Nicola Orengo in una operetta ormai introvabile (Guida dell’estrema Liguria Occidentale), scrisse ormai più di 50 anni fa: "Il piano Vallecrosino è una specie di Valle di Tanipe, ricco di selve, di ulivi, e di deliziosi boschetti di aranci e di arbusti di tutte le varieta; un vero Eldorado, un Eden di Sori d’ogni maniera: rose, violette, garofani e narcisi che profumano l’aere di mille soavi fragranze" (p. 128).
A prescindere dai toni romantici, l’Orengo diede una notazione esatta: nei primi decenni del 1900 a Vallecrosia (IM), e contestualmente, seppur in modo meno clamoroso, nei borghi viciniori, l’attività floricola costituì un rilevante caso economico cui finirono per fare da corrispettivo i mercati dei fiori di Ventimiglia e della stessa Vallecrosia.
Uno dei patriarchi dell’attività nuova in quest’ultimo borgo fu Antonio Diana che fece curare a fiori (per lo più garofani) le sue proprietà nell’area di San Rocco e ad oriente del Verbone.
Per la floricoltura nella valle del Verbone ebbe un ruolo positivo proprio un originario di Vallecrosia, Mario Aprosio, nato a Genova il 17 febbraio 1880 da una famiglia là trasferitasi.
La nostalgia riportò il padre, distintosi nella seconda guerra di indipendenza, a Vallecrosia; nostalgia e pragmatismo riportarono in Liguria occidentale anche quel Mario Aprosio che intensificò i suoi impegni nel settore floricolo. Rivestì un’infinità di cariche e fu onorato con una tante titolature pubbliche, ma si rivelò utile, per l’economia del Ponente ligustico, quale presidente (per 15 anni) della Società esportatori di fiori e particolarmente quale “membro della Commissione Nazionale per lo sviluppo della Floricoltura e dell’Industria dei Profumi” (ORENGO cit., p. 132).
La sua attività ebbero una precisa finalità pubblica e pare fuor di dubbio che l’esplosione della coltura di fiori commerciabili in tutto il “ventimigliese” sia da collegare col suo intelligente dinamismo.
Vallecrosia, San Biagio della Cima e Soldano si trovarono ancora una volta incastrate su un identico vettore socio-economico, anzi, contestualmente a quella dei fiori, i tre borghi attuarono anche la scelta dei PROFUMI .
La nostalgia riportò il padre, distintosi nella seconda guerra di indipendenza, a Vallecrosia; nostalgia e pragmatismo riportarono in Liguria occidentale anche quel Mario Aprosio che intensificò i suoi impegni nel settore floricolo. Rivestì un’infinità di cariche e fu onorato con una tante titolature pubbliche, ma si rivelò utile, per l’economia del Ponente ligustico, quale presidente (per 15 anni) della Società esportatori di fiori e particolarmente quale “membro della Commissione Nazionale per lo sviluppo della Floricoltura e dell’Industria dei Profumi” (ORENGO cit., p. 132).
La sua attività ebbero una precisa finalità pubblica e pare fuor di dubbio che l’esplosione della coltura di fiori commerciabili in tutto il “ventimigliese” sia da collegare col suo intelligente dinamismo.
Vallecrosia, San Biagio della Cima e Soldano si trovarono ancora una volta incastrate su un identico vettore socio-economico, anzi, contestualmente a quella dei fiori, i tre borghi attuarono anche la scelta dei PROFUMI .
Il terminale della coltura di piante da profumo fu in verità locato nella zona logisticamente più comoda della vallata intiera: i Piani di Vallecrosia.
Nei primi decenni di questo secolo lo Stabilimento Italo-Francese - Profumi e Prodotti Chimici diretto dal Prof. Guido Rovesti e dal Chimico Dott. Paolo Rovesti, si presentava, stante la documentazione dell’ Orengo (p. 128), quale un’efficiente struttura destinata ad un brillante futuro purtroppo poi distrutto da mutate scelte economiche.
Nelle sale di distillazione si provvedeva a lavorazioni intensive ed i prodotti risultarono costantemente di buon livello e universalmente riconosciuti: le piante più frequentemente lavorate, e in abbondanza provenienti dai borghi lambiti dal Verbone, appartenevano in genere alla flora locale ed avevano alle loro spalle un’archeologia fatta delle diverse manipolazioni (V. GUIDO DONTE - G. GARIBBO - P. STACCHINI, La provincia di Imperia, Imperia, 1934, pp. 42-5).
I fiori d’arancio amaro, le rose, il gelsomino, le violette e la lavanda erano in particolare le qualità botaniche del programma industriale di distillazione: e ciò per tanti aspetti non fu casuale, in particolare la lavanda, pianta simbolo della ligusticità, rientrò per secoli, attraverso i suoi poliedrici usi nella cultura domestica e nella spiritualità delle genti della Val Verbone (come anche di tutta la Liguria pur attraverso diverse fruizioni).
Nelle sale di distillazione si provvedeva a lavorazioni intensive ed i prodotti risultarono costantemente di buon livello e universalmente riconosciuti: le piante più frequentemente lavorate, e in abbondanza provenienti dai borghi lambiti dal Verbone, appartenevano in genere alla flora locale ed avevano alle loro spalle un’archeologia fatta delle diverse manipolazioni (V. GUIDO DONTE - G. GARIBBO - P. STACCHINI, La provincia di Imperia, Imperia, 1934, pp. 42-5).
I fiori d’arancio amaro, le rose, il gelsomino, le violette e la lavanda erano in particolare le qualità botaniche del programma industriale di distillazione: e ciò per tanti aspetti non fu casuale, in particolare la lavanda, pianta simbolo della ligusticità, rientrò per secoli, attraverso i suoi poliedrici usi nella cultura domestica e nella spiritualità delle genti della Val Verbone (come anche di tutta la Liguria pur attraverso diverse fruizioni).
Qualcuno potrebbe dire che l’industria dei profumi è anche espressione di rottura coi termini della “vita rustica”, uno iato tra presente e passato; ma ciò non è vero, nella sua espressione macroscopica e scientifica essa fu il risultato estremo di antiche intuizioni contadine che fecero di un’empirica conoscenza del mondo vegetale uno strumento interventista contro i mali dell’esistenza: l’attività legata ai profumi e quindi a un certo anche rozzo edonismo, la distillazione, la fitoterapia furono un patrimonio ligustico vetustissimo (D. MANTA - D. SEMOLLI, Le erbe nostre amiche, Ginevra, 1976, I-III).