venerdì 28 febbraio 2025

Tutto il paese si radunava nel locale più ampio

Dolceacqua (IM), un paese dell'entroterra di Ventimiglia

Me ven in mente le nostre prime esperienze di teatro con la compagnia di varietà, creata da noi ragazzi di allora [n.d.r.: di Ventimiglia] e pomposamente chiamata compagnia teatrale.
Non c'era ancora la televisione e noi scavalcamontagne... ci esibivamo nei paesini dell'entroterra in quello che avrebbe dovuto essere uno spettacolo di arte varia e che invece era una specie di "Corrida" dei poveri.
Tutto avveniva nella maniera più improvvisata, in settimana si provava in uno dei nostri appartamenti o nel retro di qualche bar... il sabato in giornata il battitore del paese dove aveva luogo lo "spettacolo" passava per le vie a "battere la cria", cioè a pubblicizzare con un megafono l'avvenimento e il sabato sera tutto il paese si radunava nel locale più ampio, da noi precedentemente prenotato, ad assistere ai nostri sketch ed ascoltare cantanti della zona che facevano parte della compagnia.
Avrei da raccontare molte avventure di quell'apprendistato, che era per noi quello che fu l'avanspettacolo per molti artisti, ma sarebbe troppo lunga.
Mi limiterò a ricordare qualche compagno di quelle serate indimenticabili... in primis Cesare Sommella che era un artista anche nella vita, "matu cume in cavagnu", e del quale chi lo ha conosciuto serba un fantastico ricordo, Gianni Gennaro, che fu sempre nostro compagno su tutti i palcoscenici (parola grossa poiché il più delle volte il palco era costituito da tre tavolini allineati o dal tavolo da ping pong), Idelmo Roncari e la sorella Gisella, nostra soubrette brava e bella... Paolo Coscio, con il quale abbiamo rievocato queste avventure recentemente, e Fred Navarro, il presentatore che si arrangiava sulla scena come nella vita di napoletano verace e Nino Morabito che fu un grande comico mancato per i tempi e le circostanze.
E poi i cantanti, fra cui il tenore Furci, il duo Caria, il fisarmonicista Pisano e molti altri.
Cose irripetibili e incomprensibili, credo, per le nuove generazioni...
Gianfranco Raimondo, Gli scavalcamontagne, Gruppo "Ventimiglia d'antan"su Facebook, 19 febbraio 2025

mercoledì 19 febbraio 2025

Rocco sotto il fico lasciava raffreddare il magaglio

Ventimiglia (IM): Frazione Latte e Località Ville, zona dove ha vissuto a lungo l'autore

Giacò si era presentato alla chiamata militare con dieci giorni di ritardo, sapeva che sarebbe partito per l'Albania e la Grecia.
Allora si era presentato con i pantaloni di fustagno sporchi di zolfo e verderame ed aveva raccontato che loro salivano nelle campagne e nelle vigne del Figallo con una mula carica di gallette e vinetta e stavano lontano da casa anche due settimane e avevano saputo solo per caso da un mulattiere di passaggio che era  arrivata la cartolina di precetto.
Anacleto appendeva agli angoli delle fasce i cartoni vuoti dei panettoni Motta, che servissero da spaventapasseri e anche per vantarsi coni vicini.
Pestarino [n.d.r.: la famiglia aveva dalla Curia Vescovile una campagna in affitto in Latte, Frazione di Ventimiglia, oggi di pertinenza di Villa Eva], il re della calla bianca, la sera con gli amici andava in fuoriserie al Damilano [n.d.r.: storica sala da ballo di Bordighera] e lanciavano le monete da cinquecento lire d'argento, quelle con le caravelle, ai camerieri che per guadagnarsele dovevano prenderle al volo col cabarè.
 

Camporosso (IM): Via Dante a Camporosso Mare

Camporosso (IM): il tratto meridionale di Via Dante

Ventimiglia (IM): uno scorcio di regione Nervia

Jean lavorava in campagna [n.d.r.: a Camporosso Mare, non lontano dalla foce del torrente Nervia] lungo la strada per il mare e quando i bagnanti foresti tornavano dal bagno pomeridiano, capitava che gli chiedessero l'ora; allora apriva la mano tenendo alzato il medio che facesse ombra sul palmo, come fosse una meridiana portatile e, sbirciando il campanile vicino [n.d.r.: quello della Chiesa Parrocchiale Cristo Re di Nervia, località di Ventimiglia], dava il suo orario e stupiva per la precisione dello strumento.
Rocco sotto il fico lasciava raffreddare il magaglio nell'ora più calda d'agosto: se passavi ti chiedeva "volete favorire" e intanto scriveva lettere d'amore sulla carta della mortadella.
Gallo di monte andava a caccia e stava in giro per due giorni tra colle e passi e una volta aveva rifatto tutto il giro al contrario, giaculando, a cercare i documenti che aveva perso nei boschi
Oriente al bar maltrattava a bestemmie e male parole sua moglie, la mandava a casa a lavorare, per blagare con gli amici, ma appena entrava un rappresentante incravattato la presentava con sussiego "la mia signora".
Pippo di Dolorata, ha novant'anni, la stessa età che avrebbe mio padre che non c'è più da quaranta.
Erano insieme nella foto davanti alla scuola in Via Lascaris [n.d.r.: in Ventimiglia Alta], poi coscritti a vent'anni, poi si sono trovati vite diverse.
[...] L'altro giorno l'ho incontrato sotto porta Canarda con un vecchietto di settant'anni che faceva fatica a stargli dietro. Diceva che da lì sono passati Napoleone, Carlo quinto e Machiavelli, come si legge su un marmo fatto murare da sir Hanbury, ma che lui una lapide col suo nome non la vuole, per adesso. Pippo scherza sui banchi del mercato del venerdì che invadono la strada davanti a casa sua e dice che un giorno telefonerà per avvisare che c'è una bomba e vederli tutti scappare di corsa. E uscendo con la moglie a braccetto dice che la sua casa è la più bella di Ventimiglia.
Ha avuto due cinema e li aveva chiamati Impero ed Europa, in tempi diversi, si capisce dai nomi. Ventimiglia era un prato seminato dal fiume con davanti scoglietti e spiagge selvatiche. C'erano allora anche la fabbrica del ghiaccio, la fabbrica della luce, quella delle scarpe, delle gazzose, della liquirizia. Adesso non c'è più traccia. Adesso case e bingo.
 

Mentone vista da Ponte San Luigi

[...] Un sabato mattina di un paio d'anni fa vado a Mentone e faccio un giro al mercato, e un'emozione mi entra dagli occhi. Sul cantone ci sono due targhe e una dice che qui la Tavina vendeva frutta e verdura e la Tatoune ha venduto la pichade dal 1917 al 1970. Abbasso gli occhi e trovo la pichadella di mia nonna che mangiavo con Marilena il giorno del mio compleanno.
Marilena l'ho trovata vicino a Roma, con tre figli grandi e una vita vissuta con un'altra luce. Adesso so dov'è, ma non le ho scritto o telefonato. Forse quando finirò di scrivere, le manderò questa storia.
Col maestro Renzo avevamo lavorato la sera a copiare in bella i quaderni della nonna, ad interpretare la scrittura e aggiungere note. Avvolgeva il lampadario con un foglio di giornale fissato con le mollette da bucato, che la luce cadesse proprio sulla vecchia lettera 32 Olivetti per vederci meglio e facevamo tardi aiutandoci col rossese di Canun.
Quel sabato pomeriggio alle cinque pioveva. La saletta dell'archivio di stato sembrava ancora più piccola e più piena. I quaderni scritti dalla nonna ai tempi della guerra (1943-45) erano diventati un libro di storia locale [n.d.r.: Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988].
Arturo Viale, Ho radici e ali, ed. in pr. 

sabato 15 febbraio 2025

Un prefetto fascista di Imperia, bersaglio di beffarde lettere anonime

Imperia: uno scorcio, sul fondo, della vecchia Prefettura

Le carte di Salò relative al prefetto Enrico Degli Atti (nato nel 1881, in carriera dal 1907, prefetto dal 1932 con lunga permanenza ad Imperia dal 1933 al 1939, poi per tre anni a disposizione con funzioni di ispettore generale e collocato a riposo nel settembre 1942) riguardano solo la sua attività artistica. Come si rileva da un articolo ripreso dal «Corriere della sera» (in trascrizione datt., priva di autore e data), una sua composizione è stata eseguita nella sala dei concerti del Casinò municipale di Sanremo nell’annuale della marcia su Roma. Sia qui che negli articoli successivi - debitamente trascritti - è fatta menzione di uno strumento musicale di sua invenzione, il “Prall”, grazie alla quale il prefetto avrebbe vinto addirittura il premio...
Ci si perdoni se abbiamo voluto citare un passo scelto, questa volta, da una nostra scheda di lavoro <253. Una scheda interrotta nel momento in cui abbiamo letto che il Degli Atti avrebbe vinto il premio Nobel per la musica! E allora ridendo (è giusto confessarlo) siamo tornati a leggere meglio le cronache, con la vergogna di non aver colto immediatamente la valenza onomatopeica insita nel nome dello strumento.
Perché negli anni trascorsi in Liguria, il prefetto Degli Atti è afflitto da un corpus insidioso di anonimi. La quantità - a vedere dalle carte trasferite a Salò - non è cospicua, ma è la dalla regolarità e ancor più dalla qualità che si rileva la raffinatezza della persecuzione di cui è fatto oggetto. Il destinatario fisico degli esposti, in primo luogo, non è il prefetto, ma il ministero. Ed in ciò consiste una prima afflizione per Degli Atti: perché ogni esposto anonimo diretto al superiore ministero prevede, in precisa sequenza, la sua trasmissione all’interessato con richiesta di riferire in merito, eventualmente dopo aver fatto esperire accurate indagini. Quanto al mittente, poi, è sempre lo stesso: anche ad occhio nudo si nota la particolare impronta di una stessa macchina da scrivere. Ed è quanto evidenzia il capo di gabinetto Mormino al prefetto Degli Atti, quasi stigmatizzando il fatto che ancora non si sia pervenuti all’identificazione dell’autore. E il prefetto, dal canto suo, risponde che certo, si rende conto - anche per il difetto di battitura della lettera P maiuscola - che dietro agli esposti c’è un’unica mano, ma che ancora, nonostante le indagini appositamente Riteniamo si tratti di uno di quei tipici casi - ne analizzeremo meglio oltre la casistica: tanto nel 1940-41 quanto nel dopoguerra - in cui è preferibile che un esposto anonimo resti tale. Non tanto, intendiamoci, a tutela dello scrivente, bensì a tutela dello stesso oggetto delle sue attenzioni. Perché quando si tratti non di voci popolari, ma di scritti che per stile e contenuti riflettono l’appartenenza delle voci anonime ad un ceto sociale perlomeno pari e ad ambienti non necessariamente distanti, se il rischio di chi inoltra l’anonimo è forte, sotto certi aspetti il rischio di chi vi soggiace lo è ancora di più: perché la scoperta del mormoratore, con l’attribuzione di un nome e di un cognome, farebbe discendere sul mormorato un’ombra assai più cupa e tangibile. E ci sono casi in cui il mormoratore appartiene a una cerchia di riferimento troppo alta perché la sua eventuale “scoperta” non possa far cadere nel pubblico discredito il mormorato medesimo, gettando talvolta nel fango - per le molteplici reti sottese - un’intera città nella sua rappresentanza legale.
Possiamo allora anche far mostra di credere al prefetto di Imperia quando sostiene di non essere stato in grado di individuare la mano anonima che, con tanta petulanza, spedisce per quattro anni con frequenza pressoché regolare esposti a suo carico all’indirizzo del ministero. Ci troviamo, si noti, di fronte ad un dissenziente consapevole, per certo non fascista <255. Ma, ciò che più qui conta, l’autore si diverte a girare il proprio innegabile, raffinato senso dell’arte in prosa comica: protetto da un plausibile anonimato, del fascismo sbeffeggia lo stile ed il culto della personalità, attingendo all’arte giullaresca nel gruppo di esposti maggiormente godibili, quelli relativi alla «Società anonima del Prallo» (Telegrammi: Prallo. Milano Via Scorreggio 18 tel. 537208): mettendo in azione tale strumento - di cui Degli Atti, si è detto, sarebbe l’inventore - il prefetto comporrebbe odi canzoni ed arie, ma anche flatulenze pernacchie e scorregge, tipicamente inneggianti al duce. Ma non possiamo che apprezzare, di volta in volta, la qualità delle sue cronache giornalistiche apocrife <256, il metro dei versi che lo stesso attribuisce al prefetto <257 e finanche una splendida partitura per fiati in chiave di sol:
 

Fonte: Carlo Monaco, Op. cit. infra

Se abbiamo voluto soffermarci sugli esposti apocrifi intorno al prefetto Degli Atti, è certo perché questa notazione sinfonica di voci si presta bene a rappresentare quanto si può reperire nei fascicoli personali: dal meno al più, pressoché ogni funzionario - nella campionatura da noi effettuata - conosce esposti anonimi, esposti firmati, reclami. Il problema, ai nostri fini, non è comprendere (o non lo è sempre) quanto di vero o di falso vi sia in essi: senza la necessità di utilizzare strumenti più consoni alla storia giudiziaria, se vogliamo saperne di più possiamo anche fidarci delle indagini coeve o successive (come talvolta abbiamo fatto) sottoponendole a vaglio critico, ma non è questo il nostro modesto ufficio. Crediamo invece più importante stabilire la valenza complessiva di questo materiale. Perché, si è detto, ad ogni esposto anonimo che pervenga agli uffici della prefettura o del ministero (e, come è meglio noto, a quelli della segreteria particolare del duce) e che sia rivolto contro un funzionario, corrisponde - puntuale - una richiesta di spiegazioni, talvolta una indagine più accurata.
[NOTE]
253 La scheda si riferisce a ACS, MI, RSI, Gab., b. 23, fasc. 499 Degli Atti Errico.
254 ACS, MI, RSI, Gab., b. 23, fasc. 499 Degli Atti Errico, 9 ottobre 1934.
255 Siamo, comunque, nell’alveo di un dissenso di ceti medi: cfr. SIMONA COLARIZI, L’opinione degli italiani sotto il regime 1929-1943, Roma-Bari, Laterza, 2009 <2, pp. 274-282.
256 Cfr. ACS, MI, RSI, Gab., b. 23, fasc. 499 Degli Atti Errico, in particolare l’apocrifo “Trema il Carso”. Riproduzione di guerra di E. Degli Atti, «L’Eco della Riviera», s.d. (ovviamente).
257 Cfr. ACS, MI, RSI, Gab., b. 23, fasc. 499 Degli Atti Errico, in particolare «l’invocazione “Fuggir vogl’io”, espressione purissima di un'arte limpida e squisitamente italiana, traboccante d'insuperabile sentimento nostalgico, tanto soave quanto suggestivamente accorata, intramezzata dalla riposante dolcezza della fluida vena del “Prall”», allegata ad articolo apocrifo (da qui lo stralcio) del «Corriere della sera». Da qui anche la partitura di seguito riprodotta.

Carlo Monaco, "Dei doveri che il pubblico ufficio mi impone". Burocrazie statali e ceti di governo nel Veneto dal fascismo al dopoguerra, Tesi di Dottorato, Università Ca’ Foscari - Venezia, 2008

mercoledì 12 febbraio 2025

Una simpatica signora da Sanremo a...

Sanremo (IM): una vista sulla città dal molo lungo del porto vecchio

[...] Vi invito a leggere un raccontino infantile, ancor più infantile dell'età mia e dei tempi, che è dei primi di gennaio 1964. Sono [Chiara Salvini] rimasta in Brasile fino a marzo, proprio quando è caduto il governo riformista di sinistra di Goulart, durato circa tre-quattro mesi, e c'è stato il colpo di stato dei militari che, dal 1964, hanno governato il Brasile fino al 1985.
Nel frattempo, nel '77 di gennaio ero tornata in Brasile per convolare a giuste nozze con il famoso M. [Mario Bardelli] che, per inciso, l'ultima cosa che aveva voglia di fare era infatti… "convolare"… Siamo tornati in Italia nell''86 quando c'erano già state le prime elezioni democratiche dopo la dittatura. Come saprete non era la prima del Brasile: una lunga dittatura di tipo fascista, simile a quella di Peròn in Argentina, è stata quella di Getùlio Vargas, al governo dagli anni trenta al '45, e poi di nuovo dal '51 al '54 (tutto molto grosso modo).
05-12-64 - dal diario - ero in Italia a Milano
"Io mi ricordo di Rio come di nessun'altra città. Ne ho un ricordo dolcissimo quasi l'avessi potuta assaporare intimamente….
E' nel ricordo per me un che di azzurro e bianco visto attraverso la salsedine che si alza dal mare…Rio de Janeiro, Corcovado, Pao de açùcar…sono suoni incantati come io là fossi stata - e ricordo perfettamente che non era così - profondamente radiosamente serena.
Non so se avrò mai un ricordo più bello dell'Urca (quartiere un tempo abitato da M.), quel ragazzo che nella notte ha spiegato come andarci, le acque nere del mare, il giro della sabbia, i due poliziotti, il quartiere abbandonato, quel gruppo di persone incontrate attraversando la piazzetta, la scritta della via che non si leggeva, la casa, il cane che abbaiava, quel signore apparso alla finestra e M. quella sera, soprattutto M.
Per lui era una ricerca dei tempi perduti... che affannosamente non si lasciavano trovare nonostante tanta ostinazione…quasi si trattasse di ripescare nella memoria un mito…  E tutto per me  aveva un sapore  solo perché un poco ho potuto partecipare a quello che lui provava ritrovando quel posto della sua infanzia quasi cancellato; e così è stato altre volte come alla lagoa: un ricordo d'argento, di luce, di acque increspate sotto una pioggia leggera, subito cessata. Questi ricordi così intimi e cari li devo a M."
Chiara, nota di oggi, 31 dicembre 2011, ore 23: 31
"Nel paese della retorica, il nostro, già dai primi Novecento - retorica che viene dagli studi classici poi ingagliarditasi al massimo soprattutto con il lungo periodo del fascismo (programmi delle scuole, modo di parlare dei governanti e degli intellettuali… cultura arretrata…)…
dicevo, in queste paese benedetto dalle belle lettere dai tempi de' Roma, tutti noi siamo nati scrittori, ed io, Chiara, "modestamente lo nacqui".
E' pertanto, e di conseguenza, che mi esibisco ai vostri occhi togliendo bende (sono proprio bende, non veli) che potrebbero celarvi qualche lato oscuro di me!
A me stessa, il mio lato più oscuro a tutt'oggi è la mia ingenuità. Così la chiamo, ma è ignoranza.
Ma non è stasera che vi racconterò quella famosa ingenuità che considero io stessa strabiliante:
l'ultima notte che passai in Brasile, in marzo prima di ripartire per l'Italia, M. nelle mie braccia, stesi su un divano di mia zia assai duro, semplici baci fino al mattino, e una sua mano come caduta a caso sul mio seno sinistro…
Non ci crederete, ma ho passato anni a chiedermi: "Ma la mano gli sarà caduta lì per caso…oppure ha avuto il pensiero di sfiorarmi il seno?"
Dubbio che oggi, ormai "decentemente smaliziata", come potete immaginare data l'età, mi pare anche legittimo dal momento che questa famosa mano lubrica è rimasta immobile per cinque- sei ore in quel preciso punto della stoffa, che era shantung bianco…quasi non respirasse (la mano, intendo)…
cosa dite voi?…paralizzata? E' una possibilità: dovrò studiarci altri cinque-sei anni, se basteranno!
Quattro risposte
[...] roberto [Roberto Rododendro ] scrive:    
10 Gennaio 2025 alle 23:28
Ch, Forse è solo con questo "diario o racconto o note" che raccapezzo qualcosa di te dai primi anni sessanta se non un po' prima (io sono sparito da Sanremo nel 59 forse, nel sessanta, forse a Roma?). Poche note ma con questo ci aggiungo un buon seguito.
Avventurosa la ragazzina: anni 19 a Rio con un UOMO anche se M. che ora conosciamo, quasi bene.
Beh mo' ti lascio perchè arrivo sempre tardi qui al pc e ho sonno [...]
Chiara Salvini, Ripubblico un post del 2011, agli inizi degli inizi di questo blog, uscito fuori da solo oggi, che mi è sembrato carino... nonostante io paia una "belinata" (e forse lo sono, direbbe mia figlia Fran) come si dice qui nella mia Liguria di Ponente, Nel delirio non ero mai sola, 10 gennaio 2025

martedì 4 febbraio 2025

Roverelle, carpini, robinie sembrano stranieri

Prelà (IM). Foto: Silvana Maccario

Sono stata bene a Prelà, luogo che vedevo per la prima volta.
 

Prelà (IM). Foto: Silvana Maccario

I mulini silenziosi nascosti dietro muri di pietra, gli archi dei ponti con le ombre e le sagome di asini carichi, che sono transitati per centinaia di anni; le pietre, tutte quelle pietre che entrano sempre in contatto con le mie emozioni più profonde.
 

Prelà (IM). Foto: Silvana Maccario

La musica fragorosa dell’acqua che ti segue, ti affianca, ti sorpassa, ti racconta, con affanno, quasi per timore di non essere ascoltata, e allora cattura la luce e si fa catturare dagli sguardi.
Luoghi liguri eppure così diversi dai miei territori.
Non diversi, solo sconosciuti.
Lo sguardo non incontra altro che ulivi.
Roverelle, carpini, robinie sembrano stranieri, che faticano non poco per trovarsi uno spazio.
Pareti di ulivi a volte perpendicolari.
Chiese sperdute, una multitudine, come sentinelle sulle colline, quasi a controllare le valli sottostanti.
Gli abitanti come le case, come le chiese e gli ulivi, anelanti alla luce.
Una valle come un forziere che racchiude e protegge anziché pietre preziose, piccoli agglomerati attorno ad un campanile, come pecore attorno al pastore.
 

Prelà (IM). Foto: Silvana Maccario

Ovunque guardi scopri manufatti di pietra nei luoghi più difficili da raggiungere.
Aggrappati come capre in salita, in precario equilibrio.
Sembra un desiderio infinito di raggiungere la cima per godere del sole che così difficilmente raggiunge quello che sta in basso.
Ero con Irene.
La gioia di essere immersa nel silenzio, nell’argento, nelle pietre affabulatrici, da leggere come libri, nelle sinfonie dell’acqua, ha ridato una forza che temevo perduta alle mie gambe.
Ho pensato che doveva essere difficile staccarsi da quei luoghi.
A casa invece sono stata investita, ripercorrendoli con il pensiero, da un grumo di malinconia, tristezza, un fastidio di ricordi amari, sconosciuti, ma tangibili. Da cui fuggire, altrove.
Avevo letto che la bellezza è un mondo tradito.
Che si può trovare solo dove gli uomini la hanno dimenticata.
E forse la bellezza sta nei miei occhi che sanno cercarla.
Silvana Maccario, I mulini silenziosi, Storia minuta, 28 febbraio 2019