giovedì 19 giugno 2025

Il libro "Piccolo bestiario tascabile": a Sanremo mostra dei disegni, lettura dei testi, dialogo con l'autore


 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

PICCOLO BESTIARIO TASCABILE 

di MARCO INNOCENTI

 

venerdì 20 giugno 2025 - ore 17

 

SANREMO, Sala Punto d'incontro Coop - Corso Matuzia, 113

 

Nella sala sarà allestita un'esposizione delle illustrazioni che Silvana Maccario ha realizzato per il libro.

Dialoga con l'autore: Fabio Barricalla

Lettura dei testi: Gianfranco De Mori.

 

Ingresso libero 

 

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Il Regesto, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di Marco Innocenti), Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco - per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini 
 

lunedì 16 giugno 2025

Arriviamo così alla conosciutissima cittadina di Bordighera

Bordighera (IM): una vista su Ospedaletti

7a TAPPA - venerdì 29 marzo 2019
SANREMO - VENTIMIGLIA - Km. 17
Partiti h.7.30 - Arrivati h.12.20
Fermati a: OSPEDALETTI 15' - BORDIGHERA 20'
Ultimo giorno di cammino, oggi terminiamo il nostro percorso a Ventimiglia, la tappa sarà più corta rispetto alle precedenti. Il meteo é ancora buono, con un cielo serenissimo ed un venticello che non infastidisce più di tanto. Alle 7.30 lasciamo il centro di Sanremo dove siamo alloggiati, prendiamo la ciclopedonale che corre vicino al mare da una parte e all'Aurelia dall'altra; il tratto é piacevole con la città che si allunga con le sue belle costruzioni ed il mare leggermente mosso che ci accompagna. Imbocchiamo poi una lunghissima galleria, larga circa otto metri e lunga 1,8 chilometri, siamo sempre sul tracciato della vecchia ferrovia dismessa, é bene illuminata ed ogni tanto passa qualche ciclista amatoriale, mentre a piedi non incontriamo nessuno. Pensiamo sia la galleria del ciclismo per eccellenza, forse passerà di qui la Milano-Sanremo prima della passerella finale sul lungomare, in quanto ogni 25-30 metri troviamo pannelli a mezzaluna sulla volta della galleria con foto e scritte inerenti al ciclismo ed ai suoi campioni e sul pavimento corte frasi o pensieri scritte dai tifosi tutte in colore rosa. Usciti dopo quasi mezz'ora dalla galleria, vediamo Ospedaletti, anche se ci vuole un buon momento per arrivarci, ed alle 9.00 ci fermiamo sul suo deserto ancorché bello e semplice lungomare. 
[..] Alle 9.15 prendiamo l'Aurelia in quanto qui [ad Ospedaletti) termina la ciclopedonale e camminiamo poco sopra il mare, passiamo non lontano dal Monte Caggio, dove su un territorio di circa quattordici chilometri quadrati si trova il conosciuto e non riconosciuto Principato di Seborga.
La camminata é piacevole, il mare leggermente mosso e spumeggiante, sotto di noi non ci sono spiagge ma solo scogli, arriviamo così alle 10.50 alla conosciutissima cittadina di Bordighera. Il primo tratto di lungomare é poco attraente, mentre quello dopo la stazione ferroviaria, (anche qui la ferrovia corre davanti al mare) é più consono alla fama della località balneare, forse é il lungomare Argentina, inaugurato da Evita Peron. Il centro storico di trova a Bordighera alta ricca di ville e parchi, località prediletta dagli inglesi a tal punto che all'inizio del XX° secolo, superarono come numero gli stessi abitanti del posto. Ci sono le Chiese di Santa Maria, di San Bartolomeo degli Armeni del XV° secolo e quella sul mare di San Ampelio dell'XI° secolo.
C'é il Museo Bicknell, calchi di pitture preistoriche della valle delle meraviglie nelle Alpi Marittime. Importante il Municipio progettato da Charles Garnier, lo stesso che progettò l'Opéra di Parigi ed il Casinò di Montecarlo, dove si svolge la più importante rassegna internazionale degli artisti di fumetti e vignette satiriche. 
Alle 11.10 torniamo a percorrere l'ultimo tratto di questo cammino del Ponente, ormai sono pochi i chilometri che ci dividono da Ventimiglia.
Percorriamo tutto il lungomare ed entriamo nel territorio di Vallecrosia, attraversiamo il torrente Nervia e ci troviamo a Ventimiglia, ancora un po' ed alle 12.20 ci troviamo nel pieno centro del lunghissimo mercato settimanale, considerato da alcuni tra i più grandi d'Italia, in effetti é molto vasto e moltissimi i visitatori, in prevalenza francesi.
Da qui abbiamo una superba vista su tutta la costa verso occidente che fa un semicerchio fino al promontorio di Montecarlo.
La cittadina ha un centro medievale con le porte: Marina, Porta Nuova, Porta Nizza e Porta Canarda, quest'ultima a doppio arco gotico del XIII° secolo, accesso occidentale della città. Inoltre c'é la Loggia del Parlamento del XIV°-XV° secolo, la Cattedrale del X°-XIII° secolo con vicino il Battistero dell'XI° secolo, il Monastero delle Canonichesse Lateranensi del XVII secolo sulle rovine di un Castello medievale, la Chiesa di San Michele del XII° secolo e più su in alto, a quota 345 metri c'é Castel D'Appio.
Non arriviamo ai Balzi Rossi, nome dato alla spiaggia, con molte grotte sulla costa, che arrivano fino a Nizza. Fu uno dei primi territori abitati in Europa, furono ritrovate ossa umane risalenti a circa 250.000 anni fa, custodite appunto nel Museo preistorico dei Balzi Rossi.
Nel tardo pomeriggio prendiamo il treno per rientrare a casa, ci meravigliamo come in sole due ore arriviamo a Genova, mentre per lo stesso percorso in senso opposto abbiamo impiegato ben sette giorni, andando però a piedi!
Giorgio Arcioli e Maria Teresa Tedeschi, Il Ponente ligure a piedi (da Genova a Ventimiglia). Diario di un viaggio, il cammino di Santiago... e oltre, marzo 2019

domenica 8 giugno 2025

Un restauro di formelle a Chiusanico

Chiusanico (IM): Chiesa di Santo Stefano. Foto: Davide Papalini. Fonte: Wikipedia

[...] Come già accennato nella parte introduttiva del presente progetto di dottorato, le formelle dei “Misteri del Rosario” della Chiesa di Santo Stefano di Chiusanico (IM) hanno rappresentato un caso di recupero piuttosto complesso, dovuto alla fragilità intrinseca del materiale stesso; il relativo progetto di conservazione e restauro, dal titolo “Tecniche innovative per la Diagnostica ed il Restauro di opere policrome su supporto metallico appartenenti al patrimonio storico-artistico e culturale della Liguria” del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Genova aveva ottenuto un finanziamento del Fondo Sociale Europeo (FSE).
 

Figura 3.8. Fonte: Emanuela Manfredi, Op. cit. infra

Le 15 formelle (Figura 3.8) sono policromie ad olio, su latta: 10 ovali irregolari di cm 17 x 19,5 e 5 mistilinei di sviluppo orizzontale di cm 17 x 33. Le formelle erano inserite, come cornice della scultura della Madonna del Rosario, nell’apparato marmoreo parietale dell’altare, a sinistra della Chiesa, e sono state smontate negli anni precedenti su segnalazione del funzionario del MIBACT a seguito dei lavori di ricupero dell’edificio.
 

Figura 3.9. Fonte: Emanuela Manfredi, Op. cit. infra

Le formelle erano in un avanzato stato di degrado (la Figura 3.9 evidenzia, come esempio, lo stato della formella 50014 - La Natività - prima dell’intervento): gravi ossidazioni del supporto metallico debordanti sulla policromia, ormai quasi illeggibile, fori, lacerazioni, perdita di materiale pittorico, indebolimento delle lastre in latta con deformazioni ben evidenti. 
La degradazione, innescatosi sulle formelle a seguito delle infiltrazioni d’acqua nell’edificio ecclesiastico e del microclima presente, aveva continuato a procedere anche dopo la rimozione delle formelle dalla parete, anche perché le formelle non vennero immediatamente risanate. 
Sulla pellicola pittorica erano presenti scialbi, cere, resine e vernici mescolati tra loro e i vari livelli di ossidazione, le lacune più recenti mostravano a vista le latta ed in alcuni punti era visibile una vernice simile alla mecca.
Nelle lacune si era formato, in prevalenza, uno strato di ossido di stagno, irreversibile ma almeno stabile.
L’intervento di restauro compiuto sulle formelle rappresenta il primo caso di pulitura a laser di policromie su latta. I diversi strati di corrosione sono stati rimossi mediante l’ausilio di opportuni laser ad opera della dottoressa Anna Brunetto, e l’utilizzo del laser alternato alle azioni di pulitura meccanica e chimica (utilizzo di opportuni solventi) della restauratrice Roberta Moggia ha sanato le formelle rendendo le policromie decisamente più leggibili (cf. Figure 3.9 e 3.10) 53
 

Figura 3.10. Fonte: Emanuela Manfredi, Op. cit. infra

Durante il restauro sono stati svolti degli studi preliminari tramite la fluorescenza a raggi X (XRF) e la diffrazione a raggi X (XRD) per identificare i pigmenti e vari elementi inquinanti presenti sulle formelle; a restauro terminato, invece, per valutare complessivamente la qualità del lavoro di pulitura è stata svolta un’analisi sul colore.
Purtroppo, non avendo partecipato al progetto di restauro delle formelle fin dalle fasi iniziali, non è stato possibile acquisire dati mediante il colorimetro sui pigmenti costituenti la policromia.
L’unica documentazione presente era costituita dalle foto scattate dalla restauratrice prima del restauro, dopo la pulitura del laser e prima degli ultimi ritocchi compiuti dalla restauratrice stessa: ritocchi ovviamente realizzati nel rispetto del valore intrinseco nel bene ecclesiastico. Si è pertanto deciso di svolgere uno studio del colore su queste serie di foto tenendo in considerazione che non è stata rispettata alcuna indicazione CIE per lo studio colorimetrico, infatti le foto sono state scattate dalla restauratrice ponendo l’apparecchio fotografico perpendicolare al piano d’appoggio dove erano posizionate le formelle, lo sfondo sul quale poggiano le formelle sono fogli bianchi e non un grigio tendente al nero come previsto dalla CIE, il tipo d’illuminazione utilizzato è la lampadina posta per illuminare lo studio della restauratrice, lampadina ad incandescenza di circa 4000/5000 K. 
Le foto sono state scattate senza alcun riferimento cromatico o scala colore della Kodak o della X-Rite, ausili realizzati appositamente per la definizione del colore in fotografia, inoltre le foto del “prima” presentano una quadratura leggermente diversa dalle foto del “dopo pulitura laser”.
Il lavoro sul colore è stato svolto tenendo sempre in considerazione che si tratta di analisi relative e specifiche per l’operazione di restauro in esame; le distorsioni geometriche legate a differenti inquadrature tra la serie di foto del “prima restauro” e quella del “dopo pulitura laser” sono state corrette manualmente [...]
53 Moggia R., Brunetto A., Franceschi E., Manfredi E., Manfrinetti P., Petrillo G., Dellepiane S., Sista A., Combinazioni di laser e solvent-gel sulle formelle policrome ad olio su lamina metallica dei Misteri del Rosario di Chiusanico, Conference Book of APLAR 6, applicazioni laser nel restauro, 14th-15th September 2017, Florence.
Emanuela Manfredi, Elaborazioni di immagini digitali: applicazioni innovative ai materiali dell’arte come guida per interventi di conservazione e restauro, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, Ciclo XXXII

venerdì 30 maggio 2025

La funivia di Sanremo tra storia e qualche idea progettuale di ripristino

Fonte: Archivio Moreschi

Quando a Sanremo si parla della Funivia, ogni persona che possa vantare un solido indigenato prova lo stesso rimpianto che si ha per la scomparsa di un affetto vero. La Sanremo Campo Golf - San Romolo - Monte Bignone non è stata solamente una struttura che con i suoi 7.645 metri vantò il primato di esser considerata la più lunga del mondo. L’ultima tratta sorretta presso gli arrivi da due soli piloni segnava 1.742 metri di campata libera coprendo un dislivello di oltre 450m; anche questo valeva come record.    
Il progetto dell’Ingegnere Tullio Groff è stato, a lungo, un modello, a partire dal 1936 per i nuovi impianti italiani, noto anche a livello mondiale. Il Podestà pro tempore Pietro Agosti, aveva progettato di valorizzare la catena di montagne che, sino dalla notte dei tempi circonda Sanremo, proteggendola dalle tramontane invernali. Inventò quella che venne subito battezzata “Sanremo Vetta” per crearvi, progressivamente, un un villaggio turistico a 1310 metri d’altitudine, con un giro d’orizzonte al quale collaborano, nelle giornate limpide, la costa toscana, la Corsica, la linea costiera Francese sino alle isole Lérins e l’intera chiostra delle Alpi. Il primo passo di questa idea innovativa era legato alla creazione di una una funivia. Dopo la tragica morte di Agosti il progetto fu seguito dall’ Amministrazione del Podestà Giovanni Guidi e l’impianto venne inaugurato il 28 ottobre 1936, entrando in servizio regolare dal 1º luglio 1937.     
Negli anni '30 una parte rilevante del Turismo si definiva ancora villeggiatura: gran parte delle famiglie dei centri costieri trovava ristoro dalla calura estiva nei villaggi dell’entroterra costruendovi la villa di famiglia. 
Sin dalle prime corse i vagoncini ferry-boat della neonata Funivia furono presi d’assalto con meta la stazione di San Romolo, località storica e di abituale relax per i sanremesi,  allora collegata da una splendida mulattiera e da 14 km di strada sterrata carrozzabile con un dislivello di 8/900m. L’ansimante corriera di Gandelli, quando non si fermava a metà strada, arrivava al prato lamentandosi con nuvole di vapore. Le targhe d’auto di quell’epoca non superavano la IM 2000. Per Borello e San Romolo, gli anni fra il 1936 ed il 1960 (boom delle auto private nel dopoguerra) furono gli anni d’oro come documentano le cronache. Non va, naturalmente, considerato il tragico ed drammatico periodo della guerra quando un bombardamento alleato nel 1943 devastò la stazione di Sanremo, sospendendo il servizio sul primo tronco. La parte restante continuò a funzionare e, sino all’ottobre del 1944 la funivia rappresentò l’unico collegamento con Sanremo. Terminata la guerra, si iniziarono le riparazioni, con grandi sforzi da parte del personale e della Direzione. La funivia continuò gradatamente a funzionare e tra il 1946 e il 1961 ha trasportato ben 1.033.428 passeggeri di cui 450.170 (il 43,6%) a Bignone Vetta. Un vero successo, considerando la portata oraria di 80 passeggeri per ciascun senso [...].
Redazione, La Funivia Sanremo - Monte Bignone, MoreschiPhoto Archive


La Funivia Sanremo - Monte Bignone oggi appartiene a una calviniana «città invisibile», rilegata ai ricordi malinconici dei suoi cittadini e da ammirare soltanto in cartolina.
Non esiste più l’immagine, quella della cabina e del suo «filo» teso tra terra, mare e cielo, che ha contraddistinto lo skyline sanremese per quasi mezzo secolo, dal 1937, anno dell’inaugurazione dell’impianto, fino alla chiusura avvenuta nel 1981.
Oggi ci si domanda che senso abbia riattivare un impianto dismesso da ormai trent'anni, un'opera costosa sia in termini realizzativi che gestionali.
Per la MEMORIA. Per molti anni nota come «la funivia più lunga del mondo», le sue cabine hanno celebrato «la civiltà della puleggia» decantata dai futuristi, contribuendo poi al passaggio dal turismo elitario a quello popolare, superando ogni ostacolo, compreso quello della speculazione edilizia, la cui traccia è sottolineata dalle inconsuete forme strette e allungate delle palazzine che ne strozzano la partenza.
Per l'IDENTITÀ. La funivia attraversa tutto l'entroterra, sorvolando cascine e fasce terrazzate in pietra a secco, giungendo infine, sulla cima del Bignone, custode della più antica traccia antropica del luogo, alla riscoperta delle origini millenarie del suo popolo, come tappa ultima di un viaggio a ritroso nel tempo.
Infine, per il PAESAGGIO, la cui simbiosi tra cielo, mare e montagna, che nei secoli ha caratterizzato le trasformazioni del territorio ligure, non è mai stata come oggi così compromessa: il filo della funivia, pertanto, può riaccendere, non solo simbolicamente, il dialogo originario tra costa ed entroterra.
Il progetto di riattivazione della funivia ha come obbiettivo la CONSERVAZIONE delle stazioni originarie. Ciò è possibile soltanto mantenendo nel nuovo impianto le caratteristiche dimensionali dell’impianto storico (interassi delle funi e ingombri delle cabine). Concettualmente, può essere sintetizzato come la semplice RICUCITURA del filo della funivia, teso tra TERRA e CIELO.
La Stazione Sanremo, partenza della funivia, si relaziona con l'elemento terra / suolo dello spazio urbano circostante: ubicata in posizione collinare sopra il mercato annonario, si rivolge panoramicamente verso il porto, il centro storico e l'entroterra dominato dal Monte Bignone.
L'ingresso principale, gli uffici direzionali, la biglietteria e l’info-point sono stati spostati a quota più bassa sulla piazza del mercato: una posizione comodamente accessibile e visivamente ben distinguibile (l'attuale stazione è ormai nascosta dai profili delle recenti costruzioni).
La forma circolare scelta per il collegamento verticale tra piazza e stazione segue le tracce della preesistenza, rintracciabili, lungo un asse preciso, nei cerchi disegnati dalla rinascimentale Torre de La Ciapéla e la curva dello scalone monumentale che affianca la pensilina del capolinea.
Alla Stazione Campo Golf si aggiungono un ristorante e un bar-caffetteria, ubicati a un livello più basso e rivolti panoramicamente verso i pini e i green da gioco. Il nuovo volume è chiuso esternamente da un muro in pietra a secco interrotto soltanto da una veranda vetrata.
Presso la Stazione San Romolo viene modificata la quinta di chiusura della strada carrabile, allargata per consentire la manovra del servizio bus-navetta di collegamento con le località residenziali limitrofe.
Al capolinea di Monte Bignone il dialogo tra terra e cielo è testimoniato dai manufatti più antichi presenti: la Necropoli neolitica di Pian del Re (XIII secolo a.C.) e il Castellaro preromano (V secolo a.C.). Su questo tema, è stato realizzato un osservatorio astronomico sulla copertura della stazione, completamente ridisegnata per ospitare il nuovo volume.
Dopo l'ultimo suggestivo balzo di millesettecento metri sospeso tra mare, nuvole e alpi, il viaggio della funivia prosegue così lungo la verticale stessa della montagna, proiettando il passeggero direttamente verso il cielo e le stelle.
Luigi Viale, Funivia Sanremo - Monte Bignone: un "filo" per ricucire la memoria, l'identità e il paesaggio del territorio sanremese, Tesi di laurea, Politecnico di Torino, 2010  

giovedì 22 maggio 2025

Mostra "Piccolo bestiario tascabile" a Bordighera

 

 
                

                          


                  


         

Marco Innocenti, Piccolo bestiario tascabile, philobiblon edizioni, 2025
 

 

Unione Culturale Democratica 

Via al Mercato, n. 8 - BORDIGHERA       
                

                            

 mercoledì 21 maggio  2025 - sabato 31 maggio 2025


                               

                                           PICCOLO BESTIARIO TASCABILE


                                     SEDICI ILLUSTRAZIONI di SILVANA MACCARIO



                                  Mostra aperta al pubblico tutti i giorni, festivi compresi, 

                                                dalle ore 17 alle ore 19.

                                                          Ingresso libero





Le poesie filastroccate: un lavoro a due con i miei disegni e con Marco Innocenti, funambolico scrittore e poeta e le sue poesie abitate da animali reali e non.
La sua fantasia ha risvegliato una mia antica passione per quei colori che prendono vita incontrando una superfice bianca.
Uomini e animali amano entrambi la libertá e pertanto cercano di uscire dallo spazio loro designato.
Sono grata all’autore del Bestiario di aver risvegliato mani che usavano ormai da anni solo i colori delle foglie e dei fiori per disegnare un giardino.
Silvana Maccario

 

 

Unione Culturale Democratica - Bordighera (IM), Via al Mercato, 8 [ Tel. +39 348 706 7688 - Email: nemo_nemo@hotmail.com ] - Giorgio Loreti 

mercoledì 21 maggio 2025

Verso sera tornava su Arma di Taggia per scrivere tutta la notte

Taggia (IM): uno scorcio di una zona di Arma non lontana dalla dismessa stazione ferroviaria

Marino Magliani intervista Lamberto Garzia sul suo nuovo libro "Capped Dice" (Betti Editrice, 2021)
[...] una pericolosa  indagine tesa a svelare un Mistero, nella quale il personaggio principale, almeno nelle prime pagine, è quello del grande scrittore Tommaso Landolfi («Giusto appunto, mi hai detto dell’esistenza del gran segreto, che se permetti lo intenderei col termine inganno. E quindi, più precisamente, mi hai rivelato di possibili, sebbene in dato modo catalogabili, malefatte di tale signor Landolfi. Ma questo oscuro non me lo puoi per il momento squadernare, anche perché questo oscuro non è ancora per te del tutto chiaro… e una volta portato alla luce ciò che è intimo nella sua mantella lisa, sarà una calamità, anche se poi una calamità per chi, Lamberto…»).
[...] (M.M.) Il sottotitolo è «Diario di una battaglia novembre 2016 - aprile 2017», fa riferimento al provocatorio scontro - incontro che ingaggi con Landolfi, e da qui i tanti rimandi alle arti marziali, al pugilato e ad autori che ne hanno trattato come Antonio Franchini o Norman Mailer …
(L.G.) All’apparenza il nemico appare essere Landolfi, credo il maggior rappresentante novecentesco del saper scrivere in prosa, ma in verità è uno scontro (maggiormente una preghiera sacra) con il linguaggio, teso a voler in esso trovare una identità o appartenenza, possederlo ed esserne posseduto… come al tempo stesso la figura del Landolfi uomo in Arma di Taggia è stata usata (o essa da tramite) per cercare una identità specifica di luogo circostanziato… e questo incedere è confermato o tragicamente confessato a pagina 483, quasi al termine del diario:
« […] A raccontarmi questo, più o meno due mesi fa, è il sarto Beppe (credo si chiami Giuseppe, credo) Manco, vestito  sempre elegante anche se l’età c’è: 84 appena fatti, aveva precisato. Lo avevo disturbato, nei pressi del non più tra noi passaggio a livello, per una bazzecola [bazzecola?!] circa il cappotto rivoltato di Landolfi, poverino… mi sopporta non tanto perché sia io di origini salentine e lui un signor assai educato, ma anche perché coglie occasione per raccontare qualcosa del passato lontano, un raccontare quasi esentato da aneddoti, basato in maggiore sul qui c’era, poi c’è stato, ora c’è: e lo fa in una trattenuta malinconia che non sconfina nel patetico, è un sentire, così mi appare, di chi ha amato un luogo e ancora, seppur con certa demarcazione, lo ama… e lo trovo squisito e squisita per lui questa inclinazione di anima [...]
Redazione, Marino Magliani intervista Lamberto Garzia, La poesia e lo spirito, 25 gennaio 2022

La seconda parte del 1962 registra le ultime, rare missive [di Tommaso Landolfi] conservate nel Fondo Vallecchi: due spedite da Arma di Taggia nel maggio (ma vi si trasferirà stabilmente solo in novembre); due da Pico, in giugno ed in ottobre, la seconda per concordare un appuntamento con l’editore fra Roma, Pisa o Firenze. Incontro che deve essere avvenuto il 18 ottobre da Nino, a Roma, secondo quanto informa la figlia. Nell’ultima missiva, spedita il 15 novembre di nuovo da Arma, scrive: «volevo prima sperimentare questo posto, e infatti non so se ci reggo» <124. L’indirizzo è via Miramare 3, Arma di Taggia, in un palazzone anonimo a pochi metri dalla spiaggia, che all’epoca doveva parere un grattacielo, ovvero ciò che di più lontano si possa immaginare dall’aristocratica dimora picana.
[...] Il 1963 segna uno spartiacque nella bio-geografia landolfiana in quanto, come già detto, a partire da questo momento è difficile seguire i passaggi dello scrittore fra Arma, Pico o altre località, in assenza di un equivalente della corrispondenza con Vallecchi. Si entra pertanto in una zona d’ombra per la quale occorre seguire ancor più da vicino i testi dell’autore, alla ricerca delle tracce in essi sempre più generosamente lasciate, in una sorta di relazione indirettamente proporzionale fra la frammentarietà delle testimonianze d’archivio e una scrittura sempre più scopertamente autobiografica.
[...] "Des mois", il nuovo diario composto ad Arma di Taggia fra il novembre 1963 e l’aprile ’64 e pubblicato, con alcuni tagli di censura, nel gennaio 1967. È, questo, lo zibaldone della sua solitudine, visto che, anche quando di lì a poco la moglie si stabilirà con i figli nella vicina San Remo, lo scrittore, cui necessita assoluta concentrazione per portare avanti il suo lavoro, continuerà ad abitare l’appartamento di via Miramare fino a tutto il ’68. È, anche, la registrazione del precario compromesso con la dimensione familiare, a dispetto della nascita del secondo figlio, cui riserva pagine di una tenerezza affatto diversa da quella oscura e tormentata che gli ispira la primogenita.
[...] Nel 1964 escono i "Tre racconti", nei quali la cifra dell’esistenza randagia che lo scrittore conduce fra Arma e Sanremo è pervasiva. Se si eccettua infatti il pezzo centrale, "Mano rubata", di cui già si è vista la connotazione capitolina, gli altri due sono di stretta ambientazione rivierasca. Ma si tratta della particolare accezione landolfiana, piuttosto una contro-Riviera (secondo il paradigma oppositivo ed “in negativo” che gli è abituale), fredda quando non gelida, autunnale, plumbea, niente affatto fiorita <139. Uno scenario periferico, condominiale, sospeso, nuova declinazione della provincia picana delle pagine giovanili, incentrato sugli itinerari senza meta dello scrittore attraverso un dedalo di luoghi liminari e transitori (mai topograficamente circostanziati, come invece è della montagna picana o del paese natale) <140 quali bus con relative fermate, balconi asfittici e cementizi, squallidi sottopassi, finestre con gli avvolgibili, panchine desolanti affacciate su un mare grigio, caffè di notte o poco illuminati nella fioca luce di albe incerte e superflue, pastrani inzuppati di pioggia, cappelli calati sul volto <141.
[...] Un autoritratto dello scrittore che intanto, per parte sua, traccia le coordinate della sua topografia familiare divisa fra il sobborgo nel quale è lecito riconoscere Arma di Taggia, e Sanremo, dove moglie e figli abitano un condominio descritto con disgusto insieme feroce e pietoso <142: "Oggi, lì, da mia moglie… Imbruniva, e i poveri innocenti non parevano avvedersene; non intendo proprio dell’imbrunire, sibbene di quel costante imbrunire che aduggia la misera casa e le loro vite medesime. La madre stavolta piangiucchiava, ancora di quattrini. La casa dà da una parte su un’angusta corte, con canini sistemati in ricetti di fortuna e relativa tenera padrona, e con gagliarda sposa che tutta la para dei suoi bucati; dall’altra su una sordida via cittadina, tanto sordida che le ordinanze comunali non la raggiungono e la lasciano far mostra delle sue filacciose mutande e sottovesti sciorinate al sole. In cucina stagnava il puzzo atroce dei detersivi, confuso col personale sentore della lavapiatti che la frequenta alla fuggiasca, or ora uscita; nel bagno era tirato un cordino recante mutanducce infantili ad asciugare, tuttavia stillanti, e dentro la vasca posto un mastelletto di plastica stipato di panni sotto sapone. E d’un tratto, non che compiangere altrui, non che propormi di trarre fuori, di salvare i miei da tale sordidezza, sono stato preso da una specie di furiosa pietà per me stesso. Mi sembrava d’esser rinserrato lì dentro senza speranza, mi mancava l’aria; e sentivo di sopra, traverso la sottilissima soffitta, trascinar seggiole e menar di granata; e per le sonore scale rovinio di scolari e di servette; e dal quartiere accanto raschiar di radio; e dalle finestre sopra al nostro balcone scotolar di lenzuoli, oscuranti a baleni il poco e smorto cielo; e infine, in una pausa di silenzio e ancora dal piano di sopra, un orinar di commendatore ammalato. Sì, giusto un orinare in un vaso da notte (TR, OP2 p. 477-478)".
[...] Quanto al mare, e nonostante i lunghi anni trascorsi in Riviera, questo compare abbastanza raramente nella pagina di Landolfi, che è piuttosto amante della montagna e cantore del suo Appennino. A differenza della dimensione circoscritta e liminare che assume presso il monte Argentario e la laguna di Orbetello <152, il mare in Liguria appare «smorto, bianchiccio, senza respiro» <153 ma, negli "Sguardi", filtrato dall’occhio di R., si presta a tutti i cambiamenti dell’animo femminile: «Il mare s’era animato di mille colori; poi è ridiventato grigio; questa mattina era di nuovo splendente. Non lui, lui non ci ha nulla a che vedere: il mio mare di dentro. Che ribolle, che sta per rompere in tempesta, che chiede una vittima, mille vittime se necessario, che fracassa questa mediocre barca della mia vita» (TR, OP2, p.488). In genere, si intona all’umore piatto e depressivo di questi anni, facendosi esso stesso arredo imbronciato o tempestoso del lungomare di provincia, spesso contemplato da panchine desolate e spazzate dal vento. Il quale, altro protagonista di queste pagine, compare come portatore di nervosismo e instabilità e, in "Des mois", penetra e spalanca l’appartamento di Arma, scompigliando parole e pensieri: «In questa casa aperta da due parti, a levante e ponente, il vento fischia tanto assiduo, che ventoso, travolto e pronto a involarsi è ogni pensiero» (DM, OP2, p. 685). Un vento che non impedisce a Landolfi di scrivere quasi di getto, a conclusione del 1964, il racconto lungo "Un amore del nostro tempo"
[...] Si sono intanto andati consolidando i rapporti con Geno Pampaloni che, conquistatosi con garbo, professionalità e infinita pazienza la stima dello scrittore, nell’aprile del ’64 si era recato a fargli visita a Sanremo, stipulando per conto della Casa un nuovo contratto biennale. Dell’estate del 1965, un anno sul quale i riferimenti biografici sono più scarsi che mai, è il soggiorno con la famiglia a Bajardo <156, nel boscoso entroterra sanremese, da cui trae ispirazione per un elzeviro che esce sul «Corriere della sera» per Ferragosto e che recupera i modi del viaggiatore curioso e smagato delle prose di "Se non la realtà": "No, amici: per i play-boys o per gli onnipresenti milanesi non so, ma Bajardo è veramente un luogo egregio, e «perla» solo nel senso che le sottoposte convalli ne figurano l’immensa valva; dove coloro, se ci sono, restano confusi e avviliti, inoffensivi, tra tanto verde e in tanta aria fina; dove perfino le grida degli innumerevoli fanti ed infanti (trattene, ahimè, quelle dei propri) perdono virulenza… Pensate; migliaia di ettari di bosco d’alto fusto, quale forse non si ritrova ormai che nei racconti di fate; e il libero vento tempratore sulle cime intorno; e, per esempio, gli asini, le capre (UPC, OP2, p. 1000)".
[...] Del 1967 è la terza maschera teatrale dietro la quale lo scrittore declama il suo nichilismo, ovvero il "Faust 67", scritto ad Arma nel maggio e pubblicato due anni dopo. È una delle ultime (se non proprio l’ultima) delle opere composte nella cittadina ligure, che presto lascerà per trasferirsi di nuovo a Sanremo, presso la famiglia, ma soprattutto per trascorrere periodi sempre più lunghi a Pico.
[NOTE]
124 PV1, p. 162.
139 Questo lo sfondo, in Des mois, del primo lampeggiare della scolara che diventerà La muta: «Or ora tentavo di procurarmi una bottiglia di vermouth, ma tutte le botteghe erano chiuse. Stavo incerto all’angolo d’una strada (e al gelo di questa riviera), quando per compenso del mio scoramento è passata di corsa una fanciulla; una scolara con libri, che certo s’affrettava alla fermata del filobus. Poiché avevano già spento le luci, ed era quasi buio, e lei correva senza rumore, è sorta dal fondo della strada come dal nulla» (DM, OP2, p. 687).
140 Si è recentemente riproposto di ricostruire questo vagabondare Lamberto Garzia che, in collaborazione con il comune di Arma di Taggia sta curando l’allestimento di un itinerario di luoghi landolfiani nella cittadina rivierasca presentato nel corso di una giornata in onore dello scrittore, il 24 marzo 2019: «Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su ad Arma di Taggia per scrivere tutta la notte» (Stefano Michero, «Sanremo news», 19 marzo 2019). In preparazione, vi sarebbe un documentario dal titolo "La passeggiata landolfiana".
141 Una dimensione sottolineata anche da Giovanni Maccari, nella nota che accompagna le prose di "Diario perpetuo": «Ma questa estraneità antropologica alla gente del suo mestiere entra nel gioco dell’infelicità e dell’impotenza, così come una volta era una libera funzione della sua ironia e della sua differenza aristocratica. Sul piano della biografia, difatti, proprio questa differenza subisce negli anni Sessanta una singolare mutazione, nel senso che il suo rifugio originario (aristocratico) di integrarsi nella società borghese si risolve in una sorta di deriva in quella zona grigia della società borghese che è una città di provincia. Landolfi va a vivere ad Arma di Taggia, a rispettosa distanza ma a portata di corriera da Sanremo, dove c’è il casinò e dove si è trasferita la famiglia. Scrive, passeggia, scende al bar, va con la moglie a comprare un ombrello o il grembiule per la bambina: di tanto in tanto gioca, e perde, sicché perdura in uno stato cronico di povertà» (Giovanni Maccari, L’ultimo libro, in DP, p. 372).
142 «Oggi, a casa di mia moglie (e dei bambini: io sto da un’altra parte), è tornata a galla la vecchia questione» (TR, OP2, p. 474).
152 Si è vista in "Una bolla di sapone" (supra, § II.7).
153 «Natale! Mare smorto, bianchiccio, senza respiro; uno strano silenzio per le vie, finora. Natale d’angoscia, di vergogna. E loro lì, nella loro brutta casa… Beh che c’è, cosa ne inferisco? Non lo so. Non intendo: senza di me (che sarà fosse un bene); dico semplicemente: loro lì» (TR, OP2, p. 492).
156 «Bajardo fu generoso cavallo, e poi a suo tempo cavaliere senza macchia e senza paura; Bajardo è anche, oggidì, incantevole borgo, incantevole a dispetto dei fogliolini turistici che lo definiscono “perla dell’entroterra sanremese” (e meglio sarebbe “sanremasco”), con ciò inducendo il sospetto di qualche montano covo di play-boys» (UPC, OP2, p. 1000).
Laura Bardelli, Per una bio-geografia di Tommaso Landolfi. Luoghi del vissuto e della scrittura, Tesi di dottorato, Università degli Sudi di Firenze, 2020

“E' vero - conferma Lamberto Garzia - la famiglia viveva a Sanremo e quindi in molti hanno pensato che lui fosse lì, in realtà viveva e lavorava su Arma di Taggia. Grazie ad un complesso lavoro di studio, siamo risaliti anche alla documentazione necessaria a ricostruire questo legame, anche attraverso foto o cartoline ma ci sono tanti scritti dove indica proprio la data ed Arma di Taggia. Rileggendo alcuni suoi racconti come 'La Muta' o 'Chiacchiere al tramonto', o il romanzo 'Des Mois', definiti come surreali, si possono riconoscere i luoghi di Arma di Taggia. Grazie al lavoro di ricerca e studio abbiamo ricostruito la giornata tipo di Landolfi. Usciva molto presto di casa, andava al Bar Sport, faceva una passeggiata sul lungomare, prendeva i giornali all'ex edicola della stazione ferroviaria, andava al Bar Jolly, in quella che oggi è piazza Tiziano Chierotti, prendeva il bus per andare a Sanremo dalla famiglia, stava con loro fino a pranzo e poi andava al Casinò. Verso sera tornava su Arma di Taggia per scrivere tutta la notte. Era un personaggio molto particolare, amava giocare sul suo mistero e sull'essere riservato. Anche per questo non è stato un lavoro facile. Ci tengo a ringraziare Roberto Santini per le ricerche ed il materiale, Sandro Cesari per la toponomastica ed il sarto Manco, forse l'unico testimone che ha parlato con Landolfi”.
Stefano Michero, Il legame tra Arma di Taggia e lo scrittore Tommaso Landolfi..., Sanremo news.it, 19 marzo 2019

mercoledì 14 maggio 2025

Alcuni aspetti dell’esperienza di Torri Superiore sono replicabili e già abbondantemente replicati





Una frazione di Ventimiglia disabitata da decenni, le antiche case in pietra in stato di abbandono, il farsi strada del degrado, dell’indifferenza, della rovina… Questo lo scenario che si presentava a fine anni Ottanta agli occhi di un visitatore che si fosse addentrato tra i vicoli silenziosi del borgo medievale di Torri Superiore. Forse avrebbe incontrato Nando Beltrame, l’ultimo dei suoi abitanti, che vi ha vissuto fino al 2000. Attorno terreni perlopiù incolti, nemmeno in vendita, ricoperti di rovi e vitalba: una Machu Picchu nostrana, in miniatura.
A pochi chilometri dal mare, in Val Bevera, Torri Superiore ha conservato quasi intatte le sue caratteristiche originarie.
[...] Nel 1989 una coppia (lei originaria del luogo, lui torinese) identifica in Torri Superiore il luogo ideale per un’operazione di “riciclaggio urbanistico”, dove affiancare al recupero architettonico di un prezioso patrimonio collettivo la possibilità di trasferire la propria residenza e le proprie capacità professionali. Un progetto per far convivere la ricerca personale di uno stile di vita sostenibile con quel senso di responsabilità verso i beni collettivi che in quegli anni ha dato vita al grande movimento del volontariato.
Nasce su queste basi l’associazione culturale Torri Superiore fondata l’11 giugno 1989 a Torino, con i seguenti obiettivi statutari: promuovere l’acquisizione e il recupero del borgo e dei terreni circostanti; avviare un complesso di attività economiche (artigianato, agricoltura, formazione); creare un insediamento stabile o temporaneo dei propri associati secondo una struttura di tipo comunitario; realizzare una struttura ricettiva-culturale; costituire un centro di studi e ricerca sui temi del rispetto ambientale e della tutela dei diritti umani.
L’associazione non ha scopo di lucro e finalizza tutte le energie, economiche e operative, alla rivitalizzazione del borgo medievale. Gli obiettivi statutari iniziali sono tuttora in vigore.
I primi insediamenti residenziali da parte dei soci sono iniziati nel 1992. Oggi a Torri Superiore vive stabilmente una comunità di circa trenta persone, tra cui molti bambini. I residenti condividono i pasti (anche se ciascun appartamento ha una sua cucina indipendente) e si sono dati una struttura decisionale collettiva che si riunisce una volta alla settimana.
L’esperienza più che ventennale dell’ecovillaggio di Torri Superiore è nata e cresciuta grazie alla sinergia tra l’ente “padre” del progetto (l’associazione culturale Torri Superiore) e il gruppo non formalizzato dei singoli che hanno scelto di trasferirsi a Torri come residenti, sviluppando attività culturali e creando occupazione in vari campi (agricolo, turistico, servizi, artigianato, ecc.). I residenti sono quasi tutti soci dell’associazione culturale; a chi non è ancora socio è richiesto di diventarlo compatibilmente con il percorso di inserimento nella comunità (un anno).
A queste due componenti iniziali si è aggiunta nel 1999 la Ture Nirvane Società Cooperativa a r.l. come strumento giuridico e di lavoro per portare a compimento alcuni degli scopi associativi, in particolare la ristrutturazione degli immobili e l’apertura di un centro culturale-ricettivo per creare opportunità di lavoro per i residenti.
[...] Il confine fisico è dato, al momento, dal villaggio medievale che limita la capienza massima di residenti ed ospiti. L’associazione culturale ha molti soci non residenti, ma nessuno abita nelle immediate vicinanze. Un altro confine fisico è dato dall’esiguità dei terreni coltivabili disponibili in valle a causa dei terrazzamenti (che richiedono una grande quantità di manodopera) e dei prezzi altissimi del terreno agricolo. I confini amministrativi non sono un problema insormontabile, perché avendo tre diverse entità (l’associazione culturale, la cooperativa e la comunità residente) tra loro interconnesse, di cui due formalizzate ed una informale, si riesce a portare avanti bene il progetto complessivo. Il confine economico, che sempre esiste, ha imposto cautela negli investimenti e lentezza (ma determinazione) nella realizzazione dell’opera.
[...] Alcuni aspetti dell’esperienza di Torri Superiore sono replicabili e già abbondantemente replicati: la vita comunitaria e le modalità di gestione delle relazioni interne, la condivisione degli spazi, la produzione agricola locale per autoconsumo, l’utilizzo di tecniche di bioedilizia ed autocostruzione, l’orientamento generale alla riduzione dei consumi e alla decrescita felice. Questi stimoli sono stati condivisi con il mondo esterno attraverso le reti di cui facciamo parte, il programma dei nostri corsi e seminari, il contatto diretto con chi ha soggiornato qui come ospite o volontario.
Altri aspetti del nostro percorso presentano invece elementi di scarsa replicabilità: la natura stessa del borgo medievale è molto particolare e la fortunata localizzazione, per sua natura unica (tra mare e monti, a pochi chilometri dalla Francia e dalla città di Ventimiglia, in campagna ma accessibile con mezzi pubblici), ha contribuito alla creazione e alla crescita del centro turistico ricettivo. La campagna acquisti del bene immobiliare ha richiesto un arco di tempo enorme, due decenni: sono pochi i gruppi che possano permettersi di aspettare così a lungo prima di fruire dell’investimento economico.
Una serie di eventi fortunati e fortunosi ha consentito a Torri Superiore di attraversare e superare diverse gravi crisi di natura legale, finanziaria e umana. La prima, ad un anno dalla fondazione dell’associazione, è stata originata da errori di impostazione e di investimento. Sottovalutate le difficoltà ad ottenere finanziamenti per i restauri, sono state fatte scelte azzardate, come quella di assegnare il primo progetto di recupero ad un famoso architetto genovese per poi scoprire che aveva stravolto le idee del gruppo, creando una specie di resort avveniristico ed assai poco funzionale per una comunità. Risultato: enormi debiti, rischio di fallimento, grossi sacrifici per risanare la situazione da parte di chi ci credeva veramente (ed è tuttora parte del progetto). La seconda crisi, dieci anni dopo, è stata legata al rischio che il progetto naufragasse a causa degli orientamenti diversi (uno più spirituale ed un altro più laico) delle due componenti del gruppo associativo. Ha prevalso, dopo un anno di elaborazione collettiva ed infiniti dibattiti e discussioni, il gruppo laico che gestisce tuttora l’ecovillaggio. Infine, nei primi anni Duemila, si è presentato un altro momento di difficoltà dovuto alla difficile trasformazione del borgo da casa della comunità a centro turistico ricettivo, che ha reso necessario rispettare norme di legge (sicurezza, igiene, lavoro, ecc.) che spesso mal si conciliano con la vita quotidiana di un gruppo; ne è nata una sorta di contrapposizione tra le istanze esistenziali, minimaliste e familistiche di chi ci abita, e le necessità di chi sta creando posti di lavoro e deve operare entro ambiti ben precisi, con margini di manovra assai stretti.
Il percorso compiuto può, se non altro, fornire ad altri gruppi comunitari idee e spunti su cui riflettere. Al momento non ci sono crisi interne aperte.
La crisi economica generale impone nuove strategie e riflessioni, quella energetica già si vede all’orizzonte. Il turismo forse non si fermerà, però questa prima fonte di reddito potrebbe cambiare parecchio ed è necessario capire come rimanere flessibili ed adattabili.
Il punto di forza di Torri Superiore rimane comunque la sua natura poliedrica e diversificata, l’unione territoriale tra casa e lavoro e la relativa stabilità (negli ultimi dieci anni) del gruppo residente, composto da persone di età diverse e con abilità pratiche tra loro complementari.
Lucilla Borio e Massimo Candela, Torri Superiore, un borgo recuperato in (a cura di) Paolo Cacciari, Nadia Carestiato, Daniela Passeri, Viaggio nell'Italia dei beni comuni. Rassegna di gestioni condivise, Marotta & Cafiero editori - Napoli, 2012

giovedì 8 maggio 2025

Da piccolo avrei voluto che sulle case, sulle colline, ci fossero delle bandierine con su scritti i nomi dei luoghi

Ventimiglia (IM): Capo Mortola

Ventimiglia (IM): uno scorcio della Frazione Latte e della zona prossima a località Bataglia

La nonna con intuito e presentimento circa il grave andamento dell’ultimo periodo della guerra mondiale, dalla terrazza dell’osteria [località Battaglia - o Bataglia - di Ventimiglia (IM) in zona Ville], guardando l’orizzonte, aveva scritto sul suo diario [Caterina Gaggero Viale, Diario di Guerra della Zona Intemelia 1943-45, Edizioni Alzani, Pinerolo, 1988]: “Noi di qui ci siamo goduti lo spettacolo ma il nostro turno arriverà di certo”.
 
Ventimiglia (IM): una parte centrale di zona Ville

Il 3 di agosto 44 aveva scritto che “alle Ville abbiamo da lamentare una morta, la Magnuna che lavorava da Enrico a raccogliere ceci”. Era l’inizio di un periodo ancora più penoso.
 
Ventimiglia (IM): uno scorcio del Vallone di Latte

24 agosto 44 “La collina di Piematùn è tutta in fiamme, così il vallone di Latte fin quasi ai Carletti e su verso Villatella”.
25 agosto del 1944 la nonna scrive che “due bombe sono cadute nel giardino della signora Bice Negrotto, una nei pressi di Mamante e due a Mortola”. La Bice era Beatrice Biancheri vedova Negrotto e poi sposata con Orazio Orengo, “U sciù Orazio”.
 

Latte, Frazione del comune di Ventimiglia (IM): Villa Anna

30 agosto 44 “Altro incendio a Villa Anna che ha subìto qualche danno”. Villa Anna ha ancora lo stesso portone in via Romana 25, anche se all’interno i pini e gli eucalipti più recenti soffocano gli ulivi e i citroni di allora e ne mangiano le radici.
8 settembre 44 “Violento cannoneggiamento su Bellenda, Longoira e Sealza. Un proiettile è caduto vicino al cimitero di Latte, un altro alla Turreta”.
 
Monte Longoira visto da zona Ville di Ventimiglia (IM)

11 settembre 44 “In Bellenda e sulla Longoira si vedevano le mine che scoppiavano”.
12 settembre 44 “Stasera prima di andare a letto, abbiamo assistito al chiarore che manda la Magliocca in fiamme”.
14 settembre 44 “Le navi davanti alla costa hanno sparato da Carluccio. Granate anche sulla scuola di Latte dove sono alloggiati i tedeschi”. Carluccio credo che fosse un Bruzzone parente alla lontana.
16 settembre 44 “Tre bombe sono cadute dal Petaletu, tre da Ballestra, parecchie dal Cantù, tre da Pippo, tre da Rocco, e qualcuna alle Ville”.
18 settembre 44 “Il luogo più colpito è stato dalla Funtaneta fino al passo delle Ville”.
 
Ventimiglia (IM): l'ex stazione ferroviaria di Latte

19 settembre 44 “Colpita la stazione di Latte, la zona sopra la casa di Tullia e molte granate cadute qua e là”. Tullia era una signora che io ricordo come una immagine liberty dipinta con un cappello a falda larga e un nastro di cotone fantasia che si abbinava bene alla pianta di glicine che fioriva sulla ringhiera del balcone della sua casa di Latte. Poi era diventata la casa di Pié e Lina.
20 settembre 44 “Verso le tre del pomeriggio una cannonata ha colpito la cantonata dell’Erba Luisa”. La pianta chiamata anche Limoncina si era salvata ed era ancora lì cinquanta anni dopo, mentre la muraglia era stata ricostruita alla fine della guerra.
21 settembre 44 “La più vicina a noi è caduta dalla scaletta, sotto la cantina di Pippo e poi dal Petaletu, da Ballestra, da Pinella, dal casello…” Erano terreni scendendo da Bataglia fino al casello della ferrovia e al mare.
23 settembre 44 “Questa notte i tedeschi hanno fatto saltare il ponticello della ferrovia sotto la Villa Olivier, alla Mortola”.
27 settembre 44 “Ieri sera i tedeschi hanno visitato i manenti di Lanfredi; al Petaletu hanno portato via carro e barroccio”.
28 settembre 44 “Ieri sera una granata ha scoperchiato la casa di Armando U Re”. Era dei Calandri ma stava sotto porta Canarda.
30 settembre 44 “Oggi, all’una dopo pranzo, hanno cominciato a piovere granate su Latte, sulle ville San Giorgio, Orengo, Notari e Ammirati”. La casa Ammirati era nelle vicinanze di villa Corinna sul versante orientale del Bellenda.
 
Latte, Frazione del comune di Ventimiglia (IM): la "Casa del Vescovo"

3 ottobre 44 “Stasera hanno fatto sfollare quelli che abitano da Botti, dalla Casa del Vescovo, da Roberto e da Ballestra”. Sono zone confinanti tra di loro tra Murru Russu e la via Romana.
 
Ventimiglia (IM): uno scorcio della campagna di Casa Borghino

Ventimiglia (IM): proprietà "Vento Largo" in Strada Ville

7 ottobre 44 “Ieri sera è toccato a Borghino: i tedeschi gli hanno portato via il fieno e un manzo”. La casa di Borghino alle Ville sopra al Botasso adesso la chiamano Vento Largo.
 
Ventimiglia (IM): la parte bassa (di levante) di zona Ville, Forte San Paolo, Forte dell'Annunziata

8 ottobre 44 “A Pascà i tedeschi hanno preso la vacca. Ieri hanno portato via le somare di Giuà du Rissu e di Migliu. Oggi una scheggia ha ucciso la capra a Giuanin”. In prevalenza sono tutti luoghi alle Ville.
15 ottobre 44 “Molte sono cadute dalla casa del Vescovo, da Botti e da Riva. Innumerevoli altre al Cantù e dal Conte”. Il Cantù è una campagna della Pistuna sopra al passaggio della via Romana, vicino alla pianta del “pècugognu” [melo cotogno] prima che il cammino scenda verso l’Aurelia.
 
Ventimiglia (IM): Porta Canarda

20 ottobre 44 “Verso sera sono venuti da noi tre tedeschi che sono alloggiati nella villa di Miss Campbell. Hanno preteso un gallo, nostro malgrado”. La villa della Campbell è proprio sotto porta Canarda, adesso di proprietà dei Trucchi.
 
Ventimiglia (IM): una vista da Mortola

28 ottobre 44 “Vicino a noi, da Gaspà, dal Petaletu, dal Ruveu, da Carluccio non abbiamo avuto gran che di colpi”. “La settimana scorsa sono morte due suore Fedeli Compagne di Gesù del convento di Villa Belvedere alla Mortola. Sono morte per causa di malattia e sono state seppellite nel giardino del Belvedere stesso”.
Ho due cartoline di epoche diverse con la fotografia della Villa con descrizioni differenti. La prima porta ancora l’indicazione “Villa Federico Notari”, la seconda cartolina di alcuni anni dopo in cui la vegetazione è cresciuta intorno è descritta come “Villa Belvedere - Suore Fedeli compagne di Gesù”. Ad agosto del 1903, riferiva infatti Girolamo Rossi nelle sua cronaca: "Federico Notari aveva affittato la sua villa di Canun a monache francesi che successivamente la acquistarono. Nello stesso periodo vi furono numerosi insediamenti similari nella zona per una legge francese che chiudeva gli istituti religiosi con attività scolastica".
 

Ventimiglia (IM): il vallone del rio Botasso a pochi metri dalla Via Aurelia

Ventimiglia (IM): la foce del rio Botasso

29 ottobre 44 “Era tutta un’unica nuvola di fumo: da Botti si sono incendiate le serre e i pali che si trovavano presso il ritano del Botasso”. Il ritano è il confine a ponente della frazione Ville con Piematun e i Piani di Latte e termina nel mare a fianco di Villa Botti.
Con così tanti particolari fissati sui quaderni della nonna e molti altri ricordati a voce, non potevo confondere i luoghi e da piccolo avrei voluto che sulle case, sulle colline, ci fossero delle bandierine con su scritti i nomi dei luoghi.
Arturo Viale, Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022
 
[n.d.r.: altre pubblicazioni di Arturo Viale: I sette mari. Storie e scie di navi e di naviganti e qualche isola, Book Sprint Edizioni, 2024; La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, ed. in pr., 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Storie&fandonie; Ho radici e ali; Mezz'agosto, 1994; Viaggi, 1993]

giovedì 1 maggio 2025

L'obiettivo era quello di recarsi a Glori sul luogo dei cantieri

Fonte: Alessia Parravicini, art. cit. infra

[...] Sessantun anni fa, l'11 novembre 1963, il popolo di Badalucco e dell'intera Valle Argentina insorse per bloccare la costruzione della diga di Glori in una mobilitazione che passò alla storia come la 'battaglia di San Martino'. Il contesto della ribellione ha radici profonde. L'episodio avvenne infatti a seguito di due eventi che si susseguirono nel tempo: il disastro del Frejus nel 1959 e quello [Vajont] del 1963.
Battaglia di San Martino, le parole di Matteo Orengo
A ricordare quel giorno storico è il sindaco di Badalucco, Matteo Orengo. “La ribellione dell'11 novembre fu una data epica per noi badalucchesi”, ha esordito.
“Rispetto allo scorso anno, quando abbiamo festeggiato quell'anniversario con molta preoccupazione e paura perché sembrava che si dovesse tornare a costruire quella diga, quest'anno siamo molto più sereni e tranquilli. Sappiamo che questo progetto è stato definitivamente accantonato”, ha spiegato il primo cittadino. Una decisione definitiva che è stata accolta dai cittadini con un grande sospiro di sollievo e la certezza che sulla diga di Glori  'è stata messa una pietra tombale'.
Orengo ha sottolineato anche la solidarietà e il legame con Longarone. “Colgo anche l'occasione per ricordare gli amici del Vajont con il sindaco Roberto Padrin di Longarone. Ci siamo sentiti in occasione del 4 ottobre per le loro celebrazioni e abbiamo espresso la nostra vicinanza per l'invaso che vogliono costruire nel Vanoi. A nome mio e di tutta la comunità abbiamo inviato una lettera di solidarietà per manifestare il nostro sostegno alla loro drammatica situazione“, ha proseguito il sindaco.
[...]
Alessia Parravicini, Badalucco, 61 anni fa la 'battaglia di San Martino' contro la diga di Glori, Riviera time television, 11 novembre 2024

Fonte: Angelo Boselli, art. cit. infra

[...] Grande partecipazione alla presentazione del libro “Per non dimenticare”, contro la realizzazione dell'opera. [...]
Angelo Boselli, Badalucco, la diga fa ancora paura: “Noi, pronti alla lotta per dire no”, Il Secolo XIX, 22 Dicembre 2024

[...] Il libro affronta il tema, sempre attuale, della diga di Glori in Valle Argentina e delle sue possibili varianti in invasi e bacini. Il testo è arricchito da documenti risalenti al periodo del primo progetto di realizzazione della diga (anni '60), ma anche al 1984 e ai periodi più recenti, in cui l'ipotesi della diga è tornata a far discutere. Gli autori descrivono, attraverso una dettagliata cronistoria e una preziosa documentazione fotografica, i momenti più importanti della vicenda e della contestazione da parte degli abitanti della valle.
Anche questa volta il libro, che documenta una vicenda rilevante per il nostro entroterra, incentrata intorno al problema della gestione delle acque, diventa l'occasione per un momento di confronto sulle tematiche, le storie e le problematiche che riguardano ancora oggi le nostre valli e più in generale un'Italia spesso considerata ai margini. [...]
Redazione, “Per non dimenticare”: a San Biagio il libro che racconta la lunga vicenda della diga in Valle Argentina, Sanremo news.it, 4 aprile 2025

[...] La questione della diga di Glori-Carpenosa sul torrente Argentina ebbe inizio nel 1941 con un progetto da subito avversato, che non trovò sviluppo e fu accantonato a causa della guerra.
Tornò alla ribalta nel secondo dopoguerra del secolo scorso: in Italia dopo la riconquista della libertà e la ripresa democratica ferveva la corsa alla ricostruzione del Paese e alla ricerca dell'energia idroelettrica, "l'oro bianco", per far ripartire e sviluppare le industrie del Nord. All'epoca il maggior partito politico era la Democrazia Cristiana, che esprimeva le più importanti cariche dello Stato e amministrava dal centro alla periferia, in particolare la provincia di Imperia e i comuni della valle Argentina, tra cui Badalucco.
Nel 1947 il Comune di Badalucco, rappresentato dal Sindaco Nicola Bianchi, e quelli della valle Argentina presentarono ricorso al Ministero dei Lavori pubblici contro la domanda, già inoltrata nel 1941, bloccata dalla guerra e poi  ripresa dalla Società Idroelettrica Valle Argentina, S.I.V.A., intesa a conseguire l'autorizzazione a derivare acqua dal torrente Argentina e dai suoi affluenti.
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La battaglia di San Martino: 11 novembre 1963
La tragedia del Vajont con il suo pesante carico di distruzione e di morte fu decisiva per la lotta alla diga. Nel giro di un mese nella valle Argemina il Comitato intercomunale, composto dai rappresentanti di Taggia, Badalucco, Montalto e Riva Ligure, organizzò una grande manifestazione popolare.
L'obiettivo era quello di recarsi a Glori sul luogo dei cantieri per la costruzione della diga l'11 novembre e di restarci fino ad ottenere la sospensione dei lavori.
Il giorno precedente si predispose la serrata degli esercizi commerciali e di tutte le attività produttive e ci si organizzò per il trasporto delle persone. All'alba dell'11 novembre, giorno di S. Martino, a Badalucco il campanile della Parrocchia con l'autorizzazione del Parroco e l'opera del sacrista suonò a distesa le campane a martello. Dalla costa a Glori iniziò un flusso ininterrotto di veicoli: moto, vespe, lambrette, motocarri, automobili, che bloccò il traffico ordinario della valle.
[...] Davanti a noi c'erano il Sindaco di Badalucco Filippo Boeri, i Rappresentanti di Taggia, Montalto e Riva Ligure, il Parroco Don Aldo Caprile, il Parroco badalucchese di Pompeiana, Don Augusto Rodi, che parlavano con gli ufficiali della Celere, i quali a loro volta erano in continuo contatto telefonico con il Prefetto di Imperia. Di Don Rodi, Rochìn, mi è rimasto impresso che, in piedi sul predellino di una camionetta, parlava con i poliziotti e diceva loro che eravamo gente pacifica.
A mezzogiorno mangiammo i panini che avevamo portato. Non era una scampagnata; l'atmosfera era molto tesa; l'aria si tagliava a fette.
La giornata andò avanti con urla continue della gente. Si continuava a chiedere la sospensione dei lavori. Verso le tre del pomeriggio sentimmo l'acre odore del fumo. Si trattava di una ruspa, che stava bruciando sul greto del torrente. Vi furono momenti concitati di panico, con i poliziotti che si facevano strada tra la folla, per scendere lungo il pendio a verificare quanto era successo.
Tra le quattro e le cinque del pomeriggio arrivò dal Prefetto di Imperia l'ordine telefonico di sospendere i lavori per gravi motivi di ordine pubblico. Ci fu comunicato dai poliziotti con il megafono. Ci furono battimani, urla di gioia, baci e abbracci. Fu una grande vittoria della popolazione della Valle, che era salita fin lassù decisa e pronta a tutto, per difendere il sacrosanto diritto alla vita. Riprendemmo felici la strada del ritorno a casa. Quella volta, dopo anni di lotta, fu vinta una battaglia decisiva.
L'11 novembre passò alla storia come il "giorno della Battaglia di San Martino". [...]
(a cura di) Antonio Panizzi e Franco Bianchi, Per non dimenticare. La questione della diga nella valle Argentina, Philobiblon, 2024