giovedì 25 agosto 2022

Un poeta ligure, amato non solo a Dolcedo

Dolcedo (IM)

Un poeta ligure che, nella sua scelta di vita appartata, nel tono sommesso ma, nel fondo, forte e intenso della sua lirica, non smentisce i segni della propria terra: è Giuseppe Cassinelli. Il triangolo della sua vita è tutto ligure: nato a Dolcedo nel 1928, vive e lavora ad Alassio, ma nel silenzio del borgo di Torrazza, vicino alla nativa Dolcedo, trascorre le vacanze estive. Cassinelli ha al suo attivo un buon numero di pubblicazioni. Quattro le raccolte di poesia in lingua: "Preludio alla saggezza" (1955), "Tuttacielo" (1972), "Il tordo còrso" (1978) e, ultima,"Come un calmo paese" (1997) che raccoglie, con varianti e correzioni, testi delle raccolte prece­denti e testi nuovi che arrivano fino ai primi anni Novanta. Nel dialetto della sua terra sono invece le poesie delle due raccolte intitolate "Ciòiu de mazu" (1970) e "U fieu e a neutte" (1989). Cassinelli è, inoltre, autore di diversi saggi critici su autori del Novecento e ha curato i carteggi Pascoli-Mario Novaro, Ettore Serra-Titta Rosa, Boine-Mario Novaro. Nell'ormai lungo percorso della poesia di Cassinelli perdura, pur nell'evoluzione, una linea di sobrietà e, insieme, di limpidezza espressiva non turbata dai diversi sperimentalismi venuti via via di moda nella seconda metà del Novecento: una linea che garantisce a tutta l'opera di questo poeta il segno di una personalità inconfondibile. Abbiamo incontrato Cassinelli nella sua casa delle vacanze, arroccata dove «si spalanca / a mare la collina di Torrazza» (è una bella immagine di una sua lirica del '71). Ci ha accolto con gentilezza e ci ha intrattenuto con una lunga, amabile conversazione: ci è sembrato che la voce sommessa, il tono pensoso, il puntiglio della precisione in ogni riferimento fotografassero l'indole di uno scrittore che, ricco di idee meditate a lungo, si tiene lontano il più possibile dall'approssimazione, dalla chiacchiera vuota, dall'indifferenza delle valutazioni.
Come si espresse la sua vocazione alla poesia?
«Credo si sia trattato subito, nell'età adolescenziale dell'intuizione dell'effetto più forte, più carico di significati, che le parole, messe in un certo ordine possono ottenere rispetto alla piatta comunicazione data dalle parole adoperate secondo l'uso corrente. Mi affascinava il ritmo di una lettura scandita, mi incantavano le suggestioni che un ritmo aggiungeva al più letterato e immediato significato di un testo. Fin dal tempo del ginnasio, traducendo per esempio le "Bucoliche" di Virgilio, cercavo di dare un ritmo alle parole italiane perché in qualche modo non fosse cancellato il fascino del testo latino. È da quella suggestione che sono nati, tra l'altro, i versi di una poesia del 1954: «... Se a me / verrai, amico, avrò molli castagne, / frutti molto maturi e casti versi...».
Il suo affacciarsi alla poesia coincise con la stagione in cui la linea poetica dominante era dell'ermetismo. Ne fu influenzato?
«L'ermetismo voleva dare grande risalto all'immagine, tendeva la parola fino al limite dell'ineffabile. A Sanremo Renzo Laurano era un ermetico che insegnava agli allievi che la poesia vera sta nella purezza incontaminata delle immagini. Io sentivo la suggestione di quelle teorie, ma cercavo di non essere ermetico, di non far perdere alle parole della poesia l'ancoraggio alla concreta realtà della vita».
Sì, effettivamente si sente che tutta la poesia tende ad evitare l'ineffabilità di segno mallarmeano. Lei piuttosto dice il sentimento e il pensiero concentrandoli in un 'immagine ben definita: come nei cosiddetti "correlativi oggettivi" di Montale. In una sua poesia del '52 mi hanno colpito questi due versi: «... sull'arrossato muro anch'io veda dileguare, / sfarfallando, la scoria grande di me». Non crede che questo sdoppiamento dell'io tra una figura in carne ed ossa e la sua immateriale ombra o "scoria" proiettata su un muro possa richiamare i celebri versi di "Ossi di seppia" «Ah l'uomo che... l'ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!» ?
«Aldo Capasso, recensendo le mie poesie, ha affermato che in quella di data più alta è evidente l'ascendenza montaliana. Ed è vero, ma anche qui, al di là di quanto un modello molto amato può essersi inconsapevolmente inciso nella mia sensibilità e nella mia voce, il mio sforzo è stato quello di seguire esigenze di motivi, riflessioni, figure personali».
Si parla di una "linea ligure" della poesia novecentesca: un'astrazione o qualcosa di effettivamente documentabile?
«Un dato che accomuna, al di là, però, di tante e anche forti differenze, poeti come Boine, Novaro, Sbarbaro, Montale, è l'esigenza di frenare l'effusione sentimentale; un dato che poi si incarna in soluzioni come le scorciatoie espressionistiche di Sbarbaro, i toni scabri di Montale... credo comunque che l'uso di una categoria come "linea ligure" possa essere fonte di genericità critica».
Che cosa può dirci della sua poesia in dialetto?
«Ho iniziato come poeta in lingua, il dialetto è venuto dopo. Forse sull'onda di una suggestione antica (bambino, nelle notti di vento e pioggia, dal letto sentivo il carrettiere che passava col suo carico di olive e sentivo il conforto della casa «fosci u l'è u bon da cà») o anche perché al dialetto ricorrevo come a una lingua cifrata per evitare che mi fossero lette e comprese certe lettere... E poi scrivere versi in dialetto mi sembra un modo di salvare parole altrimenti destinate a morire». Che cosa pensa della poesia nella Liguria d'oggi? Ettore Serra diceva che la poesia contemporanea si era rifugiata nelle due ascelle d'ltalia, il golfo ligure con Montale e gli altri e il golfo di Trieste con Saba. Oggi La Liguria produce ancora poeti, anche se magari si esprimono in prosa: pensi a Francesco Biamonti i cui romanzi vivono di una bellezza che è più lirica che narrativa. Giuseppe Conte è un notevole poeta che ora scrive in prosa, ma ... non cessa per questo di essere poeta. Cesare Vivaldi, nato nel '25 e scomparso quest'anno, è stato un poeta di straordinaria visività: il suo dialetto, che è una fusione di parlate di diversi centri liguri, crea forti immagini, dipinge il mondo con le parole».
I suoi lavori in corso?
«Sto ultimando un racconto lungo imperniato sulla storia di alcune grandi famiglie di Dolcedo nell'epoca a cavallo fra Otto e Novecento. Prosa, non versi; e una prosa per la quale mi sono imposto un verismo assolutamente oggettivo; lavoro limando lo stile in modo da eliminare impressioni di intervento soggettivo del narratore».
Cassinelli ci legge una pagina di questo nuovo libro in cantiere: la sua voce sottolinea l'effetto che lo stile oggettivo deve produrre. In realtà egli è poeta anche qui. La parola scritta - di una poesia o di un racconto in prosa - per lui è sempre molto di più della parola della comunicazione corrente: è il mezzo dell'espressione, ma è anche l'anima di ciò che si intende esprimere.
Giulio Galeto, Cassinelli, la musica delle parole, Torrazza, 1999                        


Da remoti paesi di campane,
sui bianchi lievi dell'aria ritorna
tempo di cornamuse. Come un cane
mansueto posa presso i villaggi dove
nell'appannata quiete delle stanze
bimbi dormono ancora sul mattino.
Io pure l'ebbi un tempo,
il miracolo di Gesù Bambino.
Giuseppe Cassinelli, Tempo di cornamuse in Il tordo corso

Giuseppe Cassinelli, Invito a Ettore Serra, in «Persona», dicembre 1966; Cassinelli, collaboratore di numerose riviste e poeta in lingue e in dialetto, nasce a Dolcedo nel 1928 e vive ad Alassio, dove svolse la professione di insegnante presso le scuole elementari. Profondo conoscitore della poesia serriana, fu legato al poeta spezzino da un sincero legame d’amicizia, come si avrà modo di approfondire nel capitolo dedicato alle frequentazioni liguri [...] Collaboratore di numerose riviste e giornali, è anche critico e poeta (sia in italiano che in dialetto); tra la sua produzione di critica letteraria si ricorda l’edizione critica di 'Murmuri ed echi' (1975) di Mario Novaro. Scrittore di numerosi articoli su Serra (come si può constatare dalla bibliografia) è il curatore del carteggio tra Serra e Titta Rosa (Titta Rosa e Serra. Carteggio e ricordi critici, Savona, Sabatelli, 1973).
Simona Borghetti, "Un amore a lungo termine": Ettore Serra poeta tra i poeti, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012/2013


[...] Recentemente pare che tu ti stia dedicando più alla narrativa che alla poesia. E’ un mutamento di rotta o un momento di pausa del poeta?
Non saprei. Comunque, ho “fatto poesia” soltanto in alcuni momenti della mia vita, divenuti nel tempo più rari: per constatarlo è sufficiente che tu badi alle date di composizione.
La tua attività poetica è iniziata con la poesia in lingua e successivamente sei passato a scrivere poesie in dialetto (nel dialetto di Dolcedo molto diverso, dicono i dialettologi, da quello di Alassio). Cosa ha determinato in te l’esigenza di questa nuova forma espressiva?
Scrissi le prime poesie nel dialetto di Dolcedo verso il 1955-56, dopo aver letto le Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia di Cesare Vivaldi, e scoprii le grandi possibilità espressive di quel dialetto così ricco di nouances e di vocaboli concreti.
Può essere la tua produzione poetica in lingua collocata nell’ambito della “poesia pura”?
Per quanto riguarda la “poesia pura”, tu sai - per aver letto quelle vecchie cose in “Nuovo Contrappunto” - che in un primo tempo tentai una poesia che procedesse soltanto per mezzo di analogie e immagini al modo dei “poeti puri”, ma che non fosse affatto cifrata. Questi “tentativi” hanno lasciato il segno in seguito.
Una tra le tue poesie più significative è Il tordo còrso, che è ispirata ad eventi bellici, presenti sia in altre tue poesie che in alcuni tuoi racconti. Vuoi parlarci di questo tuo filone ispirativo?
Il periodo dell’occupazione tedesca, è stato un avvenimento particolarmente traumatico per chi lo visse nel periodo tra adolescenza e giovinezza e sconvolse tante coscienze di adulti. Ma fu anche illuminante, come hai notato tu stessa commentando Il tordo còrso.
Nelle tue poesie compare spesso il paesaggio della riviera del ponente ligure: quello marino, con le scogliere che “l’agave incorona” e quello dell’entroterra con le sue “conche vaporose d’ulivi”. Sia l’agave che l’ulivo sono d’altra parte piante molto presenti nella tua poesia; in particolare l’ulivo figura tanto nelle poesie in lingua quanto in quelle in dialetto. Ci vuoi parlare del tuo legame con questa pianta? Un legame d’altra parte molto sentito dai letterati del ponente ligure (vedi Boine).
Da ragazzo, se dovevo trascorrere intere giornate soprattutto invernali, tra il folto degli uliveti, quell’atmosfera grigia mi infastidiva. Era invece una festa dell’animo trovarmi tra i verdi degli orti e boschi. Tuttavia ho trascorso più di trent’anni nella mia vallata tra colline interamente coperte di uliveti e va da sé che, col tempo, l’ulivo sia diventato, per usare le tue parole, il “correlato oggettivo del mio mondo interiore”.
Durante la tua lunga attività di uomo di cultura sei venuto in contatto con eminenti personalità del mondo letterario ligure, quali Ettore Serra, Elena Bono e Aldo Capasso. [...]
Liliana Porro Andriuoli, Intervista a Giuseppe Cassinelli, Lettera in versi, Newsletter di poesia di BombaCarta, n. 22, Marzo 2007