mercoledì 30 luglio 2025

Era un filo ligure, quindi di ferro, Elio Lanteri

Imperia: Piazza De Amicis, la Biblioteca ed uno scorcio della banchina del porto di Oneglia

Se Francesco Biamonti è inarrivabile per intensità, Elio Lanteri è l’unico scrittore dell’estremo Ponente ligure che gli si possa avvicinare.
[...] Lanteri non teme la prima persona, non teme di coinvolgere e coinvolgersi nella narrazione: i suoi romanzi sono in prima persona. E varrà ben qualcosa. Così facendo, questo scrittore, così coinvolto eppur così ritroso, ci ha dato tra le pagine più intense della letteratura dell’estremo Ponente ligure.
Fabio Barricalla, Elio Lanteri o dell’intensità in Elio Lanteri, a cura di Fabio Barricalla con la collaborazione di Marino Magliani, La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, n° 85 - gennaio-aprile 2018 - ANNO XXIX (1)

Luigi Berio è stato professore di francese e letteratura francese, abita sulle colline di Oneglia, frequenta la città, passeggia dalle parti del porto commerciale, entra nelle librerie a comprare libri, segue gli eventi letterari della città... e un giorno conosce Elio Lanteri.
Una sera, con un amico fotografo, ero seduto ad un tavolino del caffè Piccardo a Oneglia, quando il mio amico ha fermato un passante ed ha cominciato a parlare con lui; poco dopo me lo ha presentato come un grande esperto, in particolare di letteratura spagnola: era Elio Lanteri. Subito dopo il fotografo ha fermato un altro passante e si è messo a parlare con lui. Elio ed io ci siamo guardati, un po’ imbarazzati; per rompere il ghiaccio gli ho domandato se conosceva un poeta spagnolo che io avevo scoperto da poco, J. A. Goytisolo. Elio naturalmente lo conosceva e ha cominciato a parlarne. Nel frattempo in piazza Dante dove c’è il caffè Piccardo, che è il centro di Oneglia e lì prima o poi incontri tutti, Elio ha visto un’altra persona e, chiedendomi scusa, si è alzato per salutarlo. Poi è ritornato da me spiegandomi che era un amico scrittore di queste parti, ma che viveva in Olanda. Io avevo appena finito di leggere "Quella notta a Dolcedo" e gli ho domandato se per caso si trattasse di Marino Magliani. Era così e abbiamo parlato di lui e dei suoi libri precedenti che entrambi avevamo apprezzato.
[...] E la Imperia di Elio, Luigi?
La nostra Imperia, mia e di Elio, era essenzialmente il Caffè del Porto dove ci incontravamo quotidianamente. Naturalmente non eravamo soli, a noi si univano regolarmente altri amici e si poteva parlare di tutto. Ma non era una cerchia di seri intellettuali, si parlava certo di libri e di letterartura, ma inframmezzati spesso da battute e commenti vari, a volte anche salaci. Venuti via dal bar, spesso accompagnavo Elio per un tratto di strada - allora non stava ancora a Costa d’Oneglia, ma in via Argine destro - ma quasi sempre per fare quelle poche centinaia di metri ci mettevamo molto più tempo del dovuto perché Elio, nella foga del discorso, ogni pochi passi si fermava per potermi spiegare meglio quello che pensava. E queste conversazioni mi mancano moltissimo! 
Luigi Berio, «Una sera, con un amico fotografo…» in La Riviera Ligure cit.

Bordighera, domenica 31 luglio 2011, ore 18
Giorgio Loreti, nel solito angolo dei giardini Lowe, fra libri e mostra di pittura, presenta la rivista di Torino «Atti Impuri», che coinvolge anche scrittori del Ponente Ligure: Guido Seborga, Marino Magliani, Lorenzo Muratore, Elio Lanteri. Ideatore della rivista è Claudio Panella, coi suoi amici universitari di Torino. Claudio Panella e Giorgio Loreti si alternano alla presentazione.
Nell’attesa, fra i saluti, qualcuno mi presenta Adriana, compagna dello scrittore Elio Lanteri. Lei non ricordava il mio volto attuale e io il suo. Sorpresi, ci siamo guardati. Erano anni che non la vedevo e purtroppo si cambia. È Giorgio Loreti che ha ricordato ad Adriana chi ero e del disegno della rivista. Un’esclamazione: «Ah, sei tu! Che bravo sei stato: il volto di Elio è perfetto; ho ritrovato il suo sguardo, i suoi occhi luminosi... ancora bravo».
Adriana mi parla di Elio tenendomi la mano. La guardo e nei ricordi cerco la sua immagine giovanile. Lei mi parla di Elio e della sua morte improvvisa, indimenticabile. «Sergio, “Ciacio”, credimi: sono morta anch’io. Non riesco a superare questo dolore. Ho tanta paura». La guardo nella sua fragilità di ansia dolorosa. Ho davanti a me una donna trasformata da come la ricordavo. Capelli cortissimi, leggermente scuri, tutta tesa nel suo ricordo di un amore perso e indimenticabile. Una leggera febbre l’anima: la sento attraverso la sua mano. La sua mano ancora nella mia, attimi intensi ricordando Elio. La loro è stata un’unione di amore e affetto. Ricordo che si davano sempre la mano passeggiando. Due innamorati che si guardano parlando. Davvero rara la loro unione. Ora il mio ricordo dei due amici diventa più chiaro. Lei aveva capelli lunghi, castano chiaro, quasi biondi: bella. Lui era dolce, garbato, né bello né brutto: un uomo. Ricordo che andavamo sempre a piedi da Ventimiglia, Vallecrosia, Bordighera e viceversa, verso incontri culturali. Sempre animati fra loro. Elio aveva sempre la parola. Lei, piena di premure, ascoltava. Ecco il mio ricordo di Elio.
L’inizio della conferenza ci separa. Tutti seduti sotto gli ulivi, nell’ascolto ancora di Giorgio Loreti, di Claudio Panella, degli scrittori Marino Magliani, Lorenzo Muratore; per Elio interviene Adriana. Anche Laura Hess interviene per il padre Guido Seborga. Sia Claudio che Laura mi ringraziano per i disegni sulla rivista. Un pubblico attento ascolta i vari interventi applaudendo. Un successo straordinario.
Bordighera, agosto 2011
Sergio "Ciacio" Biancheri, Elio e Adriana in La Riviera Ligure cit.

Qualche nome e una vaga cronologia. Incontro Elio in un pomeriggio d’estate di fine anni Ottanta, a Ventimiglia. A presentarmelo è Marina Lanteri, onesta impiegata della Camera del Lavoro di via Sottoconvento. Entriamo in un bar, beviamo qualcosa. È calvo, ha i baffi; io sono poco più di un ragazzo. E poi ancora qualcosa: parla di Spagna, di cieli di vita, di Palma, di gerani nel sole. E del poeta García Lorca. Mi parla di socialismo. Ha occhi morbidi, quasi apolidi. Mi chiede se ho letto "L’angelo di Avrigue" di Francesco Biamonti. Passa per me un tempo d’amore e dolore - che poi sono la stessa vita - e nuovamente lo incontro, a Oneglia, forse con Marino Magliani, nei pressi della Biblioteca. Certo al Caffè del Porto c’era un via vai di persone come d’uccelli sui fili d’autunno. E cameriere che vanno e vengono dalla cucina belle che guardarle è una sofferenza. Ora ricordo: avevamo bevuto alcuni bicchieri di vino rosso. Elio sorride. Mi dice: tutto è metafora, anche i gerani. Ricordava... Il suo cruccio sereno era conciliare la metafora con il realismo, che è un dovere. Io non sapevo né ricordo che fosse uno scrittore. Per scrivere questo ricordo ho vanamente estratto dalla libreria "La ballata della piccola piazza", il suo romanzo. Ne è uscita una fotografia, colori da nuovo millennio: Elio, Giancarlo Biamonti, un amico fulvo di cui non ricordo il nome ed io, a San Biagio della Cima, in qualche storia di rose. I tempi e qualche nome della piccola piazza.
Taggia, 25 febbraio 2018
Marco De Carolis, «I tempi e qualche nome della piccola piazza» in La Riviera Ligure cit.

Ho avuto il piacere di conoscere Lanteri, purtroppo solo telefonicamente, nel 2010. L’avevo contattato in merito al «Premio Città di Cuneo» per il Primo Romanzo e, da subito, mi aveva colpito la sua riservatezza, una riservatezza che avevo già avuto modo di riscontrare, in tandem, però, con poesia e musicalità, nella "Ballata della piccola piazza". Lì traspare con delicatezza uno spaccato sociale tipicamente ligure che riesce a catturare il lettore e condurlo delicatamente nel pentagramma della vita fra note allegre e tristi che, spesso, solo i bimbi, nella loro ingenuità, riescono a recepire con i giusti toni. Lanteri, a mio avviso, conosceva bene quei toni e sapeva musicarli con maestria per narrare storie di quell’entroterra imperiese simile, per certi aspetti, al basso Piemonte, coerede indiscusso dell’augustea «Regio IX», con le famose Alpi del Mare, il monte Toraggio, i freddi venti invernali, le favole e le paure.
Ricordo di esserne stato ammaliato fin dalla prima pagina. La frase, però, che mi ha fatto innamorare del romanzo, del suo lessico e della leggiadria con cui è stato scritto, è la seguente: «Quando ero bambino, al calar del sole, indugiavo stupito a contemplare le ombre degli alberi che si allungavano, le guardavo crescere e raggiungere l’acqua, creando figure fantastiche di animali che si abbeveravano nella corrente». E, col medesimo filo conduttore, il libro racconta quella che, in fondo, era, ma forse continua un po’ ad essere, la quotidianità del Ponente ligure, con le tradizioni, le metafore e le storie di una zona di frontiera che, proprio grazie a Elio Lanteri, fanno battere forte il cuore e, nel contempo, sognare.
Piero Falco, La quotidianità del Ponente ligure nella sabbia in La Riviera Ligure cit.

Era un filo ligure, quindi di ferro, Elio Lanteri. Un solitario che ascoltava l’ansimare dei mari in un caffè o in un sentiero che sale nell’erba. Custode di una verità mille volte rimuginata nei silenzi che indossava come un tabarro, come un amuleto, come una promessa di decenza, sì, la virtù più difficile, così la innalzò poeticamente un baritono di Levante, Eugenio Montale. A Ponente, Elio Lanteri, originario di Dolceacqua, ha misteriosamente, gelosamente accudito
la passione letteraria, poco prima di compiere il passo d’addio porgendo "La ballata della piccola piazza", una prosa lirica che ha il respiro di una bussola morale, un mosaico di zolle, profumi, sillabe necessarie, di levissima, ancestrale sapienza.
Che cos’è "La conca del tempo", il dono postumo di Lanteri, se non un ulteriore girotondo intorno a un piccolo mondo salvifico?
Bruno Quaranta, Un novello Sisifo. Prefazione alla Conca del tempo in La Riviera Ligure cit.

martedì 22 luglio 2025

Io mi sono mangiata le quattro banane davanti al doganiere

Camporosso (IM): uno scorcio di Piazza Garibaldi

Pierina
A Camporosso veniva l'ambulante a vendere e a comprare e ogni volta che veniva c'era un signore che "batteva la cria", cioè avvisava tutti; con una trombetta suonava e poi diceva: «Oggi c'è uno che compra le olive». E se gli davi le olive, si faceva lo scambio, il baratto con qualcosa.
L'indomani diceva che comprava l'olio e invitava di nuovo a comprare o a vendere. Tutti i giorni c'era qualcosa di nuovo da scambiare.
[...]
Pierino S.
Qui nella zona del ventimigliese più del commercio funzionava il contrabbando. C'erano persone senza un lavoro che per guadagnare qualcosa andavano in Francia a vendere verdura, ad esempio carciofi e frutta. C'era un limite alla merce che doveva passare alla frontiera: per esempio, una persona poteva portare 7 carciofi e non di più. Ma quelle persone riuscivano a sistemarseli così bene che ne passavano 10-14 alla volta. Per passare più roba, sia all'andata che al ritorno, se la nascondevano sotto; erano talmente cariche che camminavano male; tante volte si pensava che si fossero proprio fatte male!
In Francia si portavano verdure, liquori, parmigiano, gorgonzola, salumi... Di ritorno si portavano in Italia carne, zucchero a zollette, banane, cioccolato e le famose caramelle "berlingo" (erano caramelle di forma un po' irregolare con strisce colorate secondo i gusti). Si importavano molto anche i profumi, le colonie, le essenze.
Era "le petit trafic de frontière".
Ziviana
C'era della gente povera che faceva questo piccolo traffico di frontiera proprio per vivere. Ricordo un certo Franceschino che negli anni d'anteguerra era venuto da Milano ed aveva aperto un negozio di biciclette a Ventimiglia. Negli anni venti questo negozio era rifornitissimo di bici da corsa e Franceschino faceva affari d'oro. Poi è invecchiato: durante la guerra non c'erano più mezzi sufficienti per il commercio di biciclette, la moglie si era ammalata, non avevano possibilità di un altro lavoro e non avevano più niente. C'era a quel tempo, nel dopoguerra, l'ECA (Ente Comunale di Assistenza), che dava loro un Kg. di zucchero al mese, la pasta, ecc., ma non riuscivano ad andare avanti solo con quello. Allora per poter campare si erano messi a fare anche loro un po' di contrabbando: tutti i giorni si trascinavano in Francia a portare quello che potevano e ritornavano con quello che riuscivano a comprare là. Poveri vecchietti, facevano pena, perché facevano con grande fatica questo commercio per pochi spiccioli, proprio per vivere! Eppure qualche volta, anche in quel caso lì, la dogana "cattiva" perquisiva tutto! Sono morti infatti in miseria assoluta, tanto che i funerali sono stati fatti dal Comune (con una cassa al risparmio che sembrava una cassa da frutta!).
La dogana con questi limiti è durata ancora per alcuni anni dopo la guerra. Ricordo che una volta ho partecipato ad una gita di insegnanti supplenti a S. Paul de Vence. Al ritorno, per portare qualcosa ai miei genitori, ho comprato quattro banane che pesavano un Kg. Arrivati alla frontiera, alla dogana ci hanno fatti scendere tutti e il doganiere ha cominciato a dire: «Questo non si può passare... questo ce n'è troppo... Anche lei, quelle banane o le lascia qui o paga la dogana».
«Le lascio qui? Ma neanche per sogno! Scommettiamo che me le mangio? La dogana se la paghi lei!».
Il doganiere non pensava che lo facessi davvero e mi teneva d'occhio. Io mi sono mangiata le quattro banane davanti a lui: è rimasto esterrefatto!
Emma
Ma c'erano anche quelli che con il contrabbando si arricchivano veramente: a Ventimiglia c'è una casa che, si dice, "è stata fatta col gorgonzola", perché i proprietari in mezzo alla sabbia che trasportavano con i loro camion nascondevano le forme di gorgonzola da vendere in Francia. Anche la moglie poi, visto che il contrabbando rendeva, aveva iniziato a fare un suo "petit trafic", ma portando oro e sterline.
Redazione, ... E il commercio funzionava? in Il tesoro della memoria, Città di Camporosso, 2007, pp. 127-130

martedì 15 luglio 2025

Ma questa donatrice è in pessime acque

Due casi emblematici: il Premio Mediterraneo e il Premio San Remo Nato nella primavera del 1932 entro la cornice sanremese, il “Mediterraneo” è stato un premio letterario istituito dai giovani scrittori Giovanni Comisso e Adolfo Franci (fondatore anche del Premio Bagutta a Milano), con la collaborazione di Bianca Maria Brayda, la proprietaria del Grand Hôtel de la Méditerranée di Sanremo. La manifestazione, che ricevette il benestare di autorità politiche e accademiche, rispettivamente nella persona di Giovanni Gentile e Guglielmo Marconi, era sorta allo scopo di premiare con cinquemila lire «un libro di prosa italiano edito tra il 1931 e il 1932» <112, che fosse riconosciuto come la migliore opera della giovane letteratura.
Il compito, assai delicato, spettava a un giurì - come Montale soleva definire le commissioni giudicatrici <113 - ben assortito: a presenziare il «canagliesco convivio» <114 una folta compagine di letterati, tra cui «strapaesani» e «stracittadini» (oltre che una piccola componente di giudici stranieri) <115, tra i quali Antonio Baldini, Alberto Moravia, Corrado Alvaro (che nel 1931 aveva vinto - pur «fra molti contrasti» <116 - il prestigioso “Premio Edoardo Agnelli” de «La Stampa»), Adriano Grande, Enrico Falqui, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Bertuetti, Giacomo De Benedetti, Mino Maccari, Camillo Pellizzi, Sandro Volta, gli stessi Comisso e Franci e, appunto, Bontempelli. Il quale sembra fosse stato chiamato a presiedere la commissione non tanto in virtù del suo ruolo da accademico, quanto per essere «il solo scrittore che a buon diritto può stare fra i giovani: egli che fu il fondatore del novecentismo letterario, e la cui arte ha un’impronta così schietta di originalità e di modernità <117»; caratteristica, quest’ultima, a cui l’assegnazione del premio stesso era ispirata.
Il prefetto d’Imperia però decise di proibire l’evento, nel rispetto di alcuni veti burocratici tesi a sancire che per lo svolgimento di qualsiasi manifestazione artistica e sportiva fosse necessario chiedere il permesso alla Presidenza del Consiglio almeno un mese prima (iter che gli organizzatori del Mediterraneo non avevano osservato). Tale risoluzione mandò in escandescenze Bontempelli, il quale, oltre a protestare duramente, si rivolse al presidente Marconi per chiedergli di appoggiare la sua causa. In una lettera datata 7 aprile 1932 si legge:
"Eccellenza,
La ringrazio della autorevole [illeggibile] e delle amichevoli parole da Lei scritte a riguardo del “Premio Mediterraneo”.
Il quale premio è stato proibito dal Prefetto d’Imperia, di qui una mia protesta, sia per la ingiustificata proibizione, sia per il contegno del Prefetto nei miei riguardi - contegno nel quale ho visto gli estremi di una deplorata mancanza di rispetti verso l’Accademia di cui sono tanto onorato di far parte.
Le comunico il testo delle mie proteste, nella speranza che Ella voglia abbracciarle e appoggiarle, facendolo magari per la parte che può integrare la dignità della nostra Accademia, da Lei con così geloso fervore protetta". <118
In difesa di Bontempelli intervenne anche Carlo Formichi, che si rivolse al Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Interno, Leandro Arpinati, per chiedergli di risolvere la questione:
"Roma, 9 aprile 1932/X
Eccellenza,
Verso S.E. Massimo Bontempelli, reo di essere presidente di una commissione per un premio letterario costituito a S. Remo e intitolato “Mediterraneo” (sul tipo di premio “Viareggio” - “Bagutta” ecc.), il contegno di S.E. il Prefetto d’Imperia è stato assai poco obbiettivo e sereno, oltre che, per diverse ragioni, inesplicabile.
S.E. Bontempelli si è ritenuto inoltre offeso da alcune frasi a lui dirette dallo stesso Prefetto.
Ed è per questo ch’egli ha indirizzato a V.E. la qui unita protesta di cui mi risulta essere V.E. già a conoscenza.
Nella mia qualità di Presidente della Classe di Lettere, e anche a nome del Presidente Marconi, prego V.E. di voler esaminare la vertenza, nella speranza che essa abbia una soluzione atta a salvaguardare la dignità e il buon nome dell’Accademico, chiamato a presiedere una manifestazione d’arte, promossa da giovani scrittori.
Con gli atti della più alta considerazione <119
[Carlo Formichi]"
Il presidente della commissione, sia pure con la mediazione di altre importanti personalità, agì dunque da vero e proprio deus ex machina, riuscendo a salvare il premio da un annullamento quasi certo. Era, questo, un incontrovertibile segno del suo prestigio accademico.
Risolti finalmente i contrasti, il 30 aprile 1932, sulla scorta dell’orientamento teso alla volontà di premiare un autore giovane, la giuria - riunita nei locali della Taverna Mediterranea presso l’albergo “Mediterraneo” di Sanremo - apriva le discussioni per decretare il verdetto del premio conteso dai due schieramenti letterari, discussioni che, ben s’intende, furono animate, tanto che Quasimodo ne parlò in termini di «antiche lotte elettorali» <120.
[...] Le preferenze della giuria furono accordate all’opera del giovane Gallian, assiduo scrittore in «900», nonché affezionato “novecentiere” <123. La premiazione, arrivata dopo «tanta inquietudine e siccità» <124, avvenne certo tra il giubilo di Bontempelli, il quale tanto peso aveva avuto nel far trionfare un autore della sua cerchia. La vittoria di Gallian infatti era senz’altro sintomatica del potere e dell’influenza del suo “maestro” all’interno del certame letterario, il quale nel suo ruolo di giurato era evidentemente orientato alla consacrazione del successo delle opere dei suoi sodali. 
[...] Al di là della vittoria, che inevitabilmente avrebbe scontentato alcuni e rallegrato altri, va detto che l’evento, in termini generali, non godeva di grande stima, così come, del pari, non godeva di buona reputazione la sua ideatrice, Bianca Maria Brayda; quantomeno stando alle dichiarazioni di Giovanni Ansaldo, il quale ne sintetizza il profilo, a partire dalla sua esperienza alla manifestazione. Scrive nel suo diario: "Sono stato due giorni a Sanremo, per il “Premio Mediterraneo”. La scena si prestava a qualche osservazione interessante. Il premio (5.000 lire) è donato dalla proprietaria dell’albergo “Mediterraneo”, una torinese introdotta e scaltra, che ha la mania di essere in relazione con letterati ed autorità, e - nonostante la sua furbizia - è così ingenua da credere che la presenza di qualche Accademico giovi al suo albergo. Ma questa donatrice è in pessime acque. Il “Mediterraneo” è in stato fallimentare; la vigilia del premio le “scorte vive” erano sotto sequestro. La signora si difende contro i creditori valendosi delle sue relazioni politiche; essa - si dice - è molto amica del Segretario Federale Brusa di Milano. L’anno scorso essa irretì tutte le Autorità; il Prefetto pareva alle sue dipendenze. Quest’anno, le Autorità, informate delle profonde “carie” della faccenda hanno fatto macchina indietro; il Prefetto non presenziò alla Fiera del Libro, che essa era riuscita ad ottenere si facesse nel proprio giardino. Tutto il paese l’ha sui c…; ma essa s’impone con i suoi rigiri, tiene in scacco il Comitato locale turistico, va a Roma e ottiene lei dal ministero delle Comunicazioni, i ribassi per Sanremo; ribassi che poi rivende al Comitato stesso. Minaccia il confino ai propri creditori". <127
Il giornalista non riserva commenti più benevoli per Bontempelli, accusato di aver passato «dei mesi a… sbafo» presso questa «mecenate della letteratura italiana» <128.
[NOTE]
112 Un premio letterario “Mediterraneo”, «Corriere della Sera», 1 marzo 1932.
113 Cfr. MARIA CORTI, Premessa, in EUGENIO MONTALE, Lettere a Quasimodo, a cura di Sebastiano Grasso, Milano, Bompiani, 1981, p. VIII.
114 SALVATORE QUASIMODO, Carteggi con Angelo Barile, Adriano Grande, Angiolo Silvio Novaro (1930-1941), a cura di Giovanna Musolino, p. 70.
115 La presenza della quota straniera, segnatamente nei nomi di Valery Larbaud, Benjamin Crémieux, Léon Kochnitzky, Orlo Williams del Times ed Henry Furst, rispondeva alla volontà di sprovincializzare la cultura letteraria italiana, in linea con quelle simpatie europeiste e antiprovinciali che avevano marcato la rivista bontempelliana «900». Il giornalista americano Henry Furst, peraltro, in data 10 aprile 1932 aveva pubblicato sulle pagine di «The New York Times Book Review» un memoriale dell’evento sanremese, che qui si riproduce in appendice B.9. Per la lettura del testo in lingua originale si rimanda ad ANDREA AVETO, Incontri liguri di Elio Vittorini (1931-1943), Novi Ligure, Città del silenzio, 2012, pp. 39-42, dal quale traggo anche la citazione della versione italiana dell’articolo di Furst (ivi, pp. 28-30).
116 CORRADO ALVARO, Quasi una vita, Milano, Bompiani, 1950, cit. in GASPARE GIUDICE, La renitenza di Alvaro. Un anno a Berlino, «Belfagor», 31 maggio 1990, p. 254. Il premio letterario in questione gli venne affidato per due raccolte di racconti (Gente in Aspromonte e La signora dell’isola) e per il romanzo di ambientazione bellica Vent’anni (Treves, Milano 1930).
117 Il “Premio Mediterraneo”. I diciannove giudici e le opere in esame, «La Stampa», 25 marzo 1932.
118 Lettera del 7 aprile 1932, RAI, Corrispondenza con gli accademici e sulle loro funzioni, B. 3, fasc. 20. Il testo al quale Bontempelli fa riferimento non risulta essere allegato alla lettera.
119 Lettera del 9 aprile 1932, RAI, Corrispondenza con gli accademici e sulle loro funzioni, B. 3, fasc. 20.
120 Lettera di Quasimodo ad Angelo Barile, in SALVATORE QUASIMODO, Carteggi con Angelo Barile, cit., p. 70. Nella missiva Quasimodo non risparmia allusioni alla dubbia rettitudine della modalità di svolgimento del concorso: «La Gazzetta porta come candidato (che ingenuità questa parola) M. Gallian» (ibidem).
123 Sulla definizione di ‘novecentieri’ cfr. Il Futurismo; Il Novecentismo, a cura di ENRICO FALQUI, Torino, ERI, 1953, p. 95. Bontempelli ha inserito Gallian nel novero degli scrittori “novecentisti”, tra i quali aveva pure menzionato Antonio Aniante, Aldo Bizzarri, Corrado Alvaro, Paola Masino e Gian Gaspare Napolitano. Tuttavia, non si possono trascurare, dal punto di vista della poetica, le innegabili differenze che separano il caposcuola del realismo magico da Gallian. Se per il primo, infatti, la locuzione “realismo magico” «significa non tanto uno sbrigliarsi della fantasia o un tuffo nel caos dell’irrazionale, quanto piuttosto uno sguardo sempre lucido e razionale attraverso la sostanza reale delle cose», il secondo «muove, invece, da un punto di vista opposto: alla scrittura ‘razionalista’ e ‘funzionalista’ che Bontempelli, ispirandosi all’architettura moderna, si auspica nel suggerire di “edificare senza aggettivi, scrivere a pareti lisce”, egli contrappone un itinerario tormentato, al limite dell’allucinato, costruito non certo con una linea retta ma con la curva barocca che si perde in spirali e vortici. È notturno quanto Bontempelli è solare» (CLAUDIA SALARIS, Gallian magico, in MARCELLO GALLIAN, Nascita di un figlio ed altri scritti, introduzione di MASSIMO BONTEMPELLI, Montepulciano, editori del Grifo, 1990, pp. 36-37).
124 ENRICO FALQUI, «Critica Fascista», poi in In margine ad un premio letterario, cit., p. 3.
127 GIOVANNI ANSALDO, nota del 22 aprile 1933 in Il giornalista di Ciano. Diari 1932-1943, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 38-39, cit. in ANDREA AVETO, Incontri liguri, cit., p. 34.
128 Ibidem.
Rosiana Schiuma, «Elencare e graduare». Il profilo "istituzionale" di Massimo Bontempelli, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2020

domenica 6 luglio 2025

La vita sociale si è ridotta o spostata nel vicino centro di Imperia

Pontedassio (IM): Piazza San Pietro

Vittorio Coletti, professore emerito dell'Università di Genova, è stato docente in atenei italiani e stranieri, linguista, storico della lingua, lessicografo, grammatico, accademico della Crusca. Ha pubblicato oltre cento titoli, tra libri e saggi. Ha collaborato con le pagine liguri di 'la Repubblica'.
Caro Professore, ci parli un po' della sua famiglia, se non le spiace.
La famiglia materna era di Pontedassio, in passato di discreto censo, basato su terre e fabbricati, come usava una volta. Ma la sua prosperità, già più che dimezzata dalle divisioni successorie, era stata ulteriormente ridotta dalle vendite di necessità. Non di meno, il fratello di mia madre, lo zio Carlo, poté studiare e divenne un alto funzionario della Banca popolare di Novara e la sorella, la zia Menuccia, ebbe l'istruzione sufficiente per essere assunta come impiegata dalle Poste dove lavorò sino alla pensione.
Mia madre, Giovanna, si dedicò invece ai quattro figli, di cui io sono l'ultimo. Mio padre, Paolo, era di famiglia lombarda per via paterna, del varesotto, ed era presto rimasto orfano dei genitori e non molto dopo senza nessuno dei tre fratelli: uno, molto più vecchio di lui, morto in seguito alle ferite riportate nella prima guerra mondiale, le due sorelle uccise ancor giovani dalla tubercolosi. Mio padre si fece letteralmente da sé e praticò diversi mestieri. La seconda guerra fu una durissima prova per lui, perché, avendo firmato a favore del locale ospedale. di cui era segretario, la donazione dei mobili della sede del Fascio chiusa nell'estate del '43, fu poi schedato dai tedeschi occupanti come antifascista e ostaggio da catturare e uccidere in caso di rappresaglie. Avvertito da una giovane cugina, riuscì a fuggire e rimase alla macchia fino al '45, dopo mesi di paure, avventure e fame. Al ritorno, con grande preoccupazione di mia madre, papà, tanto ostile al fascismo quanto diffidente del comunismo, si diede alla politica nella Democrazia Cristiana e fu a lungo saggio e disinteressato amministratore del suo paese. Per anni fece il vicesindaco, ma sindaco di fatto, perché il sindaco, un autorevole ammiraglio, viveva a Roma e veniva a Pontedassio giusto un paio di volte l'anno (incredibile oggi …).
Come un po' ovunque, il paesaggio sociale e urbano di Pontedassio è stato a un modo sino a tutti gli anni Cinquanta e poi è cambiato radicalmente. Negli anni Cinquanta, quelli della mia infanzia, un carro ci portava ogni giorno il latte, le barre di ghiaccio per conservare i cibi e solo verso la fine del decennio fu sostituito da un non più veloce camioncino; una pastorella veniva a vendere la ricotta, una vecchina i fagioli di Conio e un ex frate, sempre molto pio, il formaggio; un mendicante zoppo si presentava ogni due settimane arrivando a piedi con le stampelle da Diano Arentino lungo una mulattiera.
Pur essendo la mia famiglia di condizioni modeste, il costo del lavoro era così basso che si poteva permettere degli aiutanti, in casa e in campagna: una donna veniva alcuni giorni della settimana per il grande bucato, un'altra per alleggerire un po' nei lavori di casa mia madre, sempre impegnata a sfamare quattro figli e un marito di ottimo appetito; una coppia di marito e moglie, piemontesi, lavorava nelle nostre campagne. In scuola ci si scaldava con una stufa a legna e c'erano dei bambini bravissimi ad accenderla e alimentarla (io purtroppo non ero tra questi). La chiesa e la religione erano il centro della vita sociale, tanto più per i miei, specie per la mamma, molto devota e praticante. Le feste religiose (San Pietro in aprile, Santa Margherita in luglio) erano anche laiche, con balli e cene all'aperto.
Con gli anni Sessanta è cambiato tutto, come si sa, anche a Pontedassio. Il paese si è trasformato; la strada nazionale, prima spesso usata anche come campo di calcio o di pallone elastico, si è riempita di automobili rumorose, pericolose e ingombranti; la vita sociale si è ridotta o spostata nel vicino centro di Imperia; la gente ha cominciato a parlare solo in italiano e a non salutarsi più per strada; abitare nel centro del paese, un tempo luogo di prestigio, è sempre meno ambito e chi può si costruisce una villetta in collina e di fatto ignora il paese.
Durante il corso di studi da qualche insegnante avrà avuto una particolare lezione di vita, oltre che disciplinare.
Al liceo solo dal professore di religione, un avvocato e prete di grande qualità umana e apertura culturale. Ricordo però anche i docenti più giovani e supplenti, come lo scrittore Beppe Conte, che interessò con le sue lezioni me e i miei compagni assai più del precedente titolare, che, essendo sindaco della città, si dedicava assai poco all'insegnamento. Tra i professori più bravi, debbo anche menzionare quello di greco, Antonio Battegazzore, cui la mia perenne agitazione dava ai nervi, ma che mi dava anche dei bei voti: anni dopo l'ho ritrovato in università come collega, di cui, curiosamente, ero un po' più anziano dal punto di vista accademico. [...] 
Gian Luigi Bruzzone, Intervista/ Vittorio Coletti dal 'clan dei ponentini' al gotha dei linguisti... L'infanzia a Pontedassio, Trucioli. Blog della Liguria e Basso Piemonte, 28 luglio 2022 

martedì 1 luglio 2025

Il Partito comunista nizzardo concordava sulla proposta di dar vita a gruppi di lavoro

Nizza: rue Bonaparte, dove un tempo aveva la sede la Federazione del Partito comunista delle Alpi Marittime

All'inizio del 1989 il Comitato federale del Pci di Imperia aveva approvato un documento impegnativo che nelle intenzioni doveva porre basi per un salto di qualità dell'iniziativa politica del partito nel Ponente Ligure. Con ambizione e un po' di presupponenza l'avevamo intitolato "Progetto di Polo transnazionale. L'opportunità del Ponente ligure    per gli anni duemila".
Redigere il documento era costato non poca fatica, che ricordo assai bene per essermi sobbarcato gran parte dell'impegno per darvi corpo; ma ne era valsa la pena in quanto eravamo riusciti a sintetizzare le proposte politiche che avrebbero caratterizzato il Pci nella provincia di confine. Non eravamo partiti da zero per definire i nostri punti di vista, ma avevamo prodotto uno sforzo di elaborazione per corrispondere in modo appropriato alla realtà che stava mutando.
Il documento enucleava in dieci punti le scelte che erano state alla base dei diversi fallimenti della politica regionale del Pci, a partire dalla strategia che puntava sulla priorità dell'area centrale Genova-Savona e concludere con la mancanza di politiche innovative. Avevamo intravvisto, come anche i nizzardi, in modo speculare, avessero problemi di emarginazione rispetto a Marsiglia, come noi avevamo già sperimentato con Genova.
Denunciavamo le responsabilità dell'imprenditoria ligure che aveva privilegiato la rendita, condannando conseguentemente al mancato sviluppo il nostro territorio. Nel Ponente la regressione padronale si era identificata con la difesa della mezzadria e della rendita urbana, frutto della speculazione edilizia.
Con il passare degli anni si era costruita una tela di interessi parassitari tutelati dalla Dc e dal suo sistema di alleanze, un sistema che aveva favorito l'intreccio tra mondo della politica, mafia, logge d'affari, come le vicende Teardo e Casino avevano chiaramente esplicitato.
Il credito veniva gestito con priorità esterna al nostro territorio. Alcune migliaia di persone, inoltre, erano strutturalmente interessate al proliferare dell'economia criminale se teniamo presente che il mercato della droga si calcolava movimentasse un giro d'affari dell'ordine di cento miliardi di lire.
Eravamo consci, come Pci, che con la crisi del pentapartito, una forza di sinistra doveva proporre soluzioni alternative per favorire la modernizzazione di un Polo fortemente integrato tra Ponente ligure, basso Piemonte e Sud-Est francese, presupposto per un'efficace inversione di rotta. E quindi per quello che riguardava noi, una riforma elettorale che garantisse la rappresentanza con scelte del territorio e una riforma della finanza locale che attribuisse la prevalenza delle risorse ai comuni e una politica di partnership tra i diversi livelli istituzionali.
Il documento individuava, per le scelte successive, la formazione di un organismo sovranazionale per determinare e coordinare le opzioni fondamentali del Polo transfrontaliero. I giovani e l'occupazione qualificata dovevano diventare la stella polare della nuova politica.
La proposta enunciava alcuni progetti, come l'istituzione dell'Università del Ponente ligure, la riforma del Festival della Canzone in sintonia con una nuova politica turistica, l'impiego dei proventi della Casa da gioco per grandi scelte strategiche e favorenti l'arte e la cultura, la costituzione di grandi centri per la fornitura di servizi alle piccole e medie aziende, la revisione della politica regionale per l'istruzione professionale, l'istituzione del "salario sociale", il favorire l'autoimpresa giovanile nei settori innovativi e infine dar vita a una Costituente per il rilancio industriale.
Nella seconda parte del documento venivano individuate le principali questioni su cui esisteva una forte comunanza delle diverse aree come la politica di tutela e valorizzazione dell'ambiente, con la realizzazione del Parco delle Alpi Marittime e la politica del mare, la custodia e il coordinamento contro gli incendi boschivi, la politica dei collegamenti per superare i ritardi e includervi anche il cabotaggio.
L'elencazione proseguiva con la lotta alla criminalità organizzata e il controllo delle Case da gioco per colpire il riciclaggio di denaro sporco. Centrale diventava la politica del lavoro e la difesa dei diritti dei lavoratori a partire dalla priorità del collocamento pubblico e la revisione della Convenzione italo-monegasca, la rivendicazione dello Statuto internazionale dei lavoratori migranti da parte della Cee e il dare vita a Centri di tutela per le minoranze e organizzare un Centro studi di informazione della cultura islamica. 
Il Mercato dei fiori di Sanremo poteva diventare, secondo il documento, un riferimento anche per la produzione dei fiori coltivati nella regione Paca. Sarebbe stato opportuno, inoltre, dare vita al coordinamento dei rispettivi piani sanitari e sviluppare la politica di cooperazione, così come una nuova politica bancaria. Si dovevano incentivare gli studi sulle modalità di integrazione del mercato transfrontaliero, così come i vasti temi culturali e tutte le forme di bilinguismo.
Per approdare alla Convenzione dei territori del Polo italo-francese si auspicava il maggior numero di incontri tra organizzazioni politiche, sociali, sindacali e produttive.
Nel giugno di quell'anno l'Europa era stata al centro del dibattito politico in quanto si erano svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e, soprattutto in occasione della tornata elettorale, si era tenuto un referendum per conferire il mandato costituente al Parlamento stesso.
Ritenevamo, noi comunisti del Ponente, che fosse opportuno inserire nel dibattito sui temi europei la proposta di costituire un Polo transfrontaliero. Sempre in quell'anno la Festa nazionale de l'Unità si svolgeva a Genova e avevamo approfittato dell'occasione per fissare un incontro con i socialisti francesi delle Alpi Marittime nell'ambito della Festa stessa.
Avevamo presentato la proposta di Polo transnazionale con la conseguente necessità di dar vita uno specifico gruppo di lavoro. Anche in Costa Azzurra, ci riferivano i nostri interlocutori, l'economia mostrava segni di difficoltà, ma aveva speranze sullo sviluppo di Sophia Antipolis, un polo intellettuale che avrebbe calamitato giovani intelligenze. Anche sul versante francese era all'ordine del giorno il problema dei collegamenti.
Il segretario socialista Colonna aveva manifestato la gioia, aveva detto proprio così, con cui avevano accolto il nostro invito, riconoscendo che i partiti italiani erano più flessibili che non in Francia dove le relazioni tra il Partito comunista e quello socialista non erano ottimali. In quanto socialisti, continuava il segretario, dovevano tener conto della presenza del Psi, ma ciò non avrebbe impedito i rapporti tra i nostri partiti per riflettere sulla proposta di costituzione di un Polo transfrontaliero. Il segretario socialista teneva a sottolineare come la destra francese avesse connotazioni politiche vicine al fascismo e in Costa Azzurra tale realtà fosse assai pesante in quanto la destra fruiva di una situazione di monopolio.
Pochi giorni dopo incontravamo a Nizza, presso la sede comunista, i compagni del Pcf delle Alpi Marittime. Il segretario Tiberi sottolineava l'importanza dei rapporti tra i nostri partiti anche per far fronte a una situazione particolarmente difficile per i salariati. Il segretario valutava buono il documento del Pci imperiese sul Polo transnazionale e in particolare riteneva assai importante che avessimo evidenziato il tema della penetrazione mafiosa nell'economia.
Nella stessa occasione ci avevano informato sulla loro contrarietà al raddoppio dell'Autostrada n.8, quella che si raccordava con l'Autostrada dei Fiori.
Il Partito comunista francese (Pcf) nizzardo postulava un rapporto privilegiato tra i nostri due partiti ed evidenziava le cattive relazioni con il Psf, un partito senza organizzazione, né impianto sociale che si scontrava con la destra, così lamentava il segretario comunista, solamente sulla pura gestione del potere. Comunque sarebbe stato possibile creare larghe intese su aspetti concreti e concordava sulla proposta di dar vita a gruppi di lavoro.
Per rafforzare la nostra proposta di costruzione di un Polo transfrontaliero avevamo organizzato un incontro provinciale con le tre confederazioni sindacali più rappresentative. I sindacalisti avevano apprezzato la proposta che, tra l'altro, aveva stimolato un dibattito assai interessante sul complesso delle problematiche economiche e sociali del Ponente. Le organizzazioni sindacali avevano espresso l'intendimento di farci pervenire quanto prima gli elaborati che avevano intenzione di produrre. Giuseppe Rainisio, a nome del Pci, aveva annunciato la decisione del Partito di organizzare entro dicembre un convegno specifico. Purtroppo gli avvenimenti susseguenti alla "Bolognina" avrebbero modificato il calendario degli impegni.
Singolarmente, ci eravamo ritrovati con i compagni francesi a Imperia in occasione di un nuovo incontro nel giorno che sarebbe stato ricordato per l'abbattimento del Muro di Berlino, avvenimento che avevamo appreso quella stessa giornata.
Nella mattinata, in occasione dell'incontro, i compagni francesi avevano riconfermato l'importanza del documento sul Polo transnazionale, preannunciandone uno loro sui punti comuni, non senza aver lamentato, penso a ragione, che nelle nuove organizzazioni del Pci in Francia entrassero comunisti francesi. Come erano cambiati i tempi: negli anni '60 il Pcf non permetteva che il Pci organizzasse i lavoratori italiani in proprie strutture, tanto che si era dovuto dar vita ad una associazione, l'Amicale, attraverso la quale poter far conoscere l'elaborazione del nostro partito, mentre trent'anni dopo si verificava il fenomeno inverso!
Con l'abbattimento del Muro non sapevamo ancora che tre giorni dopo avrebbe iniziato il calvario del Pci verso la sua fine, di cui raccontiamo in uno specifico capitolo, con le priorità del dibattito che sarebbero cambiate.
Giuseppe Mauro Torelli, Viaggio tra generazioni e politica, ed. in pr., 2017, pp. 697-700