lunedì 15 dicembre 2025

Il materiale esplosivo era stato consegnato al ragioniere di Oneglia a Sanremo

Sanremo (IM): l'ex stazione ferroviaria

Il Vice questore Comp/le di P.S., Dott. Salan, informava la Divisione Polizia Frontiera e Trasporti, sul rinvenimento di bagagli esplosivi, diretti a Imperia Oneglia. Il giorno 29 Novembre 1931 nella città di Imperia Oneglia era tratto in arresto Sandri Fausto da Villanova Monferrato, di professione ragioniere presso il Credito Italiano Sede di Imperia Oneglia. Durante la perquisizione domiciliare operata dalla P.S. era trovato in possesso di due valigie contenenti 20 kg di esplosivo:
"Nell'interrogatorio subito egli dichiarò che le valigie le aveva avute in consegna a S. Remo da persona sconosciuta e che aveva provveduto al trasporto di esso fino ad Oneglia a mezzo ferrovia. Aggiunse di essere in relazione con la concentrazione antifascista di Parigi. Venuto a conoscenza della cosa il Comandante Stazione di Ventimiglia attraverso segnalazione di una delle CC. Nere addette al Posto Fisso di Oneglia, questi disponeva per le necessarie indagini nello ambito ferroviario riuscendo a stabilire che le due valigie suddette erano state spedite il giorno 29 stesso da Ventimiglia a S. Remo, col treno 23, spedizione a bagaglio, e avevano viaggiato col treno 1413 in partenza da Ventimiglia alle ore 12,10 e che il giorno stesso erano state spedite da S. Remo a Imperia Oneglia col N°18 di spedizione viaggiando col treno 147 in partenza da Sanremo alle ore 14,51. Complessivamente le valigie spedite pesavano in ambedue le spedizioni Kg. 55". <95
Il capo della polizia era informato in data 3 dicembre 1931 sull’arresto di un appartenente al movimento sovversivo chiamato a svolgere un attentato. Era stato identificato, inoltre, uno studente in medicina che si era recato a Milano per scegliere il posto più adatto per collocare le bombe. All’interno della missiva comparivano i nomi di noti sovversivi, già schedati dalla sorveglianza, e pronti a colpire il regime:
"Il noto Sandri Faustino fu Evasio, arrestato il 30 andante ad Oneglia perché trovato in possesso di esplosivo e di un ordigno di ferro che si accingeva a trasformare in una macchina infernale con esplosione a tempo. Nell'interrogatorio cui è stato assoggettato stamane, ha fatto ampia e completa confessione intorno all'episodio di cui egli è attore. Ha confessato che per istigazione di noti fuoriusciti Giopp Giobbe, Mussi Felice, Geffi Giacomo e Sillani Mario, egli aveva assunto l'impegno di confezionare, come è sopra detto, una bomba col materiale fattogli pervenire dai suddetti fuoriusciti, con le modalità già note, e di deporla in uno degli Alberghi diurni di una qualche grande città, che non aveva ancora stabilito e la cui scelta era stata lasciata al Sandri. Ha dichiarato anche che il Giopp lo istruì a Nizza, e nell'abitazione del Mussi, alla confezione della bomba, il cui involucro gli fu mostrato invece nell'abitazione del Sillani, ove appunto il Sandri, il Geffi, Mussi e Sillani lo montarono per avere esatta conoscenza della sua struttura e facilitata la montatura definitiva: e che involucro ed esplosivo gli furono consegnati domenica 29 decorso novembre alle ore 14 alla Stazione di S. Remo dal Mussi, il quale, proveniente da Nizza col materiale suddetto, si trovò puntualmente all'appuntamento loro fissato dal Giopp nell'ultimo colloquio con costui avuto, sempre a Nizza, una quindicina di giorni or sono". <96
In seguito all’arresto, i giudici valutarono attentamente le dichiarazioni del Sandri, ritenendolo pienamente responsabile per le azioni da lui svolte, quale esecutore terminale del progetto terrorista:
"Le finalità che il reato tendeva a raggiungere restano però, a mio avviso, immutate e rientrano nello spirito della disposizione di legge di cui all'art. 285 del C. P.: il Sandri è stato esplicito su questo punto: egli era asservito all'esponente più tipico e pericoloso dell'antifascismo terroristico, al gruppo che fa capo al notissimo Giopp, dal quale hanno avuto origine anche le altre gesta del genere recentemente compiute in Italia, tipica quella Bovone. Il mezzo terroristico nella concezione di codesta gente è l'unico mezzo per combattere il governo fascista, che sostengono si regga sul terrore, e quindi lo scopo che con gli atti di ferocia del genere di quello or ora sventato, si intende di raggiungere è diretto contro la personalità interna dello Stato. L'arresto del Sandri ha troncato la malvagia fatica ed il più malvagio disegno; ma il Sandri nella sua confessione dichiara che solo questa impossibilità materiale gli ha vietato di portare a compimento l'incarico assuntosi. Responsabilità quindi piena che si estende a tutti i suoi complici, le cui attività sono sufficientemente dettagliate dal Sandri medesimo. <97
Guido Leto, a capo dal 1938 al 1945 dell'OVRA, confermava le modalità di arresto del giovane bancario, affermando che l’OVRA avrebbe intercettato la valigia e in un secondo momento sostituito il materiale esplosivo per poter pedinare e poi arrestare ulteriori appartenenti al gruppo sovversivo. <98
[NOTE]
95 ACS, MI, DGPS, Divisione polizia politica, Fascicoli per materia 1926-1844, b. 73, fasc. 9, Complotti per attentati in occasione del 28 ottobre, Regio Commissariato compartimentale di P.S. ferrovie di Stato di Genova, Raccomandata inviata al MI-DGPS, «Rinvenimento esplosivo bagaglio, diretto Imperia-Oneglia», 3 dicembre 1931.
96 Ibidem.
97 Ivi, Ispettorato generale di P.S., Raccomandata indirizzata al Procuratore Generale presso il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, 14 dicembre 1931.
98 G. Leto, Ovra: fascismo, antifascismo, pp. 125-129.
Michele Del Balso, Terrorismo ed eversione nel regime fascista. Complotti, attentati e repressione (1922-1943), Tesi di dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2022-2023 

sabato 6 dicembre 2025

La Corsica, il Rex, i Giardini Hanbury...

La Corsica vista da Bordighera 

Quando ero bambino scrutavo l’orizzonte [n.d.r.: dalla zona Ville di Ventimiglia] per quasi tutto l’inverno al mattino all’alba e finalmente in una mattina fredda di fine gennaio o inizio febbraio la Corsica appariva al confine del cielo terso, tenuto spazzato da una tramontana gelida. Nei miei ricordi, succedeva al massimo due o tre volte in un anno, ma ormai la riconoscevo bene. In seguito, la vidi anche la sera, illuminata dal sole che si voltava indietro sulle cime innevate del monte Cinto.
Nel resto dell’anno mi chiedevo dove sparisse, visto che altri tratti della costiera francese situati a ponente, ad una distanza simile, come quelli dell’Estérel, si possono vedere in ogni periodo dell’anno.
Una volta ero anche salito a Cima Grai per verificare meglio gli effetti dell’altitudine sulla visione e sono sempre fiorite teorie sul fenomeno usando spiegazioni fantasiose come rifrazione, miraggio, fata Morgana, anche se la più semplice è quella che si riferisce alla curvatura terrestre.
[...] Mi viene in mente che la Corsica la raggiunse anche il motoscafo Oriens una mattina di dicembre del 1926 con a bordo tra gli altri il trentenne Sandrino Pertini e il settantenne Filippo Turati che con un gruppo di amici seguendo un’idea di Carlo Rosselli, erano partiti la sera prima da Savona per rifugiarsi in Francia. Giunsero col sole all’Isola Rossa dopo una notte di tempesta, con un cielo senza stelle, grazie agli esperti amici savonesi di Pertini che nel pomeriggio tornarono a Marina di Carrara. I due rifugiati chiesero asilo politico al governo francese e poi proseguirono per Nizza dove Pertini visse qualche anno facendo il muratore e rientrò in Italia nel 1929, fu arrestato e scontò carcere e confino nelle isole di Ponza e Ventotene.
[...] Quando andavo a Genova, di solito col treno delle quattro e quaranta del mattino da Ventimiglia, a un certo punto mentre faceva giorno, poco dopo aver preso al volo dal finestrino la focaccia di Finale, appariva un isolotto vicino alla costa, alto ad occhio una cinquantina di metri, che nei secoli, ha preso il nome dal paese costiero di Bergeggi.
L’altra isola della zona, la Gallinara, a me sembrava più interessante sotto tanti punti di vista, oltre che per la forma, per la vicenda di san Martino, patrono dei francesi, che la abitò per alcuni anni. 
[...] Nantucket è un’isola sulle coste americane del Massachussetts, ne ho sentito parlare da bambino perché, quando avevo quattro anni ero rimasto colpito dalla notizia del naufragio del transatlantico Andrea Doria che mi avevano fatto vedere pochi giorni prima passare sull’orizzonte qui davanti, seguito da salti di delfini.
La nostra curiosità era legata alla presenza a bordo di una signora piemontese appartenente a una vecchia famiglia di tessitori di lane, proprietaria in quegli anni della villa Boccanegra [n.d.r.: sita poco prima - a levante - della Frazione Latte di Ventimiglia] e che tornò salva dal naufragio sia pure con grave invalidità.
[...] Un altro viaggiatore che mi viene in mente è Mario Soldati che arriva a “Neviorche” nel ventinove, scendendo dalla nave di linea Conte Biancamano proprio quando crolla la borsa valori americana.  
Alberto Moravia arriva nel 1936 a bordo del transatlantico Rex che era stato fino a poco tempo prima titolare del Nastro Azzurro per aver effettuato la traversata atlantica più veloce (da Est a Ovest), superato poi dal Normandie. In quegli anni sul Rex erano stabilmente imbarcati anche un Rabbino ed un cuoco Kosher e trasportò almeno trentamila ebrei in fuga da Germania e Polonia verso gli Stati Uniti. Gli imbarchi avvenivano a Genova e a Cannes [n.d.r.: il transatlantico, pertanto, passava - ben visibile - davanti alla costa dell'estremo ponente ligure, attirando la curiosità di grandi e piccini, come ha ben raccontato in un vecchio numero di "Paize Autu" Mario Armando]. 
[...] Comincio a raccontare questa storia dalla Società degli Amici, persone per bene, austere, generose, di semplici costumi, mecenati, insomma i Quaccheri. Secondo molti che lo conoscevano è il modo più chiaro e preciso per descrivere Thomas Hanbury e la sua famiglia di uomini d’affari poi specializzati in commercio di seta e tè. Alcuni biografi lo definiscono semplicemente filantropo. Ma c’erano anche maldicenze riguardo il tipo di affari trattati.
[...] Tutte queste notizie per dire che gli Hanbury, non arrivarono a Mortola [Frazione di Ventimiglia] semplicemente da Londra; la loro vita aveva dovuto passare faticosamente da Shanghai dove il patrimonio si moltiplicò. 
Anche la prima scuola la costruì a Shanghai, seguirono, anni dopo, quelle donate a Latte e a Mortola. La Thomas Hanbury school for girls e boys fa parte della storia e comportava altre iniziative in campo sportivo e culturale che coinvolgevano molte famiglie straniere presenti a Shanghai.
Vide la Mortola per la prima volta a marzo del 1867 sia dalla barca che poi dalla carrozza. La scelta fu fatta con facilità benché avesse visitato anche il palmeto di Bordighera. In quegli anni mentre la proprietà di Mortola cresceva secondo le intenzioni degli Hanbury e gli interventi guidati da Ludwig Winter, Thomas dovette tornare a Shanghai con un nuovo viaggio nel 1869 questa volta traversando l’Atlantico col piroscafo a pale “Scotia”, soffrendo il mal di mare.
A Grimaldi costruì anche, poco distante dai giardini, l’edificio destinato ad ospitare il Museo Preistorico nelle vicinanze delle grotte dei Balzi Rossi.
Hanbury riposa nel mausoleo costruito nel suo giardino di Mortola dove come dice una lapide “udirono la voce del signore Iddio che passeggiava nel giardino”. Il riferimento al giardino paradisiaco dell’Eden è impeccabile. Lì davanti, in quel mondo racchiuso dallo scoglio di Barbantò, aveva fatto predisporre una rotaia in ferro per l’alaggio del motoscafo. Intorno abitavano Herbert Olivier, Freya Stark, Ellen Willmott e molti altri suoi conterranei. 
Arturo Viale, I sette mari. Storie e scie di navi e di naviganti e qualche isola, Book Sprint Edizioni, 2024

Una sera d’autunno, sono passati anni e persone, cammino eccitato in questi posti, prima salgo in Peidaigo a vedere il tramonto dietro il Grammondo poi scendo e girandomi vedo la luna sul campanile. Tra luna e tramonto, su un palcoscenico illuminato con arte, vorrei riuscire a vedere tutto lo spettacolo.
Mi sembra di essere nel luogo da cui tutti i punti partono, esaltato dal veloce cambiamento del cielo.
Cerco di travasare la mia emozione mentre il sangue scorre più veloce. Ma questa luna stupenda è solo mia, non condivideremo il prossimo avvento.
Arturo Viale, Ho radici e ali, ed. in pr., 2005 
 
Altre pubblicazioni di Arturo Viale: La chiave dei ricordi, PressUp, 2025; Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2018; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Mezz'agosto, 1994; Viaggi, Alzani - Pinerolo, 1993.
Adriano Maini 

mercoledì 26 novembre 2025

Quando la corale «San Maurizio» di Imperia dovette fare posto alla banda della Marina americana

Sanremo (IM): il porto vecchio

Nella prima metà degli anni '60 la tradizionale sfilata, a San Remo, di carri fioriti nel pieno dell'inverno aveva assunto grande risonanza da quando era stata escogitata la formula dell'«Europa in fiore» con l'apporto di splendidi gruppi folcloristici rappresentanti i Paesi europei che davano maggior risalto alla meravigliosa esibizione, a fine di gennaio - primi di febbraio, dei grandiosi carri disegnati da Rino Ceduto, pieni di fiori preziosi quali strelizie, orchidee e simili. 
Erano quelli gli anni di una novella, democratica «belle époque» e mi parve che non avrebbe dovuto mancare alla manifestazione [quella del 1965] un impegno federalista, cosicché ero riuscito a convincere gli organizzatori ad ammettere, nella sfilata, il canto dell'inno «Europa Unita» musicato da Reddy Bobbio su mie parole e che l'editore sanremese Carlo Beltramo aveva fatto arrangiare a Berlino, sperando di rinnovare il successo che tanti anni prima aveva avuto, sempre a San Remo, con la canzone «Festopoli». 
Beltramo si era pure incaricato della stampa della stesura definitiva dell'inno che era stato inviato in omaggio a moltissime scolaresche e diffuso specialmente in Piemonte e Liguria grazie alla collaborazione della prof. Jolanda Audino Dentis, presidente dell'Associazione Europea degli Insegnanti di Torino, e della prof. Vittoria Cavaglià, direttrice didattica di San Remo. 
Dopo essere stato cantato in molte occasioni dalla corale «La Baita» di Cuneo, il momento di vero «pathos» fu raggiunto quando un'altra corale, la «San Maurizio» di Imperia si assunse l'incarico di presentare l'inno, dopo la sfilata dei carri, nello spettacolo che si sarebbe svolto, la sera al Teatro Ariston. 
I coristi di Porto Maurizio arrivarono regolarmente mescolandosi, modesti e quasi inosservati nei loro abiti da pescatori acquistati a mie spese, tra le scintillanti divise di pennacchiuti ussari, l'indifferente sufficienza degli orchestrali della banda della marina militare americana, le rotondità procaci e il profumo carnale delle miss europee che avevano troneggiato sui carri, al pomeriggio. 
A loro doveva toccare di iniziare il programma e si passarono la voce per schierarsi sulla scena a sipario ancora chiuso, in prima posizione, mentre gli altri gruppi (gli ussari, gli zampognari scozzesi, i ballerini spagnoli, gli sbandieratori tedeschi ...) ancora facevano capannello qua e là nei meandri del teatro. 
Giunti alla soglia del palcoscenico ci si accorse, però, che dietro al sipario chiuso l'enorme palco era già completamente ostruito da una muraglia di uomini in divisa azzurro-cupo, che tenevano tra le braccia enormi tromboni luccicanti dalle aperture assai più larghe delle nostre normali trombe e tromboni e sembravano quasi dei bazooka. 
La voce si diffuse in un baleno: chi erano costoro? Chi erano questi intrusi che soffiavano ai nativi l'onore di aprire lo spettacolo? Non ci volle molto a capirlo, si trattava della banda della marina militare AMERICANA! 
I cacelotti e i ciantafurche (questi gli scherzosi soprannomi indicanti i portorini e gli onegliesi) del coro San Maurizio non tardarono a farsi prendere dai «fümasci» o, per dirla in altri termini, dai «futùi», e con rapida manovra, sgusciando fra quegli uomini impalati, si portarono davanti a loro, diciamo subito dietro la buca del suggeritore, ossia quasi a contatto col sipario. Qualcuno poi cominciò a far gesti verso gli americani invitandoli a retrocedere ed anche a spingerli verso il retroscena. Fino a quel momento tutto poteva attribuirsi a qualche errore organizzativo, ma quale non fu, invece, lo stupore quando il regista della trasmissione televisiva, che aveva pieni poteri, il solito «romanaccio» gonfio di prosopopea, si precipitò avanti intimando di andarsene non agli americani, ma ai coristi di San Maurizio. 
Ne nacque un battibecco che venne percepito anche dalla platea e volò qualche cazzotto. Ma il regista Coccorese, che almeno il suo nome passi alla storia, fu inflessibile. Per lui «Europa» era solo uno pseudonimo di America, la grande «fiesta» dell'Europa in fiore doveva iniziare con questo grande oltraggio allo spirito dei federalisti europei, il dirompente e lacerante frastuono di una fanfara militare e, per di più, americana. 
Finalmente il sipario si alzò e la gente compatta applaudì fragorosamente gli ottoni d'oltre Atlantico, con lo stesso entusiasmo con cui, forse, avrebbe applaudito i coristi di San Maurizio. Questi ultimi, invece, ancora in preda ai «fümasci», continuarono nel retroscena a discutere accanitamente ed a gesticolare e nemmeno la vicinanza delle miss o di altri simpatici figuranti riusciva a calmare i più agitati. Cosicché quando, dopo concitati parlamentari con l'assessore al turismo e poi di quest'ultimo con il regista, si ottenne finalmente che l'inno fosse cantato all'inizio del secondo tempo, quando si passò la voce ai coristi di prepararsi, purtroppo ci si accorse che quasi la metà, non potendo digerire l'oltraggio, se n'erano già andati, a prendere la corriera per Porto Maurizio, alla vicina autostazione. 
Enrico Berio, ALPAZUR. Nizza, Cuneo, Imperia "Distretto Europeo". La cooperazione transfrontaliera nell'interregione delle Alpi Meridionali, IsrecIm, 1992, pp. 59,60,61

sabato 15 novembre 2025

Il primo incarico teatrale documentato di Gio Ponti ebbe luogo a Sanremo

La vispa Teresa, balletto, Compagnia del Balletto Italiano, regia: Walter Toscanini e Cia Fornaroli, scenografia: Gio Ponti, Teatro del Casinò di Sanremo, 1937. Foto di scena. Fonte: Silvia Cattiodoro, Op. cit. infra

Frequentare la riviera ligure negli anni Venti e Trenta del Novecento era un efficace modo per portare avanti gli affari nei mesi estivi, lontano dalla calura delle città di pianura, in un ambiente più rilassato ma altrettanto effervescente dal punto di vista culturale. In particolare, per coloro che erano legati all’ambiente artistico il luogo abituale di incontro era il Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo, dove negli anni che precedono il secondo conflitto mondiale si ammirarono spettacoli degni dei maggiori palcoscenici europei: Petrolini, Ertè, i fratelli De Filippo, Jacques Tati e Max Reinhardt, oltre che Pirandello - in quegli anni consulente artistico del Casinò - con la loro presenza e i loro lavori assicurarono alla cittadina visibilità e risalto internazionali.
Pur non essendo documentato palesemente, possiamo immaginare con facilità Gio Ponti, a suo agio nei salotti culturali milanesi e già abbonato della stagione lirica del Teatro alla Scala, come uno dei frequentatori assidui di questi incontri culturali estivi: alcuni progetti elaborati dalla seconda metà degli anni Trenta - le ville a Bordighera e le piccole case al mare pubblicate su Domus - testimoniano la sua conoscenza e frequentazione della riviera ligure. Non è difficile, quindi, ipotizzare che il balletto "La vispa Teresa" andato in scena a metà del 1939 al Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo con le musiche di Ettore Zapparoli <1, sia stato in parte progettato in un patio affacciato sul mare all’ombra della pineta.
Nel provare a ricostruire l’ambiente dove ha preso vita il primo incarico teatrale documentato di Ponti, purtroppo l’immaginazione sopravanza di gran lunga le fonti esistenti: una foto di scena e un breve accenno in una lettera dell’anno successivo scritta a Ponti dal regista Carletto Thieben <2 durante il comune impegno per "Pulcinella" sono tutto ciò che rimane oggi dello spettacolo. D’altra parte, anche la quasi totalità del lavoro musicale del compositore mantovano è avvolto nel mistero o, come sembra, è andato disperso con la sua morte e il suo stesso nome è poco legato al successo artistico in campo musicale.
Non è neppure chiaro se il testo a cui si sono ispirati Zapparoli, Ponti e il coreografo Walter Toscanini <3 con la moglie Cia Fornaroli <4, direttrice della compagnia di danza, sia stato la poesia di Luigi Sailer <5 "La farfalletta" o la più dissacrante "Vispa Teresa" di Trilussa <6: la posa della protagonista nella foto fa propendere per quest’ultima ipotesi, ma i costumi di repertorio del Balletto italiano di Sanremo, stilisticamente derivati dall’esperienza naturalista ancora molto forte in Italia, sono di difficile interpretazione perché in netto contrasto con la scena che, pur non essendo di totale rottura, punta decisamente all’innovazione teatrale.
In ogni caso, alla fine degli anni Trenta la storia della bambina che cattura una farfalla in un prato viene variamente interpretata, come testimonia anche il cortometraggio diretto da Roberto Rossellini per la Scalera Film <7.
La fotografia che immobilizza un attimo del balletto è, come diceva Ponti, «nella forma, astrazione, sintesi ed estasi di un movimento e della vita» <8 e il suo ripetuto uso nelle numerose mostre internazionali dell’architetto attesta che il concetto di «scena dinamica» annotato di suo pugno sul retro era per Ponti un ossimoro su cui argomentare: nonostante il trentennio che separava questo esperimento italiano - estraneo alle Avanguardie artistiche - dalle lezioni di Adolphe Appia e Gordon Craig, per scena si continuava ad intendere lo scenario dipinto che fungeva da fondale e non già lo spazio scenico attraverso cui si esprime la profondità dell’azione drammaturgica e che possiede un carattere simbolico intrinseco.
L’apparente “naività” del fondale dipinto con alberi e prati, che richiama indubbiamente le pinete di cui si poteva godere sul litorale ligure, trae solo apparentemente in inganno, orientando lo spettatore verso una scenografia di tipo tradizionale che però abdica a quella che per Vitruvio era la sua funzione sostanziale, perché non descrive la profondità. Essa ci esplicita, piuttosto, l’attenzione di Ponti per la pittura dei Fauves in cui il colore, antinaturalistico e vibrante, diventa manifestazione delle emozioni individuali ed è perciò particolarmente adatta ad essere usato in scenografia. L’esponente principale del Fauvismo, Matisse, verrà citato da Gio Ponti qualche anno più tardi nelle note interne per il balletto "Mondo Tondo", divenendo esempio di cromatismo luminoso; tuttavia il fondale naturalistico usato nel 1937 sembra più ispirato dai lavori dei rappresentanti della Scuola di Chatou e in particolare da Andrè Derain, fauve che aveva lavorato subito dopo la prima guerra mondiale con Diaghilev e i Balletti Russi <9, verificando nel lavoro scenografico la sua ricerca pittorica.
[NOTE]
1 Ettore Zapparoli (Mantova, 1899 - Monte Rosa, 1951) fu compositore e alpinista. Morì senza eredi in circostanze tragiche in montagna e il suo corpo, ritrovato in un burrone nel 2007 è stato recentemente riconosciuto da una lontana parente. Genio misconosciuto della musica, frequentatore dei salotti culturali milanesi, per il Teatro alla Scala avrebbe dovuto mettere in scena presumibilmente nel 1943, Enrosadira, un’opera lirica sulle leggende delle Dolomiti. Il bombardamento della Scala impedì la prosecuzione del lavoro e distrusse la partitura che ancor oggi risulta dispersa, come la maggior parte delle sue opere. Fonti orali indirette (sia da parte della famiglia Ponti, sia da parte della famiglia Zapparoli) convergono sul fatto che ci fosse l’accordo con un architetto - in cui si potrebbe ravvisare la figura di Ponti - per realizzare le scene.
2 «Io ricordo la disgraziata “Vispa Teresa” e la meraviglia della vostra messa in scena, una delle più belle ch’abbia visto in vita mia». Thieben C., Epistolario Gio Ponti, D13p, 21 marzo 1940.
3 Walter Toscanini (Torino, 1898 - New York, 1971), figlio del maestro Arturo Toscanini, conseguì la laurea in giurisprudenza, ma non praticò mai. Dopo il matrimonio con l’etoile della danza Cia Fornaroli si dedicò principalmente a collezionare e a vendere libri rari sul balletto, attività che continuò anche dopo il 1940, anno in cui emigrò a New York a causa delle persecuzioni fasciste. Dopo la morte della moglie, Walter Toscanini creò con gran parte della loro collezione il fondo Cia Fornaroli Collection, conservato nella New York Public Library (Jerome Robbins Dance Division). Gli ultimi materiali vennero aggiunti in seguito alla sua morte.
4 Lucia Fornaroli (Milano, 1888 - Riverdale, New York, 1954), detta Cia, dopo gli studi di ballo presso la scuola di danza del Teatro alla Scala e il perfezionamento con Enrico Cecchetti, di cui fu una delle allieve predilette, debuttò come prima ballerina al Metropolitan di New York nella stagione 1910-1911. Restò negli Stati Uniti fino al 1914 e negli otto anni successivi compì numerose tournées nei teatri più importanti e con le compagnie più famose di tutto il mondo. A partire dal 1922 tornò alla Scala prima come etoile e coreografa, poi dal 1929 successe a Cecchetti nella direzione della scuola di ballo, pur senza abbandonare la sua attività artistica nel settore interpretativo. Nel 1933-1934, lasciata la Scala, fondò la Compagnia del Balletto Italiano di San Remo con la quale tentò di contrapporre un equivalente italiano alle più importanti formazioni di danza straniere, come i Balletti Russi (allora artisti residenti del vicino teatro di Montecarlo) e i Balletti Svedesi. Per la Compagnia del Balletto Italiano coreografò prevalentemente balletti di compositori italiani di musica contemporanea. A partire dal 1940 si stabilì a New York con il marito Walter Toscanini dedicandosi all’insegnamento della danza. Si spense a seguito di una lunga malattia, che la rese immobile per due anni.
5 Luigi Sailer (Milano, 1825 - Modena, 1885) fu insegnante di scuola secondaria a Milano, a Siena e a Modena. Nel 1870 pubblicò alcuni componimenti poetici per bambini col titolo L’arpa della fanciullezza. Nel volume si trova La farfalletta, composta tra il 1850 ed il 1858, e dedicata ad una principessina di Savoia-Carignano ritenuta «una bambina incorreggibile, perché male avvezza». II successo del componimento fu tale che a tre anni dalla sua prima pubblicazione si era già alla terza edizione. Alla fine del decennio tutti conoscevano la Vispa Teresa, ma quasi nessuno sapeva più chi ne fosse l’autore.
6 Il poeta Carlo Alberto Salustri (Roma, 1871 - 1950) scelse lo pseudonimo Trilussa, anagramma del proprio cognome col quale firmò un gran numero di poesie dialettali. Lungi dall’essere un intellettuale, fonte della sua ispirazione erano le strade di Roma, assai più che i libri o i circoli letterari che rifiutò sempre di frequentare preferendo le osterie. Quando un giornale locale gli pubblicò i primi versi, questi conobbero rapidamente il consenso dei lettori e furono il primo passo verso la realizzazione di molte raccolte di poesie. La fama di Trilussa crebbe, e tra il 1920 e il 1930 la sua notorietà raggiunse il culmine. A soli pochi giorni dalla sua morte gli venne riconosciuto il titolo di senatore a vita per alti meriti in campo letterario e artistico.
7 Nel 2006 presso l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza è stata ritrovata una copia del film facente parte di una serie di cortometraggi prodotti dalla Scalera Film, che si credeva perduto. Partendo da materiali documentari con protagonisti gli animali, il regista raccontava una breve storia moralizzante. Secondo i critici cinematografici, questi cortometraggi rappresentarono il punto di partenza del Neorealismo italiano. Titolo originale: La vispa Teresa; Paese: Italia; Anno: 1939; Durata: 7 min; Colore: B/N; Genere: Documentario; Regia: Roberto Rossellini; Fotografia: Mario Bava; Musiche: Simone Cuccio.
8 Ponti G. cit., 1957, p. 82. Ponti, prendendo le distanze dal Futurismo di seconda generazione che stava vivendo in quegli anni un periodo di fortunato revival, afferma anche: «non è l’arte ad esprimere il movimento muovendosi, ma è il movimento che esprime - nella danza ed anche nella danza meccanica, nella musica, nel canto, nel ritmo - l’arte. Questo è l’incanto del movimento: che non ha forma perchè ha mille forme». (Ponti G., cit., 1957, p. 45).
9 Nel 1919 Andrè Derain (Chatou, 1880 - Garches, 1954) aveva realizzato le scene per il balletto La boutique fantastique con musiche di Ottorino Respighi, causando la rottura definitiva tra Sergej Diaghilev e Lev Baskt, storico scenografo dei Balletti Russi. La medesima la velocità del tratto nei bozzetti di Derain è presente negli alberi del fondale di Ponti per La vispa Teresa.
Silvia Cattiodoro, Gio Ponti dalla scena al grattacielo. Un unico modo, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Palermo, 2012

martedì 11 novembre 2025

Mi avvio costeggiando Capo Berta

Imperia: la discesa di Capo Berta

Giorgio Lavagna, l'autore dello scritto che qui segue, con altri partigiani imperiesi, quasi tutti autorizzati dal comandante Libero Briganti, aveva raggiunto le linee alleate a ridosso di Mentone ai primi di settembre 1944. Questi patrioti italiani - ed altri, giunti per altre vie - erano stati allora arruolati nella FSSF, First Special Service Force (chiamata anche The Devil's Brigade, The Black Devils, The Black Devils' Brigade, Freddie's Freighters), reparto d'elite statunitense-canadese di commando, già impiegato anche nella Operazione Dragoon nel sud della Francia. Il reparto, però, fu sciolto nel dicembre 1944. Dopo di che, per non farsi internare, questi antifascisti furono costretti ad immatricolarsi nel 21/XV Bataillon Volontaires Etrangérs francese, presso il quale furono impiegati solo per lavori di fatica. 
Adriano Maini
 
12 maggio 1945
[...] raggiungo Albenga e, sempre in cerca di un mezzo di fortuna, trovo sulla strada «Ricù» Raineri che, con una corriera adibita a trasporto merci, carica di farina, sta per partire. Attendo impaziente per un quarto d'ora, poi si parte; ma quando già credevo di aver trovato il mezzo giusto per avvicinarmi a casa, intoppo in una spiacevole sorpresa: a Capo Santa Croce la strada è interrotta, e per non seguire «Ricù» che deve fare un percorso più lungo, rimango un'altra volta a piedi. Mi guardo attorno, sento che niente potrebbe fermarmi. Vedo in basso la galleria della ferrovia e mi informo che anche quella non sia saltata, poi mi avvio giù per la scarpata a strapiombo, scivolando ne raggiungo l'entrata buia che imbocco, quindi cammino seguendo i binari; durante il percorso incontro due persone che non riesco nemmeno a vedere in faccia; giunto all'altra estremità, mi trovo ad Alassio. 
Percorro a piedi la via Aurelia fino al termine di Laigueglia. Ancora una volta devo agire di prepotenza, mostrando la mia bomba a mano a un camionista che si rifiuta di farmi salire sul proprio mezzo. Oltrepassati Cervo e San Bartolomeo, proseguo a piedi verso Diano Marina. La giornata volgeva al tramonto ma ormai mi sentivo a casa. Mi avvio costeggiando Capo Berta, percorrendo un sentiero tracciato sulle frane della vecchia strada e prima delle venti giungo a Borgo Peri. Guardavo emozionato Porto Maurizio, mi sembrava di vederlo per la prima volta, non mi era mai apparso così bello, mi sembrava un sogno, avrei voluto gridare pensando ai miei che, inconsapevoli della mia vicinanza, attendevano ancora con angoscia il mio ritorno. 
Addentrato nelle strade di Oneglia, ignorato da tutti, cammino senza rendermi conto dello stato in cui mi trovo, guardo qua e là cercando persone di mia conoscenza; sul ponte Impero, quasi distrutto, incontro «Pinù» Acquarone che, non vedendomi da molto tempo, mi chiede da dove arrivo; gli accenno brevemente la mia storia ma la fretta non mi permette di dilungarmi; quell'amico, della cui cortesia non avrei mai dubitato, intuisce la mia premura e, senza che io gli chieda cosa alcuna, mi offre in prestito la sua bicicletta; non chiedo di meglio, parto veloce sull'ultimo tratto del mio percorso, pensando che non mi sarei più fermato. 
Ma prima di giungere a Porto Maurizio, incontro Andrea Corradi, non più rivisto da quando avevo lasciato l'accampamento di Monte Faudo; ci fermiamo uno di fronte all'altro, nella sua voce c'è un'esclamazione di stupore, e, come se tornassi dall'altro mondo, mi chiede anch'egli da dove io venga; anche a lui accenno poche cose, dopo di che ognuno prosegue per la propria strada. 
Giunto a Porto, sotto il vecchio orologio, all'angolo di Via Mazzini, incontro Giovanni Ascheri, amico di famiglia, che, sorpreso nel vedermi, chiama sua zia Maria. Quella donna, gentile e affettuosa, che durante la mia assenza aveva sempre esortato mia madre a sperare, nonostante fosse al corrente delle poche possibilità che ormai si potevano nutrire su un mio ritorno, mi corre incontro stringendomi in un abbraccio emozionato. Mentre a Maria sto spiegando brevemente la causa del mio arrivo in ritardo, una ventina di giorni dopo la liberazione, giunge a salutarmi anche l'amico Andrea. Egli mi attende e insieme ci avviamo verso casa. Durante quel tratto di strada, non sapendo che io già conoscevo quello che si diceva al mio riguardo, egli mi consiglia che sarebbe opportuno avvertire i miei genitori del mio arrivo, per evitare che un'emozione troppo violenta potesse loro nuocere, e si offre di essere lui a fare ciò. 
Pochi minuti mi separavano da un incontro che per me sarebbe stato meraviglioso. Senza provarlo, nessuno può capire cosa significhi poter riabbracciare i propri genitori dopo aver tanto sofferto. Il compagno che mi aveva preceduto con la bicicletta era scomparso davanti a me, ormai lo immaginavo già a contatto con i miei, mentre comunicava loro la notizia. Pedalo contemplando il panorama circostante, osservo emozionato i miei vecchi luoghi, ad un tratto vedo, in alto, davanti a me, il paese di Torrazza che, molte volte, avevo immaginato distrutto. Mi sentivo orgoglioso della causa per la quale avevo combattuto; ero felice di essere tornato, e di poter ancora raccontare gli episodi di quel passato burrascoso, che non avrei più dimenticato. 
Dal monte del Ciapà imbocco la strada che, attraverso una vecchia cava, porta a casa mia. Scendo dalla bicicletta all'inizio di quella cava per salutare un contadino di Torrazza. Dalla strada giungono altre persone che, forse, mi avevano scorto. Nel frattempo, da casa mia arriva mio padre ancora incredulo, con Andrea. Mia madre, colta all'improvviso da quella notizia, per alcuni minuti rimane seduta sopra un muretto in mezzo al vigneto. Stringo finalmente mio padre mentre i nostri visi si bagnano di lacrime. Mia madre, riavutasi, giunge quasi correndo, mi stringe pronunciando varie volte il mio nome, vorrei dirle tante cose ma posso solo piangere e non riesco a dire nulla. Nella mia giovane età, nemmeno quel giorno avevo capito, come capirò più tardi, quanto quella donna avesse potuto soffrire in quell'anno di guerra, nel sapermi in pericolo, confortata solo da una tenue speranza di potermi riabbracciare. 
In mezz'ora la notizia del mio arrivo si diffonde, da Torrazza scendono altri amici, fra loro ricordo solo Don Mela, parroco del paese; da Porto Maurizio giunge in bicicletta il colonnello Laureri. Per più di mezz'ora rimango bloccato nella cava da quella gente desiderosa di conoscere la mia storia, le ragioni della mia lunga assenza dall'Imperiese. Solo a tramonto inoltrato raggiungo la soglia di casa mia, da dove una sera di giugno, al chiaro di un lume a petrolio, i miei genitori mi avevano visto partire. 
Giorgio Lavagna (Tigre), Dall'Arroscia alla Provenza - Fazzoletti Garibaldini nella Resistenza, IsrecIm - ed. Cav. A. Dominici - Oneglia - Imperia, 1982, pp. 148-150