visuali, è pieno di indicazioni utili il libro di Luisa Passerini, Mussolini immaginario: storia di una biografia, 1915-1939, Roma-Bari, Laterza, 1991; cfr. soprattutto il cap. 3.
32 I. Calvino, I ritratti del Duce cit., p. 2880.
33 Cfr. ivi, pp. 2883-2884: «Ricordo d’aver […] sentito raccontare in famiglia uno zio antifascista che l’aveva visto al cinema […]. Ricordo come mio zio descriveva la mimica, i pugni puntati sui fianchi, a un certo punto il gesto di soffiarsi il naso con una mano. Ricordo l’esclamazione d’una zia: “Che volete? È un muratore!” Pochi giorni dopo vidi anch’io il film “Luce” col discorso, riconobbi le smorfie descritte dallo zio, anche il rapido strofinamento del naso. L’immagine di Mussolini mi arrivava dunque attraverso il filtro dei discorsi sarcastici degli adulti (alcuni adulti) che contrastavano col coro delle esaltazioni. Ma quel coro era espresso pubblicamente, mentre le riserve restavano confinate nelle conversazioni private e non scalfivano la facciata dell’unanimità che il Regime ostentava». Il discorso cui Calvino allude è il discorso di Mussolini pronunciato il 3 novembre 1932 ad Ancona.
34 Ivi, p. 2878.
35 Ivi, p. 2880.
36 Ibidem: «i ritratti ufficiali del Duce s’identificavano con una disciplina senza imprevisti».
37 Ivi, p. 2887. Parlando dei ritratti del «Duce condottiero», Calvino si riferisce in questo passo principalmente a quelli dove Mussolini indossa l’elmo, senza essere necessariamente a cavallo. Per quelli a cavallo menzionati direttamente dallo scrittore, cfr. infra.
41 I. Calvino, I ritratti del Duce cit., pp. 2881, 2887. Per l’immagine della statua equestre del Duce allo stadio di Bologna e la sua storia si veda Nazario Sauro Onofri, La storia dello Stadio, di un cavallo di bronzo e del suo cavaliere perduto, in Nazario Sauro Onofri, Vera Ottaviani, Dal Littoriale allo Stadio. Storia per immagini dell’impianto sportivo bolognese, con scritti di M. Biolcati Rinaldi, F. Carpanelli, C. Morigi Govi, E. Riccòmini e D. Vitali [Bologna], Consorzio Cooperative Costruzioni, 1990, pp. 13-24, in particolare le pp. 15-6, 20-21, 23-24, e la relativa documentazione fotografica, in particolare le immagini alle pp. 50-51, 58, 89. Cfr. anche Bologna e il suo stadio. Ottant’anni dal Littoriale al Dall’Ara, con un testo di Giuseppe Quercioli, Bologna, Pendragon, 2006, in particolare le pp. 19-30, 34-36, 88-94 e 115, e Simona Storchi, Mussolini as monument: the equestrian statue of the Duce at the Littoriale Stadium in Bologna, in The Cult of the Duce. Mussolini and the Italians, a cura di Cristopher Duggan, Stephen Gundle e Giuliana Pieri, Manchester, Manchester University Press, 2013, pp. 193-208.
42 I. Calvino, I ritratti del Duce cit., p. 2889.
43 Ivi, p. 2888.
44 I. Calvino, Autobiografia politica giovanile. II: La generazione degli anni difficili cit., p. 169. Cfr. anche Prefazione 1964 cit., pp. 1197-1198 (brano già in parte menzionato sopra): «Ero stato, prima d’andare coi partigiani, un giovane borghese sempre vissuto in famiglia; il mio tranquillo antifascismo era prima di tutto opposizione al culto della forza guerresca, una questione di stile, di “sense of humour”, e tutt’a un tratto la coerenza con le mie opinioni mi portava in mezzo alla violenza partigiana, a misurarmi su quel metro. Fu un trauma, il primo…».
45 I. Calvino, I ritratti del Duce cit., pp. 2889-2890.
46 Gec (Enrico Gianeri), Il Cesare di cartapesta. Mussolini nella caricatura, Torino, Grandi Edizioni Vega, 1945.
47 I. Calvino, Lo scrittore di fronte alla realtà [1951], in Id., Sono nato in America… cit., p. 4: «ci volle che l’Italia di cartapesta in cui non riuscivamo a riconoscerci crollasse e ne scoprissimo un’altra, più cruda e dolorosa, ma più nostra e antica».
Beatrice Sica, Italo Calvino prima e dopo la guerra: il fascismo, Ariosto e l'uomo a cavallo in (a cura di) Nicola Turi, Raccontare la guerra. I conflitti bellici e la modernità, Firenze University Press, 2017

Frequenterà [Italo Calvino] la scuola elementare Valdese di Sanremo per poi iscriversi al Liceo Ginnasio «G.D. Cassini». Le Scuole Valdesi percepivano una retta dagli iscritti e non offrivano la refezione gratis come nelle scuole pubbliche, ma non erano scuole per figli di papà, infatti era risaputo che gli insegnanti erano molto preparati e severi. A nove anni Italo sostenne l’esame di ammissione al ginnasio e fu ammesso a frequentarlo prima di compiere dieci anni. Non fu uno studente straordinario <13 ma ebbe dai docenti e dai compagni di classe la possibilità di un confronto politico, culturale e intellettuale che proseguirà anche dopo la carriera scolastica come quello con Eugenio Scalfari, fino a trasformare alcuni compagni in personaggi delle sue opere come Duilio Cossu e Percivalle Roero di Monticello rispettivamente il Biancone e Jerry Ostero di Bergia di "L’entrata in guerra" <14.
Durante gli anni della scuola, i genitori vollero esonerarlo dalle lezioni di religione in quanto profondamente intransigenti in ambito religioso e questo lo portò spesso ad essere isolato dal resto della classe come documenta in "Autobiografia politica giovanile": "Ma quando andai al ginnasio statale, l’assentarmi dalle lezioni di religione, in un clima di generale conformismo (già il fascismo era al secondo decennio del suo potere) mi esponeva a una situazione di isolamento e mi obbligava talvolta a chiudermi in una sorta di silenziosa resistenza passiva di fronte a compagni e professori. Alle volte l’ora di religione era tra due altre lezioni e io aspettavo in corridoio; nascevano equivoci con i professori e bidelli che passavano e mi credevano in punizione" (S, p. 2737).
Però il suo essere «guardato come una bestia rara» (ibidem) non crearono in lui danno o complessi, anzi, lo aiutarono ad essere tollerante verso le idee e le opinioni altrui. Il trovarsi in situazioni diverse dalla maggioranza delle persone, la forza e il coraggio di andare contro il pensiero condiviso dai più, contribuirono alla formazione di un carattere deciso e comprensivo partendo proprio dalla «vittoria sui propri complessi» (S, 2738).
1.3 L’università
«Nel 1941 dovetti iscrivermi all’Università. Scelsi la facoltà di Agraria, nascondendo le velleità letterarie anche agli amici migliori, quasi anche a me stesso» (S, p. 2742): sceglierà l’ateneo di Torino dove il padre si occupava di Agricoltura tropicale. Frequentava i corsi di malavoglia e faceva fatica ad inserirsi sia nell’ambiente universitario che in quello cittadino. Sosterrà comunque alcuni esami e contemporaneamente porterà avanti il suo interesse verso il cinema scrivendo recensioni di film e verso la scrittura. La decisione di seguire le orme familiari saranno sempre messe in dubbio da Italo, infatti in una lettera a Eugenio Scalfari datata 21 novembre 1941 scriverà: "Sento vivissima la nostalgia di Sanremo. Non vedo l’ora di tornarci. Qui l’unico divertimento è andare al cinema. Per di più i cinema costano molto più che a Sanremo […] all’università devo sentir parlare di botanica cristallografia clorofilla matematica zoologia logaritmi fotosintesi cellulare. La cosa che però capisco di meno è il perché mi sono messo a fare agraria" (L, p. 10).
A gennaio del 1943 si trasferirà alla facoltà di Agraria e Forestale della Regia Università di Firenze dove sosterrà tre esami. Alla notizia dell’incarico a Pietro Badoglio di formare un nuovo governo, il 25 luglio, si trova in Toscana nel campo militare di Mercatale di Vernio in provincia di Firenze.
Sono questi gli anni in cui il suo pensiero politico comincia a definirsi, e il 9 agosto ritornerà a Sanremo dove sarà costretto a nascondersi in quanto renitente alla leva della Repubblica di Salò.
Quelli compresi tra il 25 luglio 1943 e il 25 aprile 1945 sono mesi importanti per il suo impegno civile nella Resistenza: prima prenderà contatti con il partito comunista clandestino e successivamente si unirà ai partigiani. Dopo questa parentesi si iscriverà alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino e il 6 novembre 1947 conseguirà la laurea con centotrè punti su centodieci, discutendo una tesi su Joseph Conrad <15. Si conclude così la carriera universitaria di Italo Calvino e nello stesso anno si aprirà la sua carriera di scrittore con la pubblicazione del suo primo libro "Il sentiero dei nidi di ragno".
[NOTE]
13 Piero Ferrua, Italo Calvino a Sanremo, Famija Sanremasca, San Remo 1991, pp. 31-35. In questo paragrafo sono riportate alcune votazioni ottenute da Calvino durante la carriera scolastica ricavati dalla consultazione di documenti e registri di classe. Emerge anche il rapporto, spesso conflittuale con alcuni professori del liceo.
14 Ivi, p. 35.
15 Piero Ferrua, Italo Calvino a Sanremo, cit., p. 71.

Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

Prima pagina manoscritta de "L'entrata in guerra" di Italo Calvino. Fonte: Annalisa Piubello, Op. cit. infra

Del resto già abbiamo avuto modo di vedere ripetutamente quanto Calvino abbia sempre combattuto con questa conflittuale necessità di elaborare letterariamente il vissuto esperienziale. Questi racconti e il suo atteggiamento verso di essi non sono altro che un'ulteriore conferma.
Cerchiamo ora di valutare l'autobiografismo di questi tre racconti.
Si tratta come dicevamo di tre storie che si situano cronologicamente nei primissimi tempi della seconda guerra mondiale, quando l'autore era ancora adolescente e le scelte esistenziali e ideologiche erano in fieri, il «passaggio obbligato» all'età adulta non ancora avvenuto.
L'inizio della guerra, pertanto, con il suo portato di esperienze traumatiche non solo coincide ma determina per l'autore e la sua generazione l'entrata nell'età adulta, e gli eventi narrati nelle tre storie si configurano, quindi, come «riti di passaggio».
La tecnica scelta è ancora una volta quella dell'io narrante, che accentua il carattere di memoria autobiografica dei racconti.
Cominceremo da "L'entrata in guerra", seguendo così il criterio della cronologia degli avvenimenti, piuttosto che quello della stesura dei testi.
Il titolo delimita e definisce il momento storico preciso in cui si situa la narrazione. Quest'ultima, deludendo le possibili aspettative del lettore, non ha nulla di epico e di guerresco, al contrario sceglie un punto di vista di basso profilo, quello di una cittadina rivierasca al confine con la Francia (ovviamente Sanremo) e un protagonista antieroico nella persona di un ragazzo di diciassette anni.
Annalisa Piubello, Calvino racconta Calvino: l'autobiografismo nella narrativa realistica del primo periodo, Tesi di dottorato, Universidad Complutense de Madrid, 2016