Stampa Sera, p. 5, lunedì 27 - martedì 28 gennaio 1969. Fonte: Archivio La Stampa |
I nostri desideri sembrarono esaudirsi, il sessantotto che si concretava all'inizio del 1969 in occasione dell'avvenimento popolare televisivo dell'anno, il Festival della canzone italiana di Sanremo. Per la verità avevamo cominciato, dall'autunno precedente, a ragionare sulle modalità per rendere l'occasione del Festival di Sanremo un avvenimento mediatico. Avevamo convenuto, come Federazione del Pci, di contattare Dario Fo, un autore teatrale e attore che insieme alla moglie Franca Rame aveva acquisito un credito notevole dopo che la Tv democristiana aveva fatto pagare alla coppia un duro prezzo escludendoli dalla presenza in video, dopo le loro pungenti performances in Canzonissima dove avevano saputo, tra l'altro, denunciare la piaga dell'emigrazione italiana, un fenomeno che coinvolgeva milioni di italiani e le loro famiglie, obbligandoli a una vita di stenti e a subire le soperchierie e l'emarginazione fomentata dai razzisti locali, a subire uno sfruttamento che assumeva forme schiavistiche, un'emigrazione che accompagnava molti alla morte sul lavoro.
Negli anni '60 Dario Fo aveva calcato le scene sempre schierandosi dalla parte degli ultimi e denunciando le mene dei poteri forti negli Stati Uniti, in Europa e in Italia.
Con Ugo Caneto eravamo andati a Genova per contattare il futuro premio Nobel. Raggiunto in treno il capoluogo ligure, verso le nove di mattina, ci eravamo incamminati verso la vicina via Gramsci, la strada che costeggia il fronte marittimo e il porto per raggiungere l'hotel Galles, dove i due attori alloggiavano.
Certo, per le consuetudini dei teatranti eravamo arrivati a un'ora antelucana e la reception non aveva mancato di informarci che difficilmente prima delle undici sarebbero comparsi ma, nel contempo avevano suggerito di incontrare i due ospiti dell'hotel sul fine mattinata al teatro della Gioventù ubicato in via Cesarea, una traversa di via XX Settembre, in prossimità di piazza della Vittoria.
Con Ugo ci eravamo recati all'appuntamento nel teatro dove Fo e Rame, con sedici attori del loro collettivo, dovevano provare il lavoro teatrale in programma e avevamo illustrato le nostre intenzioni di contrapporre alla manifestazione canora usurata, una presenza artistica che sollecitasse l'affermazione di una diversa cultura, con risorse pubbliche adeguate, con spazi congrui per produrla ed esercitarla.
Il Pci non era contro la canzone italiana, ma voleva sollevare il problema di una errata politica culturale dei governi che ad essa dedicavano poche risorse e che utilizzavano la Tv inibendone un uso democratico e pluralistico.
Il compenso per il collettivo teatrale, che avevamo concordato in quattrocentomila lire, ci era parso un prezzo molto a buon mercato e ciò aveva facilitato la nostra missione.
Ma i problemi seri dovevano ancora manifestarsi.
Il Festival della Canzone si svolgeva ancora nel salone delle feste del Casinò. Nel mese di gennaio si erano intensificate le voci di possibili interventi provocatori di gruppi neofascisti, i "boatos" si riferivano alle SAM (squadre d'azione Mussolini), per la maggior parte provenienti da Milano e dalla Lombardia. Per la verità, a Botteghe Oscure, dove aveva sede a Roma la direzione del Pci, alcuni compagni dirigenti erano contrari all'iniziativa della Federazione comunista imperiese. Gino Napolitano, il parlamentare comunista che rappresentava il nostro territorio, al suo ritorno da Montecitorio, ci aveva raccontato dell'avversità di Amendola all'iniziativa. Giorgio Amendola era un dirigente di esperienza e certamente le sue valutazioni non erano estemporanee. Probabilmente temeva provocazioni non controllabili e possibili sviluppi della situazione che avrebbero potuto provocare conseguenze assai difficili. Complessivamente il gruppo dirigente della Federazione comunista imperiese era unito nel proseguire l'intrapresa, confortato dal consenso dei militanti la cui ultima preoccupazione erano i paventati scontri; anzi, era probabile che qualche militante di base se li augurasse per sistemare conti pregressi. Ma il gruppo dirigente federale era tranquillo, sapeva di avere la fiducia dei militanti che avrebbero seguito gli orientamenti operativi decisi.
Probabilmente la nostra sicurezza derivava in parte, almeno tra i più giovani, dalla naturale incoscienza che in politica, e non solo, è necessaria, se disciplinata opportunamente.
Mi sono chiesto che cosa avesse spinto Giorgio Amendola a dichiararsi contrario all'iniziativa. Tra i diversi motivi possibili del suo punto di vista ritengo che ci fosse un giudizio sulla non affidabilità del gruppo imperiese del partito, almeno quello più giovane. Infatti un episodio, vissuto in prima persona alcuni anni prima, mi porta a questa conclusione.
Durante la campagna elettorale amministrativa dell'autunno del 1964, Giorgio Amendola aveva tenuto un comizio serale nel vecchio mercato dei fiori in via Garibaldi a Sanremo. Da Imperia eravamo partiti alla volta di Sanremo, oltre al sottoscritto, Nedo Canetti e Francesco Rum, mentre Franco Dulbecco il segretario della federazione e Gino Napolitano il nostro parlamentare erano già sul posto.
Terminata l'affollata manifestazione, Gino ci aveva comunicato che avevano preparato, in un albergo della frazione di San Romolo, una cena alla quale sarebbero stati presenti l'onorevole Giorgio Amendola con la moglie Germaine.
Tralascio le considerazioni logistiche di chi doveva trasferirsi a San Romolo dopo il comizio terminato intorno alle ventidue e trenta. Ma eravamo giovani e la possibilità di discutere con un protagonista del calibro di Amendola non poteva essere lasciata sfuggire. Non mi dilungherò sui dettagli del confronto polilico che si era intrecciato durante la cena, ma sicuramente i punti di vista controversi non erano stati sottaciuti. Valga per tutto il brevissimo intervento di Germaine, con il suo caratteristico accento francese, che aveva puntualizzato "Ma il mondo non è solo bianco e nero, esiste anche il grigio". E Giorgio Amendola, ne sono convinto, riflettendo sull'annunciato Controfestival a Sanremo si sarebbe ricordato di quel gruppo di compagni della provincia di Imperia che un po' gli avevano rovinato la degustazione della cena per la foga e la radicalità delle argomentazioni portate a sostegno di una richiesta di innovazioni politiche del Pci, ritenute necessarie.
Del resto, la Federazione di Imperia e il suo gruppo dirigente negli anni '60 aveva già dimostrato indipendenza di giudizio, assenza di timore reverenziale verso i dirigenti più conosciuti nazionali o regionali che fossero.
Un migliaio abbondante di poliziotti, carabinieri e guardie di finanza il 30 gennaio erano stati schierati a "protezione" del Casinò e di altri punti sensibili, La Stampa a sua volta, scriveva "ci sono migliaia di uomini, carabinieri del Battaglione mobile di Torino e della Legione di Genova, agenti del 3° Battaglione Celere di Milano e del 2° Battaglione di Padova". Ricordo gli innumerevoli camion, pulmini e jeep che stazionavano nella zona dell'allora stazione ferroviaria, poco distante dal Casinò e al termine di via Roma.
Nella mattinata per le vie di Sanremo era sfilato un corteo di giovani con cartelli con foto delle borgate più povere della Città dei fiori e le scritte "Bolivia, India? No. Sanremo". I fascisti, della Gioventù nazionale, sempre in mattinata, avevano diffuso un volantino significativamente intitolato "Adunata" per dire No al Pci e alle speculazioni marx-capitalistiche, per salvare Sanremo, ma in piazza Colombo alle 21 non vi era stata traccia di "camerati".
Il Controfestival era ubicato nel padiglione di Villa Ormond, unica area capiente (e non costosa) in direzione opposta alla casa da gioco e a levante di Sanremo. Dario Fo e Franca Rame erano giunti da Livorno con la loro compagnia e avevano montato le strutture per un palcoscenico di fortuna. Avvicinati dall'inviato de La Stampa, Dario Fo aveva fornito la sua motivazione della protesta sul fatto che "si specula su queste stupide canzoni. In Italia, in nome di questa musica leggera si spillano miliardi alla povera gente e come se non bastassero i dischi, ci sono quattrocento piccole orchestre che vanno in giro ad addormentare la gioventù. Le canzoni hanno ragione di esistere soltanto quando svolgono una funzione culturale, quando servono a far prendere coscienza agli uomini, quando gli consentono di capire che esiste un mondo di sfruttatori e un mondo di sfruttati".
Avevamo organizzato un servizio d'ordine per presidiare i punti esterni più rischiosi. Prima dello spettacolo Dario Fo, Franca Rame ed esponenti del nostro partito, del Psiup e dei giovani socialisti erano intervenuti sui motivi della contestazione. Lo spettacolo, la "Pantomima", veniva rappresentato nei teatri e anche nelle fabbriche occupate. Alle 21 la gente aveva incominciato ad affluire a Villa Ormond, occupando tutti i cinquecento posti a sedere e in molti avevano dovuto assieparsi in piedi. Al termine della rappresentazione era seguito un dibattito sullo spettacolo.
La rappresentazione teatrale era proseguita tranquillamente; purtroppo della prestazione di Dario Fo e Franca Rame non avevo visto nulla per l'incombenza di organizzare il servizio di sicurezza. Ma il finale tranquillo è stato per noi comunisti del Ponente ligure la ricompensa migliore. Avevamo dimostrato di saper correre i rischi necessari, aver valutato in modo corretto i rapporti di forza sul campo e lanciato un segnale preciso: i comunisti erano presenti, decisi e numerosi. I successivi risultati politici per il Pci sarebbero stati figli anche del Controfestival di Sanremo.
Giuseppe Mauro Torelli (1), Viaggio tra generazioni e politica, ed. in pr., 2017
(1) Giuseppe Torelli [Nato
a
Imperia
il
13 marzo 1940]. Figlio di artigiani, ha conseguito la maturità scientifica nel liceo Vieusseux di Imperia. Eletto parlamentare
nel 1983, ha partecipato ai lavori della Camera dei deputati
nell'ambito del gruppo del Pci nella IX e X Legislatura. In Parlamento è
stato componente della Commissione Interni e successivamente della
Commissione Esteri. In tale contesto ha avuto l'incarico di responsabile
dei problemi dell'ordine pubblico e delle forze di polizia e dei Vigili
del fuoco, con particolare riferimento alla problematica della
Protezione civile. In precedenza, a partire dal 1965, è stato per venti
anni consigliere comunale di Imperia, svolgendovi lungamente la funzione
di capogruppo. È stato Sindaco del capoluogo nel 1975. Eletto
consigliere provinciale nel 1990, nell'ambito della legislatura ha
svolto la funzione di Presidente della Commissione Affari istituzionali.
Membro dell'Unione regionale province liguri, è stato eletto altresì
nell'assemblea nazionale dell'Upi. Nella Federazione Giovanile Comunista
Italiana (Fgci) ha ricoperto l'incarico di segretario provinciale e
componente del Comitato Centrale. Nel Pci, dal 1972 al 1983 e quindi nel
1991, ha svolto le funzioni di Segretario provinciale e dirigente in
organismi provinciali, regionali e nazionali, come altresì
successivamente nel Partito Democratico della Sinistra e nei Democratici
di Sinistra. Nel 1989 aderì alla mozione, voluta tra gli altri da
Pietro Ingrao e Alessandro Natta, contraria alla svolta della Bolognina,
operata dal segretario del Pci Occhetto. Tale mozione si affermò in
provincia di Imperia nel congresso del 1990. È stato componente della
Presidenza del Consiglio nazionale dei Garanti dei Ds a partire dal
congresso di Pesaro del 2001. Al congresso Ds di Firenze del 2007 non
aderiva alla proposta di dar vita al Partito Democratico. Dal 1998 era
componente del Coordinamento nazionale dell'Associazione per il
Rinnovamento della Sinistra (Ars), di cui è stato tra i promotori e
Presidente dell'Ars di Imperia intitolata ad Alessandro Natta. [n.d.r.:
deceduto il 12 agosto 2019]. da Wikipedia