Lo sbandamento
postbellico si ricompone notevolmente in Camera con le elezioni del dicembre 1921 che selezionano un “gruppo di governo” di grande autorevolezza: Mario Pellegrino Aprosio esportatore floricolo vallecrosino, Sebastiano Acquarone commerciante portorino-onegliese, Agostino Conio commerciante taggiasco, Redentore Rodi industriale sanremese, Carlo Nada industriale sanremese, Giovanni Boccone commerciante sanremese, Costantino Diana spedizioniere sanremese, Vincenzo Amoretti industriale onegliese, Ernesto Baggioli commerciante sanremese, Pietro Isnardi industriale onegliese, Giovanni Dadone albergatore sanremese, Giuseppe Vismar albergatore sanremese, Giacomo Agnesi industriale onegliese, Eugenio Rebagliati chimico-farmacista portorino, Pio Daneri capitano marittimo portorino.
La consultazione si decide nelle sezioni d’
Oneglia, di San Remo e Ventimiglia; Porto Maurizio, Bordighera e Taggia appaiono in secondo piano e, soprattutto, fa scalpore il modesto esito di Pietro Salvo grande oleario e candidato portorino di punta che non riesce a oltrepassare i 630 voti, segno, per Porto Maurizio d’una realtà economica in netto declino.
La nomina dei vertici, in effetti, premia (con la presidenza all’Aprosio e la vicepresidenza all’Amoretti) settori territoriali e provenienze aziendali legate alla nuova mappa delle rilevanze economiche provinciali quale si era venuta definendo nei primi quattro lustri del Novecento.
A queste due personalità, egualmente rappresentative dei tempi attraversati, toccheranno destini diversi dopo l’adesione al nuovo regime: l’uno intraprenderà una carriera essenzialmente politica rivestendo il commissariato straordinario e poi il podestariato in una città importante come Bordighera; all’altro toccherà il ruolo delicatissimo, sia per durata che per funzionalità specifica, di giunzione “personale” tra potere politico sempre più esorbitante e potere economico sempre più subalterno nel nuovo corso nazionale, come pure locale.
È noto come l’economia abbia subito più di altri settori, fin dall’inizio, l’aggressività del
Regime volto ad una articolazione sempre più rigida e autoritaria, nel tentativo di arrivare, attraverso l’organizzazione corporativa, al completo controllo dei sistemi di produzione.
In sede locale, il periodo 1922-23 è politicamente tra i più animati in quanto, alla nascita e alla prima affermazione delle strutture fasciste, si sovrappone la storica contrapposizione entro area sanremasca ed area onegliese-portorina, con conseguente immediato trasferimento (ed ingigantimento) delle tensioni, come indicano le dimissioni di Aprosio dalla presidenza della Camera rassegnate in data 17 febbraio 1923.
E, ad alterare definitivamente equilibri consolidati, interverrà, nell’ottobre successivo, il Regio Decreto di fondazione di Imperia che, pure, in Camera si è sostenuto apertamente.
Era da pochi mesi approdato alla presidenza Vincenzo Amoretti, e si tratterà dell’ultimo Presidente eletto (il 24 marzo 1924) da un Consiglio camerale temporaneamente in rotta di collisione col fascismo locale (che l’aveva accusato “di scarso patriottismo e di poco attaccamento al Governo Nazionale”) quanto dilaniato dalla divisione sulle rappresentanze specifiche spettanti alle singole aree d’espressione (che porterà alla bocciatura di una vicepresidenza Rodi in favore di Agostino Conio), quando il R.D.L. 8 maggio 1924 n. 750, più noto come Legge Corbino, viene a sconvolgere su scala nazionale il mondo delle Camere di Commercio chiamate ora, in base ai dettami del più rigido dirigismo economico, a mero ruolo di organismi “consultivi dello Stato e delle amministrazioni locali in materie riflettenti l’industria ed i commerci”, accentuando fino all’estremo “ l’ingerenza governativa nella loro gestione” <47.
Bene ha rilevato Remo Fricano sottolineando come “in aderenza all’accentramento statale, caratteristica tipica dell’ordinamento fascista dello Stato, le nuove istituzioni furono legate in modo indissolubile al Governo con il conferimento della presidenza camerale ai Prefetti” e la sostituzione del “criterio elettivo”, nella formazione dell’organo collegiale, con quello “della nomina su designazione da parte dell’associazione sindacale di categoria” <48.
Con la successiva Legge Belluzzo n. 731/18 aprile 1926 si perviene alla soppressione delle Camere di Commercio e alla loro sostituzione con i Consigli Provinciali dell’Economia in cui confluiscono e si fondono anche altri organismi quali Comizi Agrari, Comitati Forestali, Consigli Agrari Provinciali e Commissioni Provinciali di Agricoltura <49. All’esigenza della “globalità degli interessi locali” si sacrifica tuttavia “una travagliata ricerca del ruolo che gli organismi camerali avrebbero dovuto svolgere nell’ambito di una nuova organizzazione della pubblica amministrazione” <50.
A sottolineare anche fisicamente il mutamento strutturale, politico, organizzativo subito dall’Ente nel corso del quinquennio 1923-28 si inserisce l’importante vicenda della realizzazione di una nuova sede camerale autonoma di cui da tempo si avvertiva necessità crescente ma che spente condizioni economiche non avevano, sino allora, consentito. A rendere urgente la decisione finale intervenivano due ordini di motivi: i pessimi rapporti col nuovo proprietario dei locali occupati dal 1902 <51 e voci sempre più concrete relative alla fondazione della nuova città di Imperia, tali entrambi da suggerire uno spostamento verso il presunto nuovo baricentro urbano con accesso diretto alla costituenda “zona direzionale” cosí come la realizzazione di un edificio autonomo in grado di attestare, anche formalmente, il peso e il significato politico-economico dell’Ente.
È in data 2 giugno 1924, quindi sei mesi dopo la nascita ufficiale di Imperia, che il Consiglio camerale, sebbene sull’orlo dello scioglimento, dà mandato di esperire pratiche per l’opzione “su un terreno in Porto Maurizio da adibirsi per la costruzione delle sede camerale”. L’acquisto di un appezzamento di 1.400 mq. in zona San Lazzaro viene deciso per 60 mila lire l’8 luglio successivo e mandato prontamente ad effetto convenendo il negozio con le Signore Conio e Luzzatti. L’area prescelta si affacciava su via Genova, in corrispondenza del giardino dell’ex Riviera Palace Hotel nel quale dal 1919 si erano trasferite la Prefettura e la Deputazione Provinciale, fornendo dunque le migliori garanzie di adeguatezza e di centralità. Seguono, a tempi ravvicinati, l’incarico progettuale conferito all’ing. Agostino Ghiglione <52 e l’appalto dei lavori all’impresa edile Giordano Regolo di Oneglia. Alla fine del 1925 l’opera è a buon punto e si può provvedere ad aggiudicare gli incarichi per la realizzazione dell’impianto di “termosifone” come di quello telefonico. A febbraio del 1926 interviene una variante al progetto originale pretesa dal Commissario Amoretti onde aumentare la capienza dell’edificio e migliorarne la funzionalità. Tengono dietro pagamenti a fornitori diversi per infissi, boiseries e mobili d’ufficio: gli stucchi interni sono affidati a Giacomo Ventimiglia, le decorazioni di pareti e soffitti al pittore Francesco Milano. Finalmente, il 7 ottobre 1926, ha luogo il collaudo del “Palazzo Camerale” (che fra poco diverrà il “Palazzo del Consiglio dell’Economia”) assegnato, con decisione del 30 luglio precedente, all’ing. Lodovico Sicardi. Si pone in opera una straordinaria cancellata in ferro battuto di Mazzucotelli, poi eliminata nel 1937, e si attende una buona occasione per l’inaugurazione cominciando, non senza difficoltà, a liquidare le spese, ammontanti, in totale, a 543.202,93 lire. Si provvede poi all’arredamento interno facendo fronte via via alle necessità più diverse: dall’acquisto di “un ciclostyle tipo Rotafix” ad un pastello rappresentante “Sua Maestà il Re” opera del prof. Augusto Tivoli, dall’impianto elettrico a due “fasci littorî” da apporre sulle colonne dell’ambulacro in facciata, da una “macchina per scrivere Underwood” alle sedie per Sala Consiglio. Si pensa perfino ad adibire una delle aulette al primo piano a biblioteca specializzata da aprire al pubblico.
È in questa sede che prendono posto gli organi direttivi dei nuovi istituti che soppiantano, persino nel nome, le vecchie Camere di Commercio: ovvero il Consiglio Provinciale dell’Economia, istituito con legge 18 aprile 1926 n. 731, e l’Ufficio Provinciale dell’Economia, istituito con legge 16 giugno 1927 n. 1071. Localmente il Consiglio (nominato con Decreto Prefettizio del 17 aprile 1928) è presieduto dal Prefetto Antonio Farina coadiuvato dal Vice prof. Vincenzo Amoretti e si compone di una sezione agricola-forestale (Carlo Carocci Buzi Presidente, Carlo Bensa, Vittorio Gandolfi, Michele Scofferi, Eugenio Viale, Ernesto Parodi), una industriale (Eugenio Novaro Presidente, Umberto Besso, Giuseppe Guidi, Domenico Renzetti, Luigi Taverna, Gio Batta Coriasco, Michele Zambellini), una commerciale (Carlo Daneri Presidente, Mario Aprosio, Giacomo Bregliano, Giacomo Bresciano, Giuseppe Gastone, Lorenzo Guglielmi), più nove membri esterni consultivi <53.
Il tutto, in concomitanza o nell’immediato prosieguo della più grave crisi finanziaria che cronache rivierasche ricordino (1927-29) con il tristemente noto
crack della Banca Garibaldi d’Imperia e molti altri istituti di credito ovunque in difficoltà, in amministrazione controllata, in liquidazione o addirittura falliti <54: una congiuntura che gela sul nascere tutte le speranze popolarmente concepite un quinquennio avanti. E del resto, per restare alla realtà imperiese, si era ottenuta la “Città unica” ma si erano persi il Tribunale, il Consorzio Portuale e tutti i finanziamenti dedicati agli scali marittimi.
L’insediamento del nuovo organismo consiliare (avvenuto il 17 giugno 1928) e la possibilità di disporre di una sede prestigiosa razionalmente concepita, determina sotto il profilo tecnico un rifiorire dell’Ente, che ristruttura servizi ed uffici in base a nuovi criteri operativi. L’assunzione del dottor Giovanni Garibbo in particolare, avvenuta il 17 novembre successivo, determina in breve un innalzamento dei livelli qualitativi e produttivi nel fondamentale settore della statistica affidato finalmente ad un esperto di specifica formazione accademica.
Paradossalmente, in epoca di accentramento “rivoluzionario” che sconfina spesso in arbitrii e personalismi, è la vecchia guardia a gestire la metamorfosi burocratica conseguente grazie al buonsenso e alla moderazione del Vicepresidente Amoretti e del Segretario Ramone, che restano sostanzialmente uomini di ceppo liberale adeguatisi a nuove parole d’ordine imposte dall’alto.
È in questa particolare situazione, quando risulta evidente a tutti l’incipiente eppur già netto distacco dal passato, che ci si affida alla cultura onde accompagnare il transito ed è scelta fortemente voluta dall’Amoretti quella di consacrare, con una grande pubblicazione, lo stato presente del sistema industriale e commerciale della Provincia, ma più ancora l’immagine di un territorio intatto che è esso stesso risorsa decisiva.
Ne nascerà una iniziativa singolare, deliberata fin dal 14 gennaio 1928 ma destinata ad elongarsi nel tempo fino al 1934 <55, affidata a tre esperti: Paolo Stacchini tecnico del settore turistico-floreale e pubblicista, Vincenzo Guido Donte insegnante e letterato, Giovanni Garibbo funzionario della Camera sopra ricordato. Si tratta in realtà di un lavoro di gruppo assai più ampio, aperto ad apporti eterogenei, come dimostra la tavola delle collaborazioni, e quindi assolutamente significativo dell’epoca e della sua temperie: da interpretarsi non tanto come ovvio tributo di piaggeria verso un Regime in ascesa, quanto come autocelebrazione postuma della classe politico-economica liberale ormai giunta alla fine del ciclo. Il proseguire dei lavori di redazione dell’opera (cui non manca nei primi anni ’30 una significativa quanto vana concorrenza da parte di analogo progetto del Federale Catello Spina) aumenterà poi la componente retorico-encomiastica del risultato senza togliere tuttavia alla “creatura” dell’Amoretti freschezza e onestà mentale d’una testimonianza a futura memoria.
La vita dell’Ente si assesta nel frattempo, non senza problematiche di convivenza burocratica con l’Ufficio Provinciale dell’Economia, su un quasi esornativo ruolo di marcia che registra, per il Consiglio, cinque riunioni nel 1928, quattro nel 1929, tre nel 1930 e altrettante nel 1931. Maggiore attività si registra nelle singole sezioni specializzate, ma il ruolo decisionale si è spostato totalmente nell’azione dei Prefetti “pro tempore” che la legge ha posto a capo del Consiglio: tre in un quinquennio (Antonio Farina 1927-29, Enzo Ferrari 1929-30, Bernardo Borrelli 1930-32) e l’elemento di continuità pertiene ancora, pur su piani diversi, ad Amoretti e a Ramone.
Ma ulteriori innovazioni sono in arrivo al fine di inserire gli organismi prodotti dalla riforma del 1926-27, in via definitiva, nell’ organicità di un disegno corporativo: innovazioni poste in essere attraverso la legge 18 giugno 1931 n. 875. Cosí, anche a Imperia, dopo un’ultima riunione dell’organismo precedente, il 7 dicembre 1932 “inizia la sua vita il nuovo Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa” pletorico collettivo formato di quarantacinque membri a rappresentare, si ritiene, tutto il mondo produttivo provinciale in senso rigorosamente “intercategoriale”. Le sezioni sono ancora tre: agricola-forestale (Presidente Domenico Aicardi e Vice Enrico Arrigo), industriale (Presidente Lorenzo Arrigo, Vice Domenico Renzetti), commerciale-marittima (Presidente Giacomo Bregliano e Vice Valentino Gazzani). Verrà rinnovato nell’agosto del ’37 con designazione, alla prima, del Presidente Francesco Borelli e dei Vice Gianni Fabbis e Isidoro Dominici; alla seconda del Presidente Giuseppe Brajda e dei Vice Pietro Salvo e Carlo Castiglia; alla terza del Presidente Lorenzo Berio e del Vice Domenico Renzetti, con ampia integrazione di membri consultivi esterni.
Si era frattanto dimesso, nel dicembre 1935, il Segretario (da un biennio riqualificato Direttore essendo a tutti gli effetti un funzionario statale e dipendendo da lui l’Ufficio Provinciale dell’Economia Corporativa) avv. Emanuele Ramone, che con i suoi ventisette anni di servizio, resta ancora oggi di gran lunga il funzionario più longevo del genere e quello cui era toccato registrare gli sbalzi di assetto più evidenti. Assunto nel 1908, ai tempi di Maglione, aveva visto scorrere nelle sue verbalizzazioni ben cinque Presidenti, un Commissario e altri cinque Prefetti-Presidenti, con uno straordinario variare al contorno di condizioni economiche, sociali e politiche: dal fulgore della “Belle Epoque” agli anni cupi della guerra, dall’infuocato periodo postbellico all’ascesa e all’affermazione del fascismo, diventando egli stesso, prima e come Amoretti, simbolo di un’istituzione sempre più calata nel cuore degli eventi e della realtà ergonomica dell’estremo ponente ligure.
Ma se al tempo della sua “giubilazione”, dopo essersi ripresa dai postumi della crisi mondiale del “Black Thursday”, l’economia locale torna su discreti livelli di ripresa e (specie nella seconda metà degli anni ’30) addirittura su trend favorevoli, al traino di esportazioni olearie sempre più robuste con turismo e floricoltura in ascesa, gli investimenti governativi pur tonici nel campo delle opere pubbliche restano proporzionati ad un’area indiscutibilmente periferica più che mai bisognosa d’infrastrutture e sovvenzioni.
Sono gli anni non solo dei Prefetti-Presidenti via via più debordanti nella gestione dell’economia (Enrico Degli Atti 1933-39, Sergio Dompieri 1939-41) ma anche dei Direttori-funzionari di Stato, per nulla o quasi legati alla realtà umana ed economica locale (Rodolfo Temin 1936-38, Mario Giustetto 1939-41).
Anche una bandiera come Giovanni Garibbo smette di sventolare poiché trasferito nel 1940 al Consiglio Provinciale delle Corporazioni di Pavia ove le sue capacità ricevono, forse, maggior riconoscimento.
A troncare il lento moto di risalita intervengono noti fatti internazionali con lo scoppio, nell’estate 1939, del conflitto per Danzica che diverrà ben presto una seconda Guerra Mondiale e l’entrata in campo dell’Italia, con l’attacco alla Francia, del giugno 1940: scaraventato nell’immediata retrovia del fronte, il ponente ligure entra in una crisi irreversibile destinata a durare un quinquennio. Il Consiglio dell’Economia Corporativa, ma soprattutto la categoria imprenditoriale che gli sottende, valuta in tutta la sua gravità, anche senza poterlo esprimere, la nuova situazione e si adegua con ulteriori quanto involontarie restrizioni funzionali di fatto.
Alle dimissioni del prof. Vincenzo Amoretti (che rientrava a vita privata dopo sedici anni ininterrotti alla guida d’un ceto, non solo perché settantaquatrenne, ma anche perché colpito negli interessi della sua azienda, che in Provenza aveva, per inveterata tradizione, effettuato importanti investimenti) rassegnate nel gennaio 1940, con nomina in sua vece alla vice presidenza del dott. Francesco Amirante, il Consiglio non vien più riunito nella sua forma plenaria ed anche il lavoro delle Commissioni si riduce sempre più, sovrappassato da gruppi di lavoro istituiti alla bisogna dal Prefetto-Presidente. Si riunisce, talvolta, il Comitato di Presidenza del Consiglio, ma con presenza costante (e vincolante) del Segretario Federale del Partito Fascista.
Nel maggio 1943, poco prima del crollo
dell’8 settembre, la composizione del Consiglio risulta alquanto variata nonostante la sua scarsa operatività. Sotto la presidenza del Prefetto Tallarigo e la vicepresidenza Amirante, nella Sezione Industriale il leader risulta Roberto Novaro con Riccardo Zanaboni Vice; nella Sezione Commerciale-Marittima agiscono Giuseppe Brajda Presidente e Bruno Donati Vice; in quella Agricola-Forestale Luigi Pinacoli (che ha preso il posto del
richiamato Borelli) e Giovanni Marinoni. Nel biennio della Repubblica Sociale il Consiglio non viene ricostituito e il ruolo esecutivo è demandato interamente ai Prefetti-Presidenti (gen. Francesco Bellini 1943-44, rag. Ermanno Di Marsciano 1944-45) coadiuvati dai Direttori (dott. Valentino Malrisciano 1942 e dott. Roberto Cavalieri 1943-44), né manca il caso d’uno di questi ultimi, il dott. Pier Giovanni Pittaluga, allontanato per motivi politici nell’estate 1944 e sostituito d’ufficio dal rag. Gio Battista Romano (1944-45). I tempi sommamente critici hanno condotto ciò che era stato l’organismo camerale ad un monologo autoritario di Prefetti-Presidenti che solo la vicepresidenza Amirante (continuata fino agli ultimi giorni del Regime) mantiene legato d’esilissimo filo a categorie imprenditoriali spente e impotenti di fronte a un’economia in caduta libera. Il contenuto delle ultime determinazioni prefettizie somiglia sempre più all’agonia di un organismo di pura sussistenza.
I bombardamenti aerei alleati, acuitisi dall’autunno 1943, hanno ridotto a un cumulo di macerie il patrimonio industriale rivierasco; le leve e i richiami al fronte hanno messo in ginocchio l’agricoltura; i porti hanno smesso di funzionare; strade e ferrovie sono interrotte; il rarefarsi di materie prime, fonti energetiche, generi di prima necessità hanno causato il blocco della catena produttiva e generato crisi alimentari sempre più marcate e diffuse tra le popolazioni civili.
Questa, la situazione al 25 aprile 1945.