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Bordighera (IM): scogli di Sant'Ampelio con vista sino a Capo Verde di Sanremo
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Oggi
professorini e scrittoruncoli di Cloche Merie vogliono "fare
l'avanguardia....." Ciò è ridicolo, e so cosa ne avrebbero pensato gli
amici Tzara, Severini,
Spazzapan.....
Paolo
del Monte viveva scatenato e libero, nuovo ogni istante, gioia e
disperazione erano il suo "double" crudele da cui non poteva uscire
anche se gli riusciva di uscire da qualche rischiato suicidio, e la vita
molteplice nei suoi fenomeni terrestri e infiniti lo riprendeva. Paolo
detto Cocco non "voleva" scrivere, a volte in una vita disancorata e
indifesa, doveva scrivere, non ne poteva fare a meno.
Le poesie sono bagliori, lampi incisi, densi e luminosi in ritmi scanditi e sicuri.
Potevamo
pensare che avesse difficoltà a comporsi in prosa, in questo lungo
racconto, si decompone e compone all'orlo di una catastrofe mai
dichiarata ma sempre latente e resiste, si svincola e inventa un suo
ritmo (che nasce dalla poesia) che gli offre ogni realtà mai integrata
alla idiota società del consumo con la sua automazione tecnologica.
L'equivoco più volgare, di basso colturismo nazionalautarchico è di
confondere tra tecnica (necessaria alla sopravvivenza) e le scienze e la
scienza dell'uomo. Già da anni scriviamo che la tecnica che si mangia
la scienza dell'uomo e la causa d'ogni crisi e potrà segnare l'inizio
d'ogni rovina, e il nuovo "double" infimo attuale dell'uomo
"robot-scimmia". Paolo del Monte perfettamente consapevole di questa
atroce dissociazione, nonostante tutto cerca vuole e a volte trova la
vita, sia che immagini in fantasia terre lontane note ed ignote, sia che
nelle blandizie della costa, trovi ogni stato d'animo possibile e
impossibile, la sua pagina è ricca e intensa dove l'azione s'intreccia
con gli stati d'animo vissuti sempre sino all'orlo di una catastrofe
cosmica. Ora che tra noi e Paolo del Monte è tempo morto, Cocco ci
raggiunge con le sue poesie con il suo
Petite fleur, è vivo e
sorridente, raffinato e incredulo verso ogni cretineria di vario colore,
ma sempre oltre il bene e il male incerto, convinto che all'uomo
occorra libertà integra e totale, ci raggiunge con la sublimazione e
supremo-estremo riscatto in arte delle sue alienazioni, che sono poi
quelle di un'epoca. Il gioco può sembrare "facile" ai pedanti lette rati
italioti, ma Paolo del Monte conosce invece meglio di tanti pompieri
della letteratura o delle pseudoavanguardie di paese e provinciali, non
solo la vita aperta e misteriosa, ma anche la storiografia scientifica
dell'epoca nostra di falliti girabulloni e ominidi.
Guido Seborga, In memoria di Paolo Del Monte, Bordighera - Settembre 1974, articolo ripubblicato in
Paolo del Monte alias Cocco,
Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale),
Unione Culturale Democratica,
Bordighera, novembre 2020, pp. 7,8
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Bordighera (IM): Porta Sottana
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La
città [
Bordighera] è una delle tante della riviera dei fiori,
dall'aspetto un po' coloniale. Tolto il piccolo vecchio paese
medioevale, il resto ha un aspetto di provvisorio ed artificiale: hotel,
pensioni, affittacamere sono le attività principali della gente del
posto. Eppure era nata bene questa città, fondata dagli inglesi: piccole
ville in stile provenzale sommerse dal verde lussureggiante; "la città
delle palme", era. Poi, gli inglesi vinsero la guerra e la sterlina
perse valore. I lord e gli ammiragli in pensione divennero rari. Gli
italiani, nella ricostruzione, in un delirio di cemento armato hanno
smembrato i giardini, demolito le ville erigendo palazzi, alveari
inumani. Ora per vedere il mare bisogna andare sulla battigia, le palme,
se continua così, andremo al museo per vederle, e saranno di plastica.
Per fortuna c'è la crisi edilizia, altrimenti si arrivava ai grattacieli
sul lungomare. In compenso c'è il turismo di massa, una folla vociante,
dialettale, provinciale e villana, rompe l'incanto dei lunghi silenzi
notturni. Gli eroi del sabato sera e della domenica si sentono tutti
corridori automobilistici. Il sangue ogni tanto sporca l'asfalto.
Turisti, il salumiere di Pavia, la ragazza squillo di Biella, il
tranviere di Milano e l'impiegato alla Fiat di Torino. Folla, folla
anonima, uguale nei gesti, nel dire o tacere, visi smunti aggemellati
dal lavoro a catena, robot rincretiniti dalla civiltà dei consumi, la
propaganda dei prodotti di ogni genereli assorderà, accompagnandoli per
tutta la vita. Vado sul lungomare in un tranquillo bar all'aperto, mi
sdraio sulle apposite sedie, il mare mosso manda pulviscolo salmastro
che la brezza diffonde nell'aria, le cactee hanno un brivido di carni
verdi, l'ansimare profondo del mare mi culla come morbida nenia. Mi
crogiolo al sole. Oh il sole! Lo porto nell'anima, mi entra nelle vene,
sono un figlio del Sole. I miei pazzi antenati vennero dall'oriente
solatio, dai deserti roventi. Poi un lungo vagare, cittadini del mondo
per disperazione, dalla Spagna cacciati dalla cattolicissima Isabella
siamo approdati qui, in questa povera Italia tollerante.
Passa il
letterato
Guido che saluta con un cenno della mano, incede con lunghi
passi, è sulla pista di una femmina; come segugio segue la preda. Anche
lui, è un sefardita dal profilo sumerico, ci vuole poco, per immaginarlo
vestito in un certo modo, con una scimitarra al fianco: anche lui è un
figlio del Sole. Sul mare di cobalto, lontano passa una nave bianca,
bianchissima, miraggio pare, di moschea smagliante.
Petite fleur,
suona il sax del vecchio Sidney Bechet, è il disco nuovo dell'estate.
Non ho niente da fare e sono contento di non fare niente, malgrado tutto
sono innamorato della vita che mi sono costruito. Bevo un Bacardi,
bianco rum di Martinica, che ricordo con tenerezza quasi dolorosa,
laggiù, lontana come un sogno; Martinica, amore bruciante di Margot
dalla pelle di vellutato ebano, laggiù, nel caraibico ombelico
dell'America. Passa l'uomo delle ostriche, lo fermo. Questo vecchio
pescatore dal viso scolpito dalle intemperie, il suo secchio di legno
con le ostriche, il modo di staccare il mollusco con un coltello e
porgerlo innaffiato di limone esercita nel mio intimo un fascino strano,
tant'è, che rapito da questa visione mangio trenta delle sue ostriche
piuttosto care. Tutto è avvenuto in silenzio come in un rito arcaico e
civilissimo. Pago, e ci salutiamo con un cenno del capo. Guardo le
azzurre alpi marittime, Nizza, Cannes, S. Tropez, vi tornerò, quando
l'estate sarà bruciata.
Petite fleur, ripete il disco nel sole
abbacinante, chiudo gli occhi, quasi dormo, pervaso da un caldo e
benefico torpore. Avverto ciò che mi circonda come cose lontane: sono
un'isola beata; se Dio creò il sole è un Dio grande. Il bar è raggiunto
da una comitiva di turisti tedeschi, braghe di cuoio, cappelli tirolesi.
Questi tarchiati bavaresi vocianti sono sguaiati, e ridono, non per un
motivo preciso, ridono per ridere, sì, ridono per niente o per colmo di
imbecillità. Qualcuno mi ha detto che è il clima di qui che li fa uscire
di senno i teutoni; mah, io so che o come truppa o come turisti, siamo
sempre invasi. Sputo un'imprecazione tipicamente ligure, mi alzo,
accendo la pipa e passeggio fendendo la folla. Mi siedo su di una
panchina, arrivano due giovinastri con una radiolina a tutto volume; è
inutile, la pace è avvilita; forse, sulla terrazza del Kursaal... No, è
troppo presto; cammino, raggiungo il bar della Posta, entro; uffa, c'è
la televisione! un tipo dal video sbraita non so cosa, l'unica è andare
nel cesso a leggere il giornale.
Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 14-17
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Bordighera (IM): una bella costruzione che chiude lato mare Piazza Mazzini; sulla sinistra, seminascosto, il citato Caffé della Posta
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Il
Ferragosto è esploso in un fragore di fuochi artificiali. Belli
quest'anno, i fuochi artificiali, un milione andato in fumo, è la
specialità dei paesi poveri, in Egitto ne fanno dei magnifici.
Scende
languida la sera, in noi è la smania di vivere, di bruciare le tappe;
domani può essere tardi. Domani mattina ci si sveglia con un regime di
colonnelli, ciò non è improbabile; io lo sten lo tengo oliato, non si sa
mai...
Incontriamo il pittore Pit con la sua donna di turno e...
- Ciao bastardo.
- Uh, la mia vecchia troia!
- Andiamo in Francia a prendere l'aperitivo? - Propongo io.
- Sì sì.
-
In Francia in Francia! - Gridano le ragazze. Si parte per Menton al
canto della marsigliese; è la presa della pastiglia! Di simpamina.
Menton
è festaiola, è la Francia eternamente giovane, ed è bella la nuova
generazione con i capelli lunghi e le facce da "me ne frego". È l'ora
dell'aperitivo che tutti bevono. E' il pastis alla menta, alla
granatina, o puro con una goccia d'acqua gelida. Colori morbidi di
pastello, è la Francia dei francesi e di tutti gli altri, che non sono
"stranieri" perché nessuno glielo ricorda, è un non so che, che mi entra
nell'animo, una sensazione esilarante, un qualche cosa di invisibile e
di palpabile nello stesso tempo, è una civiltà di cui mi sento
partecipe. Qui, nessuno è escluso.
Entriamo per finire al Bar Golfo
di Napoli. Ci uniamo al gruppo di gente che beve aperitivi col gomito
sul banco e intavoliamo una discussione che pare serissima [...]
Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 47,48
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Bordighera (IM): Ville che si affacciano sulla Via Romana
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Bordighera (IM): Villa e Torre sulla collina Mostaccini
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Bordighera (IM): uno scorcio del Lungomare Argentina
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Il
numero 1 dei Quaderni dell'Unione Culturale Democratica, pubblicato nel
Febbraio del 1974, è dedicato alle intense "Poesie" di Paolo Del Monte a
meno di un anno dalla sua morte, avvenuta nell'Ospedale ancora ubicato
sulla via Romana di
Bordighera.
Il secondo quaderno, avrebbe dovuto contenere il suo racconto "Petite
fleur, estate che brucia" con la prefazione che Guido Seborga aveva
appositamente scritto. Cosa che purtroppo non fu possibile realizzare.
Trascorsi quattro decenni e più, ora finalmente col Quaderno numero
quattro viene dato alle stampe quel racconto la cui pubblicazione vuole
essere un riconoscimento postumo delle qualità di Paolo Del Monte che,
nella sua breve vita 'bruciata', nessuno aveva sospettato. Ma anche un
'reperto' di una Bordighera d'un tempo che sorprenderà i lettori per
'freschezza' e per attualità. A Bordighera, Paolo era un personaggio che
non passava inosservato. Di corporatura esile, mobilissimo,
'naturalmente' elegante, lo si poteva incontrare in giro per la città o
al banco di uno dei bar che era solito frequentare. Abitava stanze in
affitto che ogni tanto cambiava ben pochi mezzi, non era molto
considerato dai benpensanti che lo ritenevano un perdigiorno.
Frequentava alcuni pittori, in particolare
Enzo Maiolino
cui si rivolgeva per ogni necessità e Gian Antonio Porcheddu col quale
condivideva la passione per il jazz; era amico di scrittori e poeti, di
Guido Seborga che più di tutti lo aveva capito e apprezzava la sua
autenticità estemporanea; partecipava alle iniziative culturali
cittadine, abitualmente a quelle della '
Buca',
amico dei giovani dell'UCD di cui era socio. Con i suoi comportamenti,
le sue ironiche osservazioni, le sue fantasiose 'invenzioni' divertiva
chi anche occasionalmente lo frequentava e lui stesso era spesso
l'argomento di conversazioni bonarie e allegre. Forse nessuno aveva
capito la sua intelligenza, la complessità della sua esistenza, la sua
visione tragica della vita che cercava di controllare con le
'sregolatezze' che conduceva e con la scrittura, come poi si è saputo.
La sua improvvisa, prematura scomparsa a soli 41 anni, 'impoverì'
dolorosamente il "paesaggio umano" di cui Paolo era parte. E coincise,
anche se non la determinò, con la fine della fase più formativa di quei
giovani che avevano dato vita all'Unione Culturale Democratica.
Giorgio Loreti in
Paolo del Monte alias Cocco,
Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale),
Unione Culturale Democratica,
Bordighera, novembre 2020, pp. 65,66
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Borghetto San Nicolò e Sasso, Frazioni di Bordighera (IM)
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Uno scorcio di Sasso, Frazione di Bordighera (IM)
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Bordighera (IM): un esercizio turistico sul lungomare
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Sulla
costa la vita eterogenea con l'incrociarsi di non poche civiltà, a
Bordighera il segno lasciato dagli inglesi, quando occupavano dopo
l'altra guerra, quasi tutte le più eleganti ville di qui, e sentore di
Francia vicina, e cadenze liguri dappertutto, di un popolo duro e
rugoso, di poche parole che trasforma la sua proverbiale avarizia in
economia pubblica e privata.
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Ventimiglia (IM): le Rocche di Roverino, affacciate sulla Val Roia
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Strati
di turisti che si sono come innestati nella zona per desiderio di
viverci, da una certa agiatezza tipo zucchero filato di San Remo, mecca
di giocatori e mantenute, all'asprezza di Ventimiglia con la sua ampia
valle della Roja, aperta d'aria e di sole.
Bordighera al centro, più
dolce e silenziosa, le giornate attive nei lavori e nei bagni, le serate
più lunghe e monotone, e il pubblico estivo di bordigotti e turisti che
si riversa sullo splendido lungomare.
E sempre le valli e gli
incantevoli paeselli del retroterra, Sasso, Vallebona, Dolceacqua, con
le loro alte antiche torri di dove i liguri studiavano le mosse d'arrivo
dei pirati saraceni, e i liguri partivano per scambiare le crudeli
visite di vino e donne violate e rubate...
Guido Seborga,
Riviera di Ponente, Il Lavoro Nuovo, 19 agosto 1951