lunedì 3 novembre 2025

Di Villa San Gaetano mi accompagnerà sempre il melodioso canto del mare infrangersi contro gli scogli

Latte, Frazione di Ventimiglia (IM): Villa San Gaetano


Prefazione
"Villa San Gaetano" è situata su un lembo di mare dell'estremo Ponente Ligure, prima della curva di Latte, in una posizione, a dir poco, incantevole. Ma "Villa San Gaetano" non è solo un luogo fisico. Una villa come ce ne possono essere tante. E' la culla dei ricordi legati ad un periodo particolare della vita dell'autrice. Seguendo il filo della memoria e sull'onda di sensazioni visive, olfattive, uditive, poeticamente riemerse dal profondo, l'autrice rende vivi e palpabili i luoghi che l'hanno vista bambina felice, spensierata, amata. L'autrice, da adulta, ripensando alla sua infanzia, nel libro ripercorre anche un periodo storico terribile. Un evento bellico le sottraeva il padre quando lei era ancora piccolissima e glielo restituiva come "sconosciuto" dopo qualche anno, a guerra finita. Non mancano considerazioni sul sistema di vita, sul mondo del lavoro, sui valori affettivi. Tutto è rivisitato alla luce di tersi ricordi che rendono quegli anni e quei luoghi pieni di incanto. Accanto alle descrizioni di luoghi, vie, angoli, spiagge, ruvidi scogli che l'hanno vista giocare allegramente e che sono resi palpitanti agli occhi del lettore, si stagliano figure umane statuarie come nonna Pia, la saggia, o nonno Cesare, uomo possente, apparentemente rude, ma tenero come un bambino: figure che, nella loro semplicità, hanno saputo trasmettere sentimenti sani e profondi e sono state per lei modelli esemplari. E' uno scorcio di autobiografia che ha il pregio di far conoscere non solo un periodo magico della vita dell'autrice, ma anche di presentare un luogo incantevole, ancora in parte incontaminato, il tutto rivisto attraverso la meraviglia dei suoi occhi di bambina e la maturità di una donna che ha vissuto ed amato intensamente. 
Filomena Loreto 
Al mormorio delle onde sulle rive di Latte mi tornano voci vicine e lontane. 
Di Villa San Gaetano mi accompagnerà sempre il melodioso canto del mare infrangersi contro gli scogli e rappresenterà per me il rifugio alle controversie senza via d'uscita. Lo sbocco catartico di una ripresa. 
Ho sempre considerato quella di Villa San Gaetano la mia unica spiaggia. 
Piccolo lembo di terra che racchiudeva l'universo. Il mondo circoscritto attorno alla Villa è stato la palestra in cui ho appreso l'abc della vita in simbiosi con la natura. Mi porterò sempre dentro questo legame con la natura, la mia grande madre, la mia consolatrice, il mio anello di congiunzione fra presente, passato e futuro. Il mio raccordo fra vita e morte, senza soluzione di continuità. In mezzo a quella natura, in stato di semi-verginità, ho vissuto i primi cinque anni della mia vita, di cui ho vari nitidi ricordi e, in seguito, le estati più serene della mia fanciullezza. Ero circondata da un'atmosfera ricca di stimoli affettivi, ma un po' ferma nel tempo dietro i visi seri deí nonni, a volte un po' ovattata nei silenzi delle stanze in cui rimbalzavano solo gli echi delle onde. 
Atmosfera che obbediva a ritualità quasi cristallizzate, anche se attraversate dalla guerra, dai lutti e dalla tecnologia. Ho ancora nella mente i rimbombi delle cannonate della seconda guerra mondiale, il pianto e la disperazione della mamma per la morte in guerra di suo fratello Aronne, il passaggio del treno che faceva tremare le pareti della casa. Eppure nulla mi ha lasciato segni negativi. Tutto era vissuto in armonia con la sicurezza affettiva dei cari e dei luoghi. Così, ora lo capisco, sono cresciuta senza particolari paure, se non quelle dettate da un minimo di prudenza esistenziale [...]
Maria Pia Urso, Villa San Gaetano, youcanprint, 2015

martedì 28 ottobre 2025

Mario Calvino: un grande divulgatore della floricoltura


Mario Calvino nasce a Sanremo il 26 Marzo 1875, si laurea a Pisa in Scienze Agrarie nel 1899 diventando più tardi libero docente della stessa disciplina. Nel 1901 è nominato Direttore della Cattedra ambulante di Porto Maurizio, Imperia, Olivicola e Orticola.
Nel 1909 si reca in Messico e in altre zone del Centro America per svolgere attività di ricerca e sviluppo delle agricolture locali insieme a Eva Mameli, una studiosa di botanica, valida e insostituibile collaboratrice, che diventerà sua moglie.
Nel 1917 sono entrambi a Cuba, a Santiago de las Vegas dove svolgono la loro attività di ricerca agronomica presso la locale Stazione Sperimentale.
In seguito si trasferiscono nel sud-est dell’isola, quando Calvino riceve l’incarico di fondare una stazione sperimentale per lo studio della canna da zucchero da parte di una ditta locale.
Molteplici sono i loro studi nel campo fisico e biologico ma mai disgiunti dall’applicazione pratica: Mario Calvino era convinto, infatti, che il miglioramento delle attività agricole avrebbe contribuito notevolmente al progredire delle condizioni sociali ed umane dei popoli.
I suoi numerosi viaggi all’estero gli permettono intanto di perseguire un’attenta opera di ricerca di piante adatte ad essere impiantate nel particolare clima di Sanremo, i cui semi vengono selezionati e spediti con regolarità alla Stazione “Orazio Raimondo”.
I primi semi di Persea drimifolia e di Casamiroa edulis, vengono inviati dal Messico nel 1909. Nel 1910 vengono piantati a Sanremo i primi esemplari di “Grapefruit” sempre inviati da Calvino dalla Florida. Nel 1938 esce una pubblicazione sulle varie specie e sulla coltivazione dell’Avocado e al Congresso Internazionale di Berlino presenta una relazione sulla diffusione a Sanremo di frutti tropicali e subtropicali.
Dopo il suo rientro in Italia nel 1925 come Direttore della Stazione Sperimentale di Floricoltura “Orazio Raimondo” sviluppa la coltivazione della Sterlitzia reginae.
Quanto detto mostra come Calvino sia stato un grande divulgatore della floricoltura: egli aveva intravisto lo sviluppo che avrebbe assunto la coltivazione dei fiori, ma soprattutto, grazie ai suoi contatti, Calvino compie una grande opera di introduzione di germoplasma subtropicale, anche australiano. Emerge così la sua grande opera di promotore dell’evoluzione genetica floricola: fu infatti il primo ad inculcare ufficialmente ai coltivatori la convenienza di occuparsi di ibridazione e selezione.
Fra le principali specie introdotte meritano di essere ricordate: Hedychium coronarium (India 1926), Dahlia Maxoni (Guatemala 1926), Photinia arbutifolia (California 1927), Anigozanthos Manglesi (Australia 1939).
Nel 1934 vi è notizia dell’introduzione del Chaemelaucium uncinatum e varie piante ornamentali come Oreopanax capitata, Trevesia palmata, Ficus sp, Sanseviera, piante da foraggio, da alcool e così via.
Tra i fondatori della Stazione Sperimentale per la Floricoltura “Orazio Raimondo”, Calvino ne rimane Direttore fino al 1950 quando è costretto a lasciare per raggiunti limiti di età; muore poco dopo, il 25 Ottobre 1951.
Il Prof. Alberto Pirovano ricordava così Mario Calvino: “C’era tra noi una comunanza di sentimenti: il fascino dell’ignoto, della via vergine, delle realizzazioni peregrine o difficili da conseguire. Vi è analogia fra lo spirito dell’esploratore che incede tra mille difficoltà alla scoperta di una terra, di una flora o di una fauna e lo sperimentatore che s’accinge a nuovi cimenti con metodologia necessariamente improvvisata, imperfetta, ma sua. Ed è da questa affinità di sentimenti che nasceva fra me ed il caro scomparso una reciproca stima e una salda fiducia attestata da fatti”.
Alfredo Moreschi, Calvino prof. Mario, Nuovo "Fiori di Liguria" (in ricordo del Professor Giacomo Nicolini), 2020

martedì 21 ottobre 2025

Ventimiglia costruiva il suo futuro mattone su mattone come con il lego


E arrivarono così gli anni '70 e le cose cominciarono a mutare. 
Ventimiglia non aveva risentito molto dello scossone dell'economia del 1968, intravvisto da noi più per gli avvenimenti francesi che nostrani: Il franco aveva ricominciato a rivalutarsi e i nostri vicini d'oltralpe ritornarono ad affollare i nostri negozi e ristoranti. I frontalieri da parte loro potevano avvalersi di un maggior potere d'acquisto, visto il maggior valore della moneta transalpina, e, anche grazie ai sacrifici, molti di loro poterono anche migliorare le loro situazioni abitative.
Insomma il mattone continuava ad essere l'investimento preferito e i condomini spuntavano uno dopo l'altro. Ai piccoli impresari del dopoguerra erano subentrati i gruppi e le società costituite, oltre che da tecnici, anche da finanziatori, che vedevano nel'edilizia una grande occasione di arricchimento immediato.
Anche nel resto della penisola la situazione economica era migliorata e quindi nacque il desiderio di chi abitava nelle città del nord e ne aveva la possibilità di acquistare una casa per le vacanze, la "seconda casa". Seconda casa che  costituiva una ulteriore ghiotta occasione di guadagno per gli speculatori immobiliari: la zona delle Asse e di Nervia videro i primi insediamenti mentre a Roverino nasceva l'edilizia popolare per residenti, grazie anche a cooperative. La città si dava, dunque, un assetto un po' raffazzonato, senza direttive da parte degli amministratori, anche se si cominciò a parlare di piano regolatore.
Tra le occasioni mancate si era aggiunta qualche anno prima quella della realizzazione di un porto, che, dopo grandi entusiasmi per l'inizio dei lavori, si era arenato per mancanza di fondi ed era rimasto lì con moli e strutture interrotte "propiu cume in couru sens'aiga".
In quegli anni si era completata anche l'autostrada dei fiori, dapprima osteggiata come progetto da molti concittadini che temevano di perdere la clientela che non sarebbe più stata obbligata a percorrere le vie cittadine, ma che aveva dato lavoro ad alcune ditte dell'indotto per trasporti di materiale, impiego di mano d'opera, forniture di esplosivi: sarebbe potuta essere una buona occasione per far realizzare dalle società costruttrici qualche opera pubblica, come avevano fatto quasi tutti i comuni sui quali era passata, ma stranamente - e solo a fare questo esempio - il materiale di risulta finì in mare e venne inghiottito dalle onde.
All'amministrazione della città era stato nominato come primo cittadino Albino Ballestra, che ormai aveva consolidato la sua leadership con la costituzione di una giunta di centro-sinistra, la quale avrebbe governato la città per molti anni. Si andava avanti, tuttavia, con il piccolo cabotaggio, senza prevedere opere di viabilità definitive, solo stabilendo qua e là piccole opere di urbanizzazione per il centro città e le frazioni: le vie di scorrimento per il grande traffico continuarono a latitare.
Anche nel centro alcune costruzioni furono trasformate in grandi condominii. A titolo di esempio rammento che dove sorgeva una villetta con giardino sorse un grande caseggiato, che ospitò il supermercato Standa (ma non si era pensato ai parcheggi per gli acquirenti e ad una zona di carico e scarico), e che dov'era villa Davigo (una grande villa che ospitava anche il Consolato francese con un bellissimo giardino annesso) venne costruito - dopo che il Comune ne aveva rifiutata l'acquisizione nel proprio demanio ad un prezzo di favore - quell'enorme condominio di gusto discutibile, dove oggi vi è la sede della Banca ex Carige: così come era successo sul Vallone ad un distributore trasformato nell'attuale palazzo della Oviesse e via costruendo. 
Intanto le piccole industrie chiudevano i battenti, il turismo, che, aveva avuto il massimo del fulgore negli anni '60, stava scemando abbandonato per altri interessi, e la floricoltura era quasi sparita. Il mercato dei fiori si era trasferito a Sanremo e persino la Battaglia di Fiori, vanto e onore della città, cessò di esistere nel 1969.
Mentre le città della Riviera lanciavano nuove e invitanti manifestazioni turistiche, Ventimiglia costruiva il suo futuro mattone su mattone come con il lego, che allora andava di moda.
Nella seconda metà degli anni '70 si avvicendò ad Albino Ballestra come sindaco l'avvocato Aldo Lorenzi, un ligure di quelli all'antica, che continuò sulla falsariga delle precedenti amministrazioni, con visioni limitate al presente: tipica la sua espressione di commento al progetto della costruzione di una strada di scorrimento adiacente al mare con la collaborazione dei comuni vicini per la realizzazione di un ponte sul fiume Nervia "pe mi Ventemiglia a fenisce cu a sciùmaira du Nervia".
Intanto erano nate le regioni e molte delle competenze dei comuni furono assegnate a quelle istituzioni, cosicché la nostra città dovette d'allora in poi dipendere oltre che da Roma (che aveva accentrato il potere economico con l'abolizione del dazio) anche da Genova, che, come è risaputo, non è mai stata in ottimi rapporti con il Ponente: la vita degli amministratori si complicò tra regolamenti, commissioni, comitati comprensoriali e chi più ne ha più ne metta.
Gli anni 70 erano cominciati con l'austerity, dovuta alla guerra del golfo con il conseguente aumento del costo della benzina, e finivano con un'orizzonte non più sereno anche se i ventimigliesi (quelli che contavano... in ogni senso) non se ne rendevano conto.
Per quanto mi riguarda la vita scorreva a ritmo frenetico... a tempo perso (cioè di sera) poiché al giorno continuavo la mia attività di commesso: avevo intrapreso l'hobby (chiamarla carriera sarebbe troppo pretenzioso) del presentatore: serate organizzate dalle aziende del turismo in Riviera, concorsi di miss (che allora erano di gran moda), eventi e manifestazioni canori... 
Gianfranco Raimondo, 29 - Passa il tempo e si matura, Diario di un ventemigliusu... nel suo piccolo..., 3 giugno 2025

martedì 14 ottobre 2025

Alessandro Natta e la poesia di Giorgio Caproni

Imperia: Borgo Peri, un luogo caro ad Alessandro Natta

Non so gli ultimi giorni, ma certo gli ultimi anni di buon ritiro onegliese di Alessandro Natta hanno potuto godere di una palese felicità mentale anche grazie alla letteratura e alla poesia. Quella letteratura su cui si formò negli anni della Scuola Normale di Pisa, classe di lettere, con compagni come Ettore Bonora che - Natta medesimo raccontava - gli furono quasi maestri nello studio e nell'intelligenza della grande poesia francese da Baudelaire ad Apollinaire, e i maestri a pieno titolo come Luigi Russo, docente ammirato e temutissimo di Letteratura italiana che non transigeva sui fondamenti classici della preparazione degli allievi, per i quali dunque l'arte, la letteratura e la poesia contemporanea dovevano restare ai margini, quasi un culto privato; tant'è che Natta sgobbò parecchio prima sul Canzoniere del Petrarca e poi sul Leopardi. Questi ricordi sono racchiusi in una recentissima nota a Alfonso Gatto, Alla scoperta della terra più sconosciuta (Ed. San Marco dei Giustiniani), ovvero gli articoli che Gatto scrisse nel 1947 per "l'Unità" sui luoghi più belli della Riviera di Ponente.
Ma, tra gli studi e gli interventi di Natta sulla letteratura (un esempio: la biografia del portorino Giovanni Boine), non avrei dubbi - anche perché ne conservo memoria viva - ad attribuire un valore quasi testamentario alla sua rilettura di Giorgio Caproni, fatta il 21 giugno 1997 al Santuario di Montebruno in Val Trebbia, in occasione di una tavola rotonda sul poeta con Massimo Quaini e chi scrive (ora si legge in "Per Giorgio Caproni", sempre per i tipi di Giorgio Devoto, un editore che ha affettuosamente e intelligentemente contribuito a estrarre Natta dalla nicchia onegliese e a proporgli benefiche sfide di lettura).
Ebbene, Natta qui, in un soggetto intitolato "Il tempo e il luogo della guerra", s'ingaggia nella lettura serratissima di un poeta che evidentemente conosce benissimo e che gli serve per ripercorrere l'autobiografia propria e di tutta una generazione, senza tuttavia scomporre di un millimetro Caproni, anzi evidenziandone, a forza di citazioni, le prese di posizione sul conflitto e sulla resistenza sia in versi che in prosa (con un'intensa rilettura del racconto caproniano "Il labirinto"). 
E prese posizioni anche secche, quanto mai attuali: «Provare compassione e rimorso di fronte alla distruzione nel mondo di milioni e milioni di uomini (...); essere aperti e fraterni ai tanti che passarono le barricate e trovarono nelle brigate garibaldine un riscatto, come anche qui accadde a molti alpini della "Monterosa"; e patire, sentire pietà anche per i fascisti, anche per "i torturati e i carnefici dei nostri compagni", giustamente condotti a morte, nell'aprile del '45, sui sassi della Val Trebbia, non significa affatto confondere le idee, il costume, la condotta degli uni e degli altri, non vuol dire affatto pareggiare i conti della storia, legittimare ed eguagliare il passato degli uni e degli altri: il collaborazionismo subalterno e la violenza assassina di Salò e il patriottismo nuovo e fiero del movimento partigiano che rifondeva la dignità e l'unità della nazione nel segno della libertà e della giustizia sociale».
E poco dopo: «E la Repubblica, del resto, è stata già estremamente magnanima e pronta nel chiudere ferite, nel concedere pietosi perdoni. Forse anche al di là del giusto».
Può essere che lo avvertisse pure Caproni quando dopo tanti anni, e nuove guerre lontane e feroci e stragi oscure, indicibili nel nostro Paese, sembrava constatare con disincanto e in modo desolato la fine della memoria della resistenza: «I morti per la libertà / Chi l'avrebbe mai detto. / I morti. Per la libertà./ Sono tutti sepolti».
Per dire che gli ultimi anni di Natta sono stati tutt'altro che uno stanco ripiegamento nostalgico o un chiuso silenzio.
La letteratura coniugata con la storia, secondo l'insegnamento di Russo e il costume di una vita, è riuscito anzi a farla oggetto di un nuovo investimento, un bilancio e una conferma di posizioni incrollabili, le stesse delle ragioni della sua estraneità di uomo, costruitosi in altri tempi, ai tempi nuovi e alla cultura trasformata, di cui forse lui non dichiarava apertamente tutto l'orrore che avvertiva.
E la poesia, coraggiosissima e sempre in trincea (se non altro sul fronte estremo, teologico), di un uomo tutto d'un pezzo come Caproni lo aiutò a trovare ciò che in ultimo si fatica sempre a trovare, le parole giuste.
Così iniziava, appunto, quel suo testo letto in Val Trebbia: «Forse perché mi appresso oramai al limite, e sta già passando per me il momento di decidere, anch'io, di staccare dal muro la lanterna e di scendere nel vallone, forse é per questo che la poesia di Giorgio Caproni mi inquieta e mi affascina sempre più».
Giorgio Bertone, Le passioni politiche e letterarie, (da "Il Secolo XIX" - 29 maggio 2001) in Pagine Nuove del Ponente, bimestrale di politica e cultura, Imperia, Numero 4 - Anno III luglio-agosto 2001

lunedì 6 ottobre 2025

L'acetum ligusticum

Sanremo (IM): a sinistra Via Mameli e dietro il Palazzo Via Matteotti

Se c'è un elemento tipico di questo estremo ovest della Liguria, un qualcosa che in qualche modo possa contrassegnare il carattere nazionale delle genti che abitano il Ponente, non sarà difficile - osservando non solo viaggiatori, letterati, pittori e scienziati ma anche le così dette persone comuni, che poi comuni non sono - individuare questo elemento nella follia
Una peculiarità come può essere quella che - diceva Ruggero Orlando a proposito dei siciliani - è la capacità di spaccare il capello in quattro, e quindi da lì viene fuori Pirandello, o per gli irlandesi è il gioco di parole, lo scherzo, il paradosso, e così abbiano i Wilde e gli Shaw e i Joyce.
Bene, se c'è un elemento così nel Ponente, una sorta di genius loci, e questo è la follia, non è allora una grande follia, intendiamoci, nulla di patologico, nella maggior parte dei casi. Ma una eccentricità particolare, questo sì, che si aggiunge alla normale stravaganza, se ci è concesso l'ossimoro, di cui è ammantata la figura dell'artista o dello studioso, di colui insomma che, ragionando con il proprio cervello, finisce con l'esulare dalle consuetudini e dalle convenzioni e ad apparire, come si suol dire, un poco strano. Un'estraneità che appartiene appunto al fare arte, all'essere in qualche modo in anticipo sui tempi (perché in tal modo li si sta inventando, i tempi futuri) e a disegnare nuove forme e praticare nuovi comportamenti. Perché, e la buttiamo lì quasi come una definizione di massima, l'artista è colui che rifiuta di adagiarsi negli stereotipi e nel già detto e in qualche modo, col suo cammino, apre nuovi sentieri: adopera il suo ingegno per scoprire le cose del mondo o trovare le idee nuove.
Ma, abbiamo appena dichiarato, nel Ponente sembra esserci, come aggravante, un pizzico di deragliamento in più. Giorgio Bottini, fra l'altro grande conoscitore di jazz, parlava di acetum ligusticum. Non perdiamoci in lunghi elenchi, ora, ma da Edward Lear a Tommaso Landolfi, da Guido Seborga a Giacomo Natta, non si può negare che in questa terra nascano, o trovino ospitalità e rifugio, figure animate da vivaci bizzarrie e spesso anche da un certo spirito nonsense
Sarà un caso? Può darsi. Ma anche un Mario Calvino che si mette le bisce e le rane in tasca (va bene, voleva porsi alla pari coi contadini che incontrava), un Piero Simondo e una Elena Verrone che festeggiano le loro nozze con qualche giorno di libagioni in compagnia di alcuni amici, come Guy Debord e Asger Jorn, e già che ci sono fondano l'Internazionale Situazionista, un Giuseppe Varaldo che scrive poesie costruendosi delle incredibili gabbie (tipo usare solo una vocale, usare solo monosillabi e così via), be', diciamocelo, non sono cose e persone tanto normali.
Qualcuno potrà obiettare che forme di follia di questo tipo si trovano un po' dappertutto, e meno male se le cose stanno così, e che ora del Ponente ligure vogliamo privilegiare e sottolineare certi aspetti che ci stanno a cuore. Possiamo anche concederlo, ma ci venga riconosciuto che abbiamo i nostri buoni motivi per elaborare certe tesi, e fomentarne magari futuri sviluppi. E chiamiamo qui come testimoni, dunque, due figure sul cui carattere eccentrico e scanzonato nessuno potrà opporre, pensiamo, dubbi e riserve. Un sanremese di nascita e uno di adozione: Antonio Rubino e Farfa.
Li accomuna l'umorismo, il gioco, lo spirito infantile. Che sono cose difficili da praticare, specie in un paese serioso come l'Italia. Se fai ridere o sei parodico o vai sopra le righe, per ben che ti vada sarai valutato aprioristicamente un autore minore. "È considerazione corrente - scrive Sandro Bajini - che gli spettatori, e con essi i critici, siano più disposti a tollerare una brutta opera seria che una brutta opera comica".
Ma Farfa e Rubino hanno altre cose in comune. L'eclettismo, tanto per cominciare, la capacità di essere poliedrici. Farfa è pittore, poeta, costumista, fotografo, ceramista, cartellonista, inventore di ricette gastronomiche. Antonio Rubino in un suo biglietto da visita si definisce giornalista e poeta-pittore ed elenca poi ciò che può fare: libri, albi, opuscoli, giornali, quadri, illustrazioni, pannelli decorativi, cartelloni, inserzioni, etichette, marchi di fabbrica, grafici statistici e dimostrativi, sigle, storielle umoristiche, figurini, scenografie, stands per esposizioni, decorazioni di ambienti, mobili e oggetti decorativi, sagome, progetti di pubblicità. Che è un elenco incompleto, ovviamente, e noi sappiamo che Rubino ha fatto tante altre cose, dalle ricette culinarie (anche lui! collaborando per la Cirio e coinvolgendo la moglie Angiola nella stesura) agli ex-libris, dai disegni per le feste baiocche a quelli di giochi da tavolo, dalle poesie alle composizioni musicali.
Già, la musica, altro elemento che appassiona sia Farfa che Rubino.
[...] Farfa e Rubino furono due grandi sognatori, che qualcuno talvolta oggi colloca nel clima culturale del Futurismo. E futurista Farfa lo fu senz'altro, anche se di quell'ala pacifista, giocherellona, vagamente dada (alla Palazzeschi, per intenderci) che lo porterà non solo a polemizzare con Marinetti ("Marcire e non marciare / per non subire le delusioni amare") ma infine a essere "recuperato" da surrealisti come Enrico Baj e Arturo Schwarz e ad entrare nel Collegio di Patafisica. Rubino non fu futurista ma se ne è notata la vicinanza con alcuni futuristi "fantasiosi", in particolare con Fortunato Depero. Ma sono piuttosto imparentabili, Farfa e Rubino, proprio per il loro fare - diciamolo con un bel bisticcio di parole - indisciplinato e pluridisciplinare.
E quindi, per tornare al tema della leggiadra follia degli indigeni, rechiamoci allora in un luogo per molti aspetti tipico riguardo tale questione. Eccoci [a Sanremo] all'angolo fra corso Matteotti e via Mameli, in un locale che si chiama Bar Venezuela. Siamo negli anni del secondo dopoguerra, anche se questo posto esiste da molto tempo. Entrate pure, vi facciamo strada. È frequentato da mezzo mondo: impiegati, croupier, sportivi... C'è il biliardo, e ci sono i separé, dove si va a giocare a carte (si usano persino i tarocchi) e si fuma tantissimo, tanto che da ogni separè, come vedete, si leva una colonna di fumo, e allora per la salubrità dell'aria sono stati battezzati "pinete". Ecco, siamo già arrivati al dunque: qui non c'è un modo di parlare "serio" ma c'è l'uso di un linguaggio metaforico, a tratti grottesco, e le evocazioni strampalate, gli accostamenti di parole, le battute stralunate. Qui puoi incontrare Floriano Calvino e Antonio Rubino, Duilio Cossu e Aligi Laura (due personaggi dei racconti che scrive il fratello di Floriano), Carlo Dapporto, Pippo Barzizza. Non è un cenacolo culturale ma è molto di più.
La si pensi come si vuole ma ci sono nessi, legami, influenze, fra tutte queste esperienze: e Farfa che declama le sue poesie scoppiando a ridere quando recita quella del treno (e siamo proprio qui, c'è il paesaggio sanremese che si intravede sullo sfondo) lo poniamo come suggello di questo nostro omaggio all'estrosità e allo spirito ludico di una Liguria che sa essere così amabilmente anarchica, quando vuole esserlo...
Marco Innocenti, 23 - Follia, affinità musicali e suoni futuristi in Marco Innocenti, Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d'occasione), Lo Studiolo - Sanremo, 2018, pp. 91-97

Si possono annoverare tra i lavori più recenti di Marco Innocenti: Piccolo bestiario tascabile, philobiblon edizioni, 2025; Paesaggi, lepómene editore, Sanremo, 2025; La passeggiata avventurosa (esercizi di scrittura automatica e altre cose similari), lepómene editore, Sanremo, 2025; Silvana Maccario, Francobolli. 36 poesie (Introduzione di) Marco Innocenti, lepómene editore, Sanremo, 2025; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, Sanremo, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di) Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene, Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, Sanremo, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco - per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Fabio Barricalla, Formiche in fila indiana (noticina introduttiva di Marco Innocenti), Sanremo, Lepómene, 2020; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, Sanremo, 2021.
Adriano Maini