mercoledì 28 agosto 2024

Sono così entrato senza alcuna fatica nella galassia affabulatoria dello scrittore di Oneglia


A partire dalla fine degli anni Cinquanta e, grosso modo, per tutto il decennio successivo un'ondata di rapidi e violenti cambiamenti investì l'Italia che, appena uscita dai disastri della guerra e del ventennio fascista, si era avviata, con una cospicua zavorra di contraddizioni e nodi irrisolti, a diventare una moderna società industriale e di consumo. A fronte di questo l'esperienza dei Novissimi e del Gruppo 63 ha rappresentato una dirompente spinta di opposizione polemica ai valori dominanri nel mondo letterario, ancora condizionato da una parte dal bellettrismo tardo ermetico e dalla prosa d'arte, che affondavano le loro radici nella cultura del rappel à l'ordre maturato nel ventennio, dall'altra dalle ultime espressioni del neorealismo, che aveva rivitalizzato la poetica del realismo romantico e naturalista, raccontando le macerie lasciate sul campo dal conflitto e le dure vicende della fabbrica e del mondo operaio nell'epoca della riconversione postbellica.
[...] Questo fascicolo monografico di Resine è un tributo a Germano Lombardi (Oneglia, 10 ottobre 1925 - Parigi, 12 dicembre 1992), uno dei protagonisti più trascurati e oggi quasi dimenticato di tale stagione. Un oblio ingiusto perchè l'opera narrativa dello scrittore ligure, che abbraccia quasi un trentennio, costituisce, insieme a quella di Balestrini, forse il più cospicuo e coerente contributo nell'ambito della neoavanguardia all'elaborazione di un nuovo e originale modello di narrazione. Fra tutti gli esponenti del Gruppo 63, lombardi fu probabilmente quello che più di ogni altro ebbe il passo e il respiro del romanziere e dell'affabulatore.
Pier Luigi Ferro, L'occhio di Germano Lombardi, Resine Anno 2010 - Annata: XXXI - N. 125-126

[...] oggi vi parlo di Germano Lombardi, scrittore di Imperia, dimenticato dai più.
Lombardi è nato a Oneglia nel 1925 e ancora giovane, probabilmente per motivi familiari, si trasferisce a Firenze dove studia e partecipa ai movimenti anarchici, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. In seguito diventa marinaio e conosce soprattutto l'America del Sud, dove tornerà spesso. Si trasferisce a Milano, dove, per qualche anno, lavora nel mondo della pubblicità. Questo mondo gli sta stretto perché sente che la sua vocazione è quella di scrivere, così decide ancora una volta di dare una svolta alla sua vita e di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Vive a Londra, poi tra Parigi e Roma.
“Ho conosciuto Germano Lombardi in tempi lontani, quando ancora esercitava un mestiere che gli consentiva un'agiata esistenza, ma poco gli corrispondeva. Si muoveva con una certa pesantezza per il fisico ormai massiccio, un cappellaccio nero e un fazzoletto di colore attorcigliato al collo, con eleganza naturale: un suo modo di essere in rapporto allo spazio e al tempo.” [1]
Nel gennaio del 1967, Lombardi era partito con Stefano De Stefani e con un operatore della RAI per un viaggio nel Messico, Haiti e Giamaica per realizzare documentari mai trasmessi per ragioni ignote. [2]
Nel 1963, a Palermo, nasce il famoso Gruppo 63, composto da molti intellettuali, narratori e poeti: Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Giangiacomo Feltrinelli, Alfredo Giuliani e altri. Con loro c'è anche Germano Lombardi.
Il Gruppo 63 è composto da neoavanguardisti della letteratura e dell'arte e si riunisce a Roma, perlopiù alla libreria “Al ferro di Cavallo” la cui proprietaria, Agnese De Donato, nel 2005 scriverà il libro “Via Ripetta 67″ che tra l'altro raccoglie qualche foto in cui Germano Lombardi è ritratto insieme a Andrea Barbato, Angelo Guglielmi, Giangiacomo Feltrinelli, e altri componenti del Gruppo.
“In quegli anni c'era un fiorire di letteratura d'avanguardia: dovevamo leggere libri difficili, non scorrevoli e fluidi come quelli di Bassani, odiato e bandito dagli avanguardisti, dunque non semplici da leggere, ce li passavamo a vicenda, ci divertivamo un sacco, tutti i giornali parlavano di noi. I vincitori? Nanni Balestrini, Carlo Porta, Germano Lombardi, Antonino Pizzuto e altri [...] Il gruppo era battagliero e con le sue sciabolate infieriva contro scrittori “sorpassati” e “scontati” come Moravia, Bevilacqua, il solito tartassato Bassani i quali non reagivano certo con indifferenza.” [3]
Il Gruppo frequentava anche Le Privé di Roma “dove si davano appuntamento intellettuali, artisti, tiranotte, belle ragazze” [4] e dove Lombardi era molto stimato da Tano Festa.
Germano Lombardi scrive e pubblica da Feltrinelli “Barcelona” che sarà seguito da altri romanzi e testi per il teatro.
Su tutti mi piace ricordare “Villa con prato all'inglese”, una specie di poliziesco che inizia così: “Lucio Batàn guardava dall'alto del Berta il parco e la villa dell'ingegner Vont Batàn…” e che ha come protagonisti personaggi dai nomi bizzarri: Franco Crocenera, ex camerata, Duc Recanizo boss della droga, il floricoltore Omérus Maculay Jonesco.
“Ai tempi della Repubblica Sociale, quando la Villa era requisita dalle SS italiane e il suo proprietario ingegner vont era rifugiato in Svizzera, s'erano lì svolti oscuri fatti, ed era scomparso un tesoro di diamanti posseduti da un biscazziere Levine Dostojevsky emigrato russo di mitica ricchezza. Un camerata della banda fascista, Lucio Batàn, “uomo crudele, spregioso e pazzo”, eclissatosi dopo la fine della guerra e poi implicato in una rapina e plurimo omicidio, uscito di galera nell'ottobre 1976, entra in un giro interessato al recupero del tesoro, è probabilmente l'unico a sapere che nella biblioteca della Villa, nel volume 'Verso la cuna del mondo' di Guido Gozzano, è indicato a pagina 73, riga ottava, il luogo del nascondiglio (”della mimosa azzurra cingalese, e il passo”). [5]
[NOTE]
[1] Achille Perilli - Introduzione a “Il tiranno di Haiti”
[2] Idem
[3] Via Ripetta 67 - Agnese De Donato - Dedalo, 2005.
[4] studiosoligo
[5] Autunno del Novecento - Alfredo Giuliani - Feltrinelli, 1984
Angelo Amoretti, Germano Lombardi: scrittore imperiese, Imperia Parla, 21 febbraio 2008

Il libro ["Villa con prato all'inglese" di Germano Lombardi, Il Canneto Editore, 2010]
Un giallo senza soluzioni - e forse senza “giallo” - sullo sfondo di una villa abbandonata nella riviera di Ponente, a due passi dal confine con la Francia. Un circo di personaggi inquietanti, una storia senza capo né coda - esattamente come lo è la vita. E una scrittura che avvolge dalla prima all'ultima parola. Un primo passo per recuperare un grande scrittore.
L'autore
Germano Lombardi (Oneglia 1925 - Parigi 1992) è tra i fondatori del “Gruppo '63” insieme, tra gli altri, a Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti e Giangiacomo Feltrinelli. Dopo gli studi a Firenze, si avvicina al mondo del teatro e a quello dei movimenti anarchici del primo dopoguerra. Nel '47 si imbarca come marinaio, passione che non lo abbandonerà per il resto della vita, stabilendosi poi a Milano, dove entrerà nel mondo della pubblicità. Nel 1957 la decisione di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Dopo aver vissuto a Londra e a Parigi, si stabilisce a Roma, dove frequenta la galleria “La Tartaruga” e redige testi critici per amici come Cy Twombly, Mario Schifano, Pino Pascali e Tano Festa. È di questo periodo la fondazione del “Gruppo '63”, movimento nell'ambito del quale Lombardi mette in scena anche alcune sue pièces teatrali. A cavallo tra gli anni '70 e '80 si traferisce definitivamente a Parigi. Tra i suoi romanzi più noti: Barcelona (1963), La linea che si può vedere (1967) e Il confine (1971). Villa con prato all'inglese è uscito per la prima volta nel 1977 per Rizzoli.
Redazione, Presentazione di "Villa con prato all'inglese" di Germano Lombardi, Il Canneto Editore

Questi artisti, spesso coetanei del Mainini, erano diversissimi fra loro: non c'era un comune denominatore fra il giovane Piero Manzoni che inscatolava le sue feci e il già maturo Lucio Fontana che abbandonava la pittura figurativa per rasoiare le tele nel nome dello spazialismo. Non appartenevano ancora a una scuola o a una corrente letteraria gli scrittori Germano Lombardi e Nanni Balestrini, portainsegne del Gruppo '63, i poeti Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo, il narratore Luciano Bianciardi che, allora impiegato, trovava al Jamaica i conforti alcolici e l'amicizia per sopportare il peso dell'esistenza e scrivere nel frattempo “La vita agra”. Il trio di avanguardisti del “Consorzio di cervelli” non aveva punti d'unione con i giovanissimi Valerio Adami e Antonio Recalcati che con geometrie neosurrealistiche optavano per un recupero del figurativismo. Allora erano alla fame. Oggi molti di loro sono conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo.
Chiara Salvini, Parlare della storia del Jamaica è parlare della storia di Brera, di Milano, dell'arte italiana dell'ultimo secolo, Nel delirio non ero mai sola, 15 dicembre 2018

Con "Il Confine" Germano Lombardi propone, dopo un lungo silenzio, la sua opera finora più impegnativa, più complessa, più ambiziosa: quel "grande" romanzo d'avventura sullo sfondo degli ultimi venticinque anni di storia europea, di cui i suoi tre primi libri avevano cominciato a fracciare le situazioni, a delimitate lo spazio ideologico, a mettere a fuoco un linguaggio inconfondibile.
Dei primi libri ritroviamo i personaggi: Giovanni, Berthús, Blasto, Ann... esseri al margine, alcolizzati, ex partigiani, drogati, anarchici. La frangia della generazione del dopoguerra, quelli che non hanno voluto accettare il nuovo ordine e che alternano l'autodistruzione psicologica e fisica con una vorticosa ricerca di salvezza individuale nell'azione.
Le loro esistenze si intersecano in uno fitta rete di brevi incontri, di scarni dialoghi, di corrispondenze, di memorie, incentrati su alcuni nodi tematiche: il viaggio a Roma di un irlandese ubriacone e la sua tragica fine durante il ritorno su un treno di emigranti italiani, le disavventure sentimentali dello sceneggiatore di un film su Sacco e Vanzetti, un bar di Londra dove intorno a un giornalista italiano ruotano i personaggi e prendono forma i loro rapporti e il loro passato, un contrabbando di armi nel deserto algerino durante la guerra di liberazione, con l'evirazione di Berthús che conclude il libro.
Su questi temi, scanditi e orchestrati con uno abilissima tecnica di intermittenze e di accostamenti, di improvvisi movimenti spaziali e temporali, si levano alcuni grandi monologhi: quello del ruffiano zio Arton, quello dell'emigrante Antonio Tre, e soprattutto quello di Ezzeline Sherif, il sordido trafficante arabo che è il luogo geometrico di tutta la storia.
Con un linguaggio ricco, libero, disponibile a ogni invenzione, aperto a intensi squarci sul destino di un'epoca, Lombardi costruisce un grande romanzo moderno che si colloca come uno degli esiti più sicuri e stimolanti della nostra più recente letteratura.
Redazione, Presentazione di Lombardi Germano 'Il confine', Milano, Feltrinelli, 1971, Libreria Coliseum, 2024

Ho trovato su una bancarella un romanzo breve di Germano Lombardi (Lombardi, chi era costui?), La linea che si può vedere, in prima edizione nei Narratori di Feltrinelli nell'aprile del 1967, al costo di tre euro - il prezzo vero purtroppo è stato graffiato via.
Sono così entrato senza alcuna fatica, aiutato dall'esiguità del testo, nella galassia affabulatoria dello scrittore di Oneglia.
Quando si parla di Lombardi - autore di un'opera unica in più titoli legata fin dal primo vagito all'avanguardia del '63 e chiusa nel 1992 con la morte dello scrittore nella Parigi in cui era di vedetta - si usa sempre il termine “affabulatorio”, anche se la fabula di Lombardi è come qui scarnificata, secca e riempita di choses.
Fin dalla prima riga La linea che si può vedere entra in risonanza con l'école du regard di Alain Robbe-Grillet e la leggendaria littérature objectale ma senza procurare lo sforzo di lettura che di solito essa comporta (almeno a me). Forse perché abbiamo a che fare con una storia divisa in corte scene quasi teatrali e ambientata nel tempo avventuroso della Resistenza.
Luca Martini, Sulle bancarelle. "La linea che si può vedere" di Germano Lombardi, Allonsanfan, 30 aprile 2022

martedì 20 agosto 2024

La Casbah di calviniana memoria

Sanremo (IM): un vicolo della Pigna

Parallelamente, per Calvino Sanremo è la città delle origini, il modello attraverso il quale viene letta e interpretata ogni altra città, l'esperienza iniziale rispetto alla quale si delineano le coordinate della conoscenza del mondo, il nucleo da cui nasce la scrittura e al quale è possibile tornare per ritrovare il senso delle differenze in una realtà sempre più indifferenziata: Zoe è l'emblema di questa indistinzione segnica, perché non si può ricondurre a una netta distinzione tra fuori e dentro, tra ordine e disordine, a un disegno che ne mappi le strade, le piazze, le officine e i templi, ma in essa il forestiero si perde.
L‟aspetto di Zoe, che si presenta come una “pigna di pagode e abbaini e fienili”, simile al paese descritto in dall'opaco come “una pigna tutta arcate e finestre”, è l'ennesima metamorfosi del paesaggio interiore di Calvino, della “vecchia Casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato, con segmenti neri catramati o gialli e cespi d'erba” evocata ne La strada di San Giovanni. Si tratta di un nucleo antico e vitale, sul quale si depositano le stratificazioni del tempo, dando vita a una sorta di carcere piranesiano, con lo stesso intreccio inestricabile di livelli sovrapposti e ibridi, cresciuti senza ordine, come delle metastasi, un altro simbolo della memoria: «Fulcro di questo inurbamento era la Pigna, la vecchia Pigna rannicchiata ancora per paura dei pirati, con le case sostenute una addosso all'altra con archi e volte, sempre più aggrovigliata per le aggiunte e gli adattamenti delle successioni ereditarie, sempre più pigiata per le scosse dei terremoti, con le strade ripide e acciottolate piene di sterco di mulo, la Pigna senza fogne, senz'acqua nelle case, buia nelle strade strette» <381.
[NOTA]
381 Italo Calvino, Sanremo città dell'oro, in Saggi 1945-85, tomo II, pp. 2371-72.
Gianni Cimador, Calvino e la riscrittura dei generi, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2008-2009

Quando Italo Calvino, ne La strada di San Giovanni - parlava della «vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato» che senso voleva dare a quelle parole?
Perché associare l’immagine di una Casbah a quella del centro storico di Sanremo? Quale il nesso? Il dedalo di vicoli, gli archi svettanti, i forti chiaroscuri di volte ombrose e improvvisi squarci di luce, o altre suggestioni ancora d’origine mediterranea e nordafricana...
Di certo, al tempo di Calvino, non erano gli abitanti a costituire il richiamo a quell’immagine esotica; solo una questione urbanistica.
Ma l’intento del grande scrittore era forse di taglio denigratorio?
C’è da escluderlo, anche se la successiva similitudine, quella dell’osso, parrebbe non troppo lusinghiera.
Eppure, a noi sembra che entrambe le definizioni, filtrate dalla fantasia del romanziere, siano scevre da ogni connotazione negativa; semmai tendono a sottolineare caratteristiche morfologiche ed estetiche: le pietre addossate una sull’altra, nei secoli, e ciò che disegnano.
Quindi, ancor oggi, non c’è nulla di male a definire la Pigna una Casbah. Anzi, togliamo pure da questa parola ogni sovrapposto senso di “regno della delinquenza” poiché - è cronaca degli ultimi mesi, in crescendo, purtroppo - che fattacci si verificano ancor più spesso in altre zone della città, anche nei salotti-bene, nei ristorantini modaioli, nelle vie dello shopping.
La Pigna sta diventando, al confronto, davvero luogo di villeggiatura, dove arte e cultura, storia medievale e intrecci di culture sono ingredienti evidenti. Un luogo dove i bambini possono ancora giocare a palla in strada, e dove non giungono quasi i rumori metropolitani di auto, sirene, rombanti motorini. Il massimo del fastidio acustico è qualche schiamazzo, qualche lite debordante dai balconi, ma insomma cose più che umane.
Anche noi, Accademia di studiosi, bibliofili, cultori di antichità ma anche di modernità, siamo nella Pigna, da più di un lustro “abitiamo” nella Pigna, ovvero la Casbah di calviniana memoria.
Ne siamo orgogliosi, ma non vogliamo farne una cosa solo “nostra”, anzi dev’essere aperta, vissuta, frequentata e condivisa con tutta la popolazione e con i turisti, che forse più di noi autoctoni ne colgono la valenza senza pregiudizi di sorta.
Può dar fastidio a qualcuno l’accostamento con la cultura araba, bene.
Resta il fatto che questo borgo davvero assomiglia ad una Casbah
Chi siamo noi, dopotutto, per contestare Italo Calvino?
Faris La Cola, Editoriale,  Il Regesto - Bollettino bibliografico dell'Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca, ANNO V N° 2 (18) SANREMO, APRILE/GIUGNO 2014

A San Giovanni, località dell'entroterra che sovrasta Sanremo, i Calvino erano proprietari di una «campagna» racchiusa in una valle dove l'avanzata della modernità ancora non era giunta. Tuttavia è il mondo in basso ad attirare l'attenzione del bambino: «il porto non si vedeva, nascosto dall'orlo dei tetti delle case alte di piazza Sardi e piazza Bresca, e ne affiorava solo la striscia del molo e le teste delle alberature e dei battelli; e anche le vie erano nascoste e mai riuscivo a far coincidere la loro topografia con quella dei tetti, tanto irriconoscibili mi apparivano di quassù proporzioni e prospettive».
Dall'alto appaiono le sagome della città marittima, un intreccio di linee e superfici senza profondità dove una distesa irregolare di tetti preclude la cognizione del reticolato interno delle vie. San Remo appare come un collage di figure accostate l'una contro l'altra: «là il campanile di San Siro, la cupola a piramide del teatro comunale Principe Amedeo, qua la torre di ferro dell'antica fabbrica d'ascensori Gazzano […], le mansarde della cosiddetta «casa parigina», un palazzo d'appartamenti d'affitto».
L'occhio inquieto dell'osservatore immobile percorre dal basso verso l'alto il digradare del territorio: «al di là si levava, come una quinta, […] la riva di Porta Candelieri, […] e s'aggrappava la vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato, con segmenti neri catramati o gialli e cespi d'erba, sormontata […] da un giardino pubblico ben ordinato e un po' triste, che saliva con le sue siepi e spalliere la collina: fino al ballo d'un dopolavoro montato su palafitte, al palazzotto del vecchio ospedale, al santuario settecentesco della Madonna della Costa, dalla dominante mole azzurra». (RR III, pp. 8-9).
Francesco Migliaccio, Il luogo dello sguardo. Paesaggio e scrittura in Calvino, Celati e Biamonti, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2014-2015

Confrontando Il sentiero dei nidi di ragno e La strada di San Giovanni, emergono due descrizioni parallele:
"È notte: Pin ha scantonato fuori dal mucchio delle vecchie case, per le stradine che vanno tra orti e scoscendimenti ingombri di immondizie. [...] Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti scoscesi dove nessuno coltiva. [...] È una scorciatoia sassosa che scende al torrente tra due pareti di terra ed erba. [...] Pin vaga tutto solo per i sentieri del fossato e cerca il posto dove fanno la tana i ragni. Con uno stecco lungo si può arrivare fino in fondo ad una tana, e infilzare il ragno, un piccolo ragno nero, con dei disegnini grigi come sui vestiti d’estate delle vecchie bigotte" (RR I, p. 23).
"Al di là [del torrente San Francesco] si levava, come una quinta, - il torrente era nascosto giù in fondo, con le canne, le lavandaie, il lerciume dei rifiuti sotto il ponte del Roglio, - la riva di Porta Candelieri, dov'era uno scosceso terreno ortivo allora di nostra proprietà, e s’aggrappava la vecchia casbah della Pigna" (RR III, p. 8).
In entrambi i brani vediamo che ricorrono alcuni elementi comuni che descrivono il letto del torrente San Francesco: è ripido e scosceso, pieno di canne e rifiuti e gira intorno ad alcuni orti. Ulteriore elemento identificativo di questo luogo in La strada di San Giovanni è il ponte del Roglio <7 che ci permette di ipotizzare che il posto dove i ragni facevano i nidi, si possa trovare proprio in questa parte di Sanremo lungo il torrente. In questo luogo magico, anche i nidi dei ragni assumono caratteristiche quasi fiabesche e fantasiose, ma esistono in natura delle specie di ragni che creano dei nidi verosimili alle descrizioni che Calvino ci offre attraverso la voce di Pin. Si tratta dei ragni migalomorfi che vivono in zona mediterranea e realizzano dei nidi in piccoli tubi scavati nella terra e rivestiti interamente di tela con delle botole chiuse che sembrano delle vere e proprie porticine <8. Così, l’immagine di questi «ragni che fanno tane, tunnel e porticine», potrebbe essere stata presa in prestito alla scienza e inserita nella narrazione in maniera quasi del tutto autentica.
Un altro ambiente che fa da collegamento tra la Pigna e la parte ad ovest di Sanremo, è un insieme di tunnel sotterranei nei quali si nascondevano gli abitanti della Pigna quando sentivano il rombo degli aerei <9: quando «s’ode un rombo e tutto il cielo è invaso da aereoplani […] la Città Vecchia in quel momento si sta svuotando e la povera gente s’accalca nella fanghiglia della galleria» (RR I, pp. 97-98).
[NOTE]
7 Questo ponte non esiste più dal momento che verso metà ‘900 il torrente San Francesco venne coperto. Prima della copertura scorreva a valle della Pigna, parallelamente a via Porte Candelieri. Oggi questa zona è completamente irriconoscibile.
8 In un approfondimento di Marco Isaia, professore universitario presso la facoltà di Torino, la cui attività scientifica si incentra principalmente sull’aracnologia e sull’ecologia delle grotte, in Italo Calvino, Sanremo e dintorni. Un itinerario letterario (1923-2023), pp. 117-118, si legge che i ragni che più verosimilmente corrispondono alla descrizione di Calvino sono i Nemesia, che «alloggiano in tubi scavati in terra profondi da 5 a 40 cm., rivestiti interamente o parzialmente di tela che vengono rinchiusi con delle vere e proprie botole che rimangono chiusi nei periodi secchi o durante il giorno e socchiuse di notte o al crepuscolo. I ragni rimangono nelle vicinanze dell’apertura del tubo e quando una preda transita sulla botola o nelle sue immediate vicinanze, scattano velocemente verso l’esterno, catturandola con i robusti cheliceri e consumandola all’interno del tubo, espellendo i rifiuti non consumabili (ad esempio le parti dure) all’esterno quando il pasto è concluso. Le femmine possono passare fino a 8-10 anni in questi tubi, e in genere non ne escono, a meno che il terreno ceda o frani. I maschi invece vivono di meno, e in genere escono in autunno alla ricerca delle femmine. Dopo aver “gentilmente” bussato alle botole delle femmine, si accoppiano con modalità del tutto particolari e in genere muoiono a fine stagione».
9 La galleria di cui parla Calvino è, con molta probabilità, quella che collega via Francia con via Martiri. Giacomo Mannisi, esperto della Sanremo sotterranea, interpellato da me il 7 novembre 2022, mi ha riferito che durante la guerra questa galleria veniva utilizzata come rifugio antiaereo. All’epoca non era ancora completata, ed era aperta soltanto la parte che guardava verso il mercato annonario; l’altra metà venne terminata agli inizi degli anni sessanta, esattamente nel 1963, tre anni dopo l’inaugurazione del Mercato Annonario (www.sanremostoria.it).
Elisa Longinotti, Calvino e i suoi luoghi, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2022-2023

giovedì 15 agosto 2024

Circa le musiche tradizionali del Ponente Ligure


Nel 1962, 1965 e 1966 Giorgio Nataletti, affiancato nell'ultima rilevazione da Paul Collaer, condusse, per conto del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, tre campagne di ricerca nella Liguria di Ponente, con uno sconfinamento in Francia e una digressione a Genova. Per quanto riguarda l'area dell'Imperiese, le ricerche interessarono le località di Imperia Oneglia (Borgo Peri), Taggia, Triora, Realdo, Ceriana, Seborga, Dolceacqua, Isolabona, Apricale, Pigna e Briga, documentando un ventaglio molto ampio di espressioni musicali, dal canto liturgico a quello rituale, dal canto monovocale a quello polivocale dei pastori, dal canto solistico accompagnato da una chitarra ritmica a quello di piccoli insiemi con chitarra e mandolino.
Questi documenti sonori, confluiti poi nelle raccolte 67, 91 e 101 del CNSMP, oggi Archivi di Etnomusicologia, sono una straordinaria testimonianza delle trasformazioni che le musiche di tradizione hanno subito nella tumultuosa fase di industrializzazione della società italiana dove, accanto all'ancora solida persistenza del repertorio più antico, si registrano anche significativi fenomeni di erosione della prassi musicale originaria.
La documentazione sonora, finora del tutto inedita e pubblicata nei due cd come una sorta di viaggio da Levante a Ponente, risulta pertanto di imprescindibile importanza per l'azione di recupero e valorizzazione del patrimonio musicale ligure.
Redazione, Presentazione di M. Balma, G. d'Angiolini (a cura di) Musiche tradizionali del Ponente Ligure - contiene 2cd. Le registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer (1962, 1965, 1966) 2007, € 22. Formato 14x19, 10 foto in b/n, pp. 132, squi[libri]

L’areale alpino che ci interessa in questa sede è quello definito dalla sua lingua, il ligure alpino, cioè la Val Roia (da Tenda e Briga fin giù a Olivetta - San Michele - Fanghetto, ma non Airole che è di tipo ventimigliese), i dialetti pignaschi in Val Nervia (Pigna - Buggio - Castelvittorio; l’Apricalese sta a cavallo fra il tipo pignasco e quello litorale), i dialetti trioraschi della Valle Argentina (da Creppo fino a Glori, le parlate del fondovalle sono però fortemente litoralizzate) <4. Questo areale fu oggetto, negli anni 60, di inchieste musicologiche. Nel 1965, nell’ambito di una cooperazione fra il Centro Nazionale Studi di Musicologia e la RAI, Giorgio Nataletti eseguí inchieste a Pigna, Castelvittorio, Apricale, Triora, Realdo (“colonia” brigasca in alta Valle Argentina); a Sanremo fu registrata una signora di Briga. Un anno dopo, il Nataletti registrò - assieme a Paul Collaer - canti a Realdo, Briga e Triora. Vi si aggiungono altre mete, del litorale ligure e nizzardo. Le due raccolte furono archiviate nel Centro Nazionale Studi di Musica Popolare (oggi Archivi di Etnomusicologia, raccolte n. 91 e 101), e vi rimasero “sepolte” fino al 2007, quando Mauro Balma e Giuliano d’Angiolini presero l’iniziativa di pubblicarne una parte in due dischi integrati in un libro con spiegazioni utili e con la trascrizione dei testi <5. Tornerò a parlare di questa pubblicazione.
Due anni dopo, nel 1967 e poi nel 1968, un giovanissimo musicologo, Bernard Lortat-Jacob, oggi direttore di ricerca al CNRS, svolge a Tenda (e dintorni) una - per lui prima - missione etnomusicologica. La messe è un volume rispettabile, si tratta di ben 188 canti o estratti di canti, accompagnati da interviste che spiegano il significato, la diffusione, le occasioni, la tecnica dei canti. L’accesso a questi materiali è diventato possibile solo nel recente passato, ed ha generato una piccola pubblicazione parziale curata dai musicologi Cyril Isnart e Jean-François Trubert <6, terminando cosí, come essi scrivono nell’avant-propos (p. 11), quarante ans d’endormissement au Musée National des Arts et Traditions Populaires. I materiali si trovano ora, accessibili, alla Maison Méditerranéenne des Sciences de l’Homme (phonothèque) a Aix-en-Provence.
È chiaro che con quei materiali raccolti “sul campo” mezzo secolo fa - quelli pubblicati e ancor di più quelli rimasti negli archivi - disponiamo di una base ampia per future ricerche sulle realizzazioni musicali e testuali. Vi si aggiungano i materiali raccolti dopo, e parzialmente pubblicati, cioè quelli di Edward Neill (a partire dal 1968 fino all’improvvisa morte nel 2001), Mauro Balma e Paolo Giardelli (a partire dagli anni Ottanta) fra gli altri <7.
Giova richiamare l’attenzione sulla recente fondazione a Genova, nel febbraio 2008, del Centro regionale per i Dialetti e le Tradizioni popolari della Liguria. Il CDT custodisce, oltre che una biblioteca specializzata, documenti filmati, produzioni televisive (RAI regionale fine anni ’70-’80), anche centinaia di registrazioni, fra le altre quelle effettuate da Balma e Giardelli, e soprattutto il Fondo Edward Neill (120 bobine digitalizzate).
[...] Il libro con i dischi di M. Balma e G. d’Angiolini presenta una ventina delle registrazioni raccolte da G. Nataletti e P. Collaer in Provincia di Imperia, scelte secondo la qualità ed il potenziale esplicativo musicologico delle esecuzioni. Si tratta di produzioni di Taggia (5), Triora (5), Realdo e Briga (8+1), Ceriana (8), più alcune località con uno o due canti (Imperia-Borgo Peri, Seborga, Dolceacqua, Isolabona, Apricale). I diversi canti vengono presentati da Mauro Balma inseriti nei generi cui appartengono: canti narrativi (12 ballate), canzoni (9 - ne fanno parte pure i due testi di Tenda e Briga citati nel § 1), strofette (3), e finalmente Liturgia (7), fra gli altri; il tutto presentato con la precisione e l’acribia filologica che gli conosciamo. I testi (in ligure rivierasco / ligure alpino / piemontese / latino) sono tutti trascritti e ove necessario tradotti con buona conoscenza <11. Sono elencati i nomi dei performanti. In una prima parte, Mauro Balma evoca le circostanze delle registrazioni, ricostruite mediante interviste dei testimoni. Un importante e variegato commento musicologico è curato da Giuliano d’Angiolini. Egli presenta le direttrici stilistiche presenti nelle diverse produzioni, le strategie per il lirismo musicale, i timbri vocali. Riesce a presentare tipologie strutturali che possono servire da base per studi comparativi o di ricostruzione. Paragona anche lo stile delle registrazioni cerianesi con altri stili. Un’ampia lista bibliografica e discografica chiude il libro.
[NOTE]
4 Per il concetto e la geografia linguistica del ligure alpino cfr. l’esaustiva analisi di J. PH. DALBERA, Les parlers des Alpes-Maritimes ..., AIEO 1994 (che prova il carattere nettamente non-occitano del roiasco); W. FORNER, L’Intemelia linguistica, in « Intemelion », 1 (1995), pp. 67-96 (con ulteriori rinvii bibliografici dove si mostra l’affinità del gruppo roiasco con i gruppi pignasco e triorasco rurale), ora anche W. FORNER, Fra Costa Azzurra e Riviera: Tre lingue in contatto, in Circolazioni linguistiche e culturali nello spazio mediterraneo. Miscellanea di studi, a cura di V. ORIOLES - F. TOSO, Recco 2008, pp. 65-90.
5 M. BALMA e G. D’ANGIOLINI, Musiche tradizionali del Ponente Ligure. Le registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer. Collana AEM (Archivi di EtnoMusicologia dell’ Accademia Nazionale di S. Cecilia), Roma 2007. (131 pp., con due CD).
6 Musique du Col de Tende. Les archives de Bernard Lortat-Jacob 1967-1968. Archives sonores, textes et transcriptions réunis par C. ISNART et J.-FR. TRUBERT. Nice 2007 (107 pp., con un CD).
7 Per un elenco bibliografico (fino al 1993) si consultino Bibliografia dialettale ligure, a cura di L. CÒVERI - G. PETRACCO SICARDI - W. PIASTRA, Genova 1980, pp. 151-163. Bibliografia Dialettale Ligure, Aggiornamento 1979-1993, a cura di F. TOSO - W. PIASTRA, Genova 1994, pp. 173-197.
11 Essa non esclude, naturalmente, qualche inevitabile errore, ad es.: il pignasco riduce -ü-, -ö- ad -i-, -è-: Di conseguenza nöite, söi (II-13) e fögu, lögu (II-15) vanno corrette. Il canto brigasco (II-20) deve cominciare così: ‘R ven ‘r meez d’ mars, e questa “‘r” iniziale è un clitico impletivo che in italiano non c’è (più), per cui la traduzione non deve essere « ORA viene il mese di marzo », bensì « viene il mese di marzo » (fino al Macchiavelli si sarebbe potuto dire: « EGLI viene il mese di marzo ».
Werner Forner, La tradizione culturale alpina risorta. A proposito di alcune produzioni recenti, Intemelion, n. 14 (2008)

giovedì 8 agosto 2024

È arrivata la macchina del deputato di Lione e mi ha portato a Sanremo

Sanremo (IM): uno scorcio della "Pigna", il centro storico dove è nato ed è cresciuto Rodolfo Amadeo

Non rientro perciò in Svizzera, rimango così a Sanremo e divento segretario del Comitato Comunale di Sanremo [del Partito Comunista].
In quel periodo mantenevo rapporti con l'emigrazione, portando in Francia clandestinamente materiale di propaganda del Partito Comunista. La clandestinità era dovuta dalla necessità di evitare una lunga trafila burocratica che rendeva di fatto impossibile il passaggio della frontiera dei manifesti e dei volantini.
Faccio la campagna elettorale del '68 in Francia e resto bloccato a Parigi nel maggio per lo sciopero generale dei mezzi di trasporto. Nella campagna elettorale ho girato tutta la Francia. Ho fatto riunioni all'uscita delle fabbriche e poi casa per casa. Ho dovuto telefonare al Comitato Centrale del PCF per riuscire a prendere un mezzo di trasporto. Alla stazione era tutto fermo e per telefonare al PCF ho chiesto l'autorizzazione del picchetto della CGT, dicendo che dovevo tornare in Italia a votare. In questo caso sono stati bravissimi. È arrivata la macchina del deputato di Lione e mi ha portato a Sanremo.
Ho partecipato alle manifestazioni del '68. Il PCF non era tanto d'accordo, le considerava manifestazioni di gruppettari. Poi il PCF ha dovuto rimangiarsi tutto ed appoggiare le manifestazioni perché c'era tutto il popolo in piazza.
Nel '63, quando ero a fare la campagna elettorale nel Doubs dove c'era la Peugeot, c'era un compagno sardo, antifascista, che era stato al confino, un certo Budda. Mi invita a passare i giorni di Pasqua con lui in campagna. Io gli dico che non posso perché devo andare in Svizzera dove mi avevano invitalo per una riunione i compagni emigranti. Budda se la prende male e scrive una lettera al comitato centrale del PCI, dicendo che io ho abbandonato il lavoro politico. Budda era diventato più francese che sardo. Allora Vercellino mi invita ad andare a Roma con lui alla festa per il successo elettorale e mi presenta a Togliatti che aveva letta la lettera. Vercellino mi presenta dicendo "Questo è il compagno della lettera" e Togliatti mi rassicura dicendomi: "Non ti preoccupare. È già agli atti."
Il PCF aveva diffidenza nei miei confronti dai tempi dell'articolo di Amendola sull'Europa e con la lettera ispirata da Budda volevano evitare che io tornassi a fare lavoro politico in Francia. Tanto è vero che, quando sono ritornato per la campagna elettorale del '68, il PCI aveva deciso di mandare in Francia il compagno Diodati della federazione di Imperia (che era stato in esilio a Parigi) e me. Il PCF disse che Diodati andava bene ma che Amadeo avrebbero preferito che non venisse. Fontana, allora responsabile nazionale dell'emigrazione, mi disse poi che Longo aveva risposto che i funzionari per la campagna elettorale' li sceglieva il PCI e non il PCF.
Nel '68 mi mettono alla prova. Il compagno Mario Fornaciari, un parente di Zucchero, quando mi incontra nella riunione a Parigi, mi presenta un elenco di compagni da contattare perché dice che questi compagni mi avrebbero messo in relazione con gli altri emigrati e mi dice di tornare l'indomani mattina con tutti i contatti presi.
[...] Nel '70, eletto consigliere comunale a Sanremo, mi divido da mia moglie e continuo a lavorare. Libero dall'impegno coniugale, il partito mi offre di andare a scuola di partito. Nel '71 vado con Ivano Gaggero alle Frattocchie a Roma. La scuola di partito è stata dura nonostante l'impegno. C'è stato un momento in cui nemmeno dormivo più per stare dietro a tutto quello che spiegavano nei corsi e a quello che cercavo di studiare e leggere in più. A me la scuola è servita molto politicamente. Terminata la scuola, tornato a casa, continuo a lavorare. All'inizio del '72, per le politiche anticipate la direzione del partito mi chiede di andare nuovamente in Francia e di fare tutta la zona di Lione e della Savoia. E qui ho conosciuto Juliette, la compagna francese. Arrivato per la campagna elettorale vado nella sede dell'INCA [patronato della CGIL] che era ospitata dalla CGT e l'impiegata dell'Inca mi dice: "Guarda che c'è una compagna francese che vuole conoscerti". E di qui un disastro. Ritornato dalla campagna elettorale, il partito che nel frattempo aveva avuto i risultati del corso che avevo frequentato alle Frattocchie, mi chiede di fare il funzionario. Io accetto e nella parte restante del '72 lavoro alle elezioni comunali di Cipressa, perché conoscevo Renato Abbo e altri compagni. Conquistammo il comune di Cipressa.
Nei primi giorni del '73 viene nella Federazione di Imperia Giuliano Pajetta, responsabile dell'Emigrazione, che già aveva informazioni su di me da Alessandro Natta e aveva letto la relazione che avevo fatto sulla campagna elettorale in Francia. Giuliano chiedeva alla Federazione se era disposta a lasciarmi andare, qualora io avessi acconsentito, a fare attività politica nell'emigrazione in Germania. Quindi incontro Pajetta che mi fa direttamente la domanda, visto che avevo già acquisito con la  Svizzera e con le campagne elettorali un po' di esperienza di lavoro all'estero. La cosa mi interessò, ma gli dissi che c'era un problema di lingua: con il francese me la cavavo ma non con il tedesco. Pajetta rispose che la lingua non era un problema e quindi accettai.
La cosa mi fece piacere sia perché si trattava di un lavoro politico che mi piaceva, sia perché a Sanremo avevo avuto degli scontri politici e cominciavo a non trovarmici.
A fine gennaio andai a Roma ed ebbi una informazione più dettagliata della situazione del partito in Germania che non era molto chiara. C'erano diversi gruppi ma non riuscivano a produrre iniziativa anche per una divisione tra loro sulla base delle regioni di provenienza. Tra pugliesi e siciliani non c'era molto accordo, anche se tutti volevano costruire un partito adeguato alle esigenze degli emigrati in Germania.
A Roma incontrai il compagno Pelliccia che era uno dei responsabili dell'emigrazione e conosceva bene la situazione anche perché conosceva bene il tedesco. Era stato uno speaker della radio della DDR da cui proveniva. Decidemmo di andare in Germania a fare una riunione con i compagni più attivi. Facemmo la riunione e decidemmo che io mi stabilissi a Colonia, perché a Stoccarda e Francoforte c'erano gruppi più attivi. Inoltre a Colonia ce n'era bisogno perché città della Renania-Vestfalia, accanto all'area industriale della Ruhr, che vedeva una forte presenza di emigrazione italiana.
Rodolfo Amadeo, Dalla Pigna di Sanremo al mondo dei lavoratori, Grafiche Amadeo - Chiusanico (IM), pp.14-17

lunedì 5 agosto 2024

La Domotica di un frontaliere ventimigliese

Fonte: Flavio Palermo

Da parecchi anni faccio esperienze con IoT.
L'Internet of Things (IoT) è una rete di oggetti e dispositivi connessi (detti “cose”), dotati di sensori (e altre tecnologie), che consentono loro di trasmettere e ricevere dati, da e verso altre cose e sistemi.
Oggi l'IoT è ampiamente utilizzato in ambito industriale (IIoT) ed è sinonimo di Industry 4.0.
L'impianto elettrico elettronico del mio appartamento è gestito appunto dall'IoT con un Arduino MEGA nel quadro elettrico ed Home Assistant. Home Assistant, software open-source in grado di controllare tutti i dispositivi Smart all'interno di un'abitazione, dalle luci, ai condizionatori, alle automazioni per le tapparelle.
Installato su un Raspberry 4 pi 8Gb ssd 250Gb.
Al di là dei tecnicismi, Raspberry Pi può essere considerato un “computer in miniatura”, un intero ecosistema hardware raccolto in un’unica board. Nasce in Inghilterra per favorire la diffusione della programmazione e della cultura informatica, ma il suo incredibile successo ne ha svelato miriadi di altri utilizzi. Considerando la motivazione primaria, appare assolutamente adeguato il motto che campeggia sulla homepage del progetto: “Our mission is to put the power of computing and digital making into the hands of people all over the world” (“La nostra missione consiste nel mettere il potere della programmazione e della creazione digitale nelle mani di persone di ogni parte del mondo”). Questa frase è una sintesi perfetta per raccontare uno strumento che ha favorito il fiorire della creatività nel mondo senza limitazioni politiche, sociali o economiche: strada poi percorsa da BBC micro:bit, altro prodotto inglese.
L'impianto elettrico elettronico del mio appartamento è gestito appunto dall'IoT con un Arduino MEGA nel quadro elettrico ed Home Assistant".
Arduino è una piattaforma hardware composta da una serie di schede elettroniche dotate di un microcontrollore. È stata ideata e sviluppata nel 2005 da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea come strumento per la prototipazione rapida e per scopi hobbistici, didattici e professionali.
Poi ad un certo punto ho spento tutto e ti spiego il perché.
Agosto 2022: acquisto un misuratore di energia che installo nel quadro elettrico.
Ed effettivamente mi rendo conto che in mia assenza avevo un consumo di ben 300Watt a vuoto e una bolletta bimestrale di 275 euri. Modem Nas, videosorveglianza, allarme, tutti i dispositivi IoT  ecc. Ecc. Accesi che magari mi collegavo 10 minuti al giorno da Monaco.
Quindi ho deciso di spegnere tutto per fare una prova abbassando il consumo da 300W a 5W.
Bolletta? Da 275 a 55 euro 1/5.
Be', visti i risultati, è da agosto 2022 che quando esco di casa si spegne in automatico.
Dovrei brevettare il progetto: ECOMOTICA...
Flavio Palermo, 31 luglio 2024

Fonte: Flavio Palermo

Non sono in grado di affermare se il termine "Domotica" si applichi al meglio alle situazioni descritte qui da Flavio Palermo, ma all'epoca dei suoi primi esperimenti telematici - che circa trent'anni fa cercò di farmi capire la parola era molto diffusa (e densa di aspettative che non so in realtà quanto si siano verificate) - in circoscritti ambiti del mio lavoro, così che mi piace usarla, al confine tra una citazione e l'autoironia.
Adriano Maini