domenica 17 agosto 2025

La prigionia di guerra di un ventimigliese che non doveva neppure partire

Ventimiglia (IM): uno scorcio di Località Ville e, a sinistra, della Frazione Latte

Aldo [n.d.r.: Aldo Viale, padre dell'autore, residente in Località Ville di Ventimiglia] e Giosino come altre migliaia di soldati italiani erano prigionieri in tempo di pace, che la guerra mondiale era finita dappertutto. Era una situazione triste, anomala, non prevedibile nelle possibilità della vita.
Aldo sperava di tornare a casa presto, aspettava una nave che andasse a prenderlo. A raccontarla tutta, dalla lettera di Aldo del 29 aprile 1943 si può dedurre che l'ordine di rimpatrio per esonero in quanto titolare di impresa agricola, era arrivato in Tunisia, quando era troppo tardi e ormai era il momento della resa e dei campi di una lunga prigionia. Scrive infatti alla mamma ed alla sorella:
"Carissime, È l'ultima volta che vi scrivo dal suolo africano. Vi avevo già scritto stamane ma non ero ancora a conoscenza di nulla. Nel pomeriggio è arrivato l'ordine del mio rimpatrio. È venuto il tenente ad annunciarmi questa nuova. Forse questo è il più bel giorno della mia vita. La salute è ottima e il morale è veramente altissimo. Non so i giorni che dovrò stare ancora in giro perché domattina vado al comando Btg. e domani sera sono sicuramente a Tunisi. Appena sarò sul suolo siciliano vi scriverò nuovamente speriamo che il viaggio mi vada bene come mi è sempre andata finora. Forse dovrò rimanere un paio di settimane al campo sosta per vedere se ho malattie africane ma ciò si fa nei pressi di Palermo. Appena toccherò il suolo italiano lo bacerò sicuramente. State alte di morale non datevi pensiero per me che presto vi abbraccerò entrambe. Molte cose vi dirò e vi giuro che, se non ho oltrepassato Roma non assaggio brodo d'uva per avere la testa calma perché quella zona è un po' infetta da zanzare. Saluti infiniti a tutti e voi due un milione di caldi baci vostro per sempre, Aldo 20-04-43"
Un timbro informa: "Lettera verificata per censura." 
Aldo in quei frangenti ha quasi 32 anni. Il rimpatrio non avviene. Non c'erano più navi che da Tunisi portassero almeno a Pantelleria. Erano solo 35 miglia. Si vedevano scene di gruppi di militari, tanti tedeschi e pochi italiani, che costruivano zattere di fortuna con bidoni da benzina vuoti. Appena prendevano il mare venivano mitragliati e affondati. Era il contrasto tra il coraggio e la disperazione.
Il foglio matricola di Aldo attesta l'inizio della prigionia in data 11 maggio 1943 nel fatto d'arme di Kelibia. 
Il 30 dicembre 1943 mamma Lilla scrive sul suo diario: "oggi abbiamo ricevuto due tue lettere, però non abbiamo ancora il tuo indirizzo. Sono state scritte in data 27 giugno 1943 e sopra vi è il timbro di New York, abbiamo idea che tu sia laggiù."
Ma si tratta di un'idea errata perché la posta dei prigionieri di guerra faceva giri lunghi e strani grazie alla Croce Rossa e al Vaticano, e Aldo era in realtà a Marrakech.
[...] La nave per portare Aldo e quelli come lui da Casablanca (porto vicino a Marrakech) a Napoli arrivò a fine aprile 46, un anno dopo la fine della guerra.  Il cinegiornale della Settimana Incom del 27 luglio 1946 per uno dei tanti viaggi racconta: "Casablanca, lo storico molo che vide il primo sbarco alleato. Giungono dall'Africa settentrionale i reduci italiani. Sfilano sotto gli occhi delle sentinelle di colore che sono le ultime tristezze di una guerra non voluta a cui hanno dovuto dare lacrime e sangue, anni della loro giovinezza. Salgono lo scalandrone che li porta sulla nave italiana primo lembo del suolo patrio venuto incontro a loro sulle soglie del deserto. Ancora lì cuoce il suolo africano ma tra poco saranno le brezze marine a ventilarli con l'odore della salsedine che sarà come il profumo della libertà ritrovata. Sanno che la patria li aspetta, è povera, è stremata ma per loro è una madre ed essi tornano a dare una mano per ricostruirla. Ciò che hanno sofferto non li ha fiaccati. Sono pronti ad offrire nuovamente all'Italia il loro braccio di uomini liberi. Evviva l'Italia."
Ma i soldati che tornano dalla guerra corta e dalla prigionia successiva che è stata lunghissima, sono stati amanti del silenzio.
[...] Aldo, dimesso dal centro alloggio di Afragola, è fiaccato dalla malaria ma almeno non deve più rassicurare la famiglia nelle sue lettere. Sul treno per Ventimiglia viene avvicinato da una donna e i soldi che gli hanno appena dato non li trova più. 
Arturo Viale, I sette mari. Storie e scie di navi e di naviganti e qualche isola, Book Sprint Edizioni, 2024 

venerdì 8 agosto 2025

La città è una delle tante della riviera dei fiori


Bordighera (IM): scogli di Sant'Ampelio con vista sino a Capo Verde di Sanremo


Oggi professorini e scrittoruncoli di Cloche Merie vogliono "fare l'avanguardia....." Ciò è ridicolo, e so cosa ne avrebbero pensato gli amici Tzara, Severini, Spazzapan.....
Paolo del Monte viveva scatenato e libero, nuovo ogni istante, gioia e disperazione erano il suo "double" crudele da cui non poteva uscire anche se gli riusciva di uscire da qualche rischiato suicidio, e la vita molteplice nei suoi fenomeni terrestri e infiniti lo riprendeva. Paolo detto Cocco non "voleva" scrivere, a volte in una vita disancorata e indifesa, doveva scrivere, non ne poteva fare a meno.
Le poesie sono bagliori, lampi incisi, densi e luminosi in ritmi scanditi e sicuri.
Potevamo pensare che avesse difficoltà a comporsi in prosa, in questo lungo racconto, si decompone e compone all'orlo di una catastrofe mai dichiarata ma sempre latente e resiste, si svincola e inventa un suo ritmo (che nasce dalla poesia) che gli offre ogni realtà mai integrata alla idiota società del consumo con la sua automazione tecnologica. L'equivoco più volgare, di basso colturismo nazionalautarchico è di confondere tra tecnica (necessaria alla sopravvivenza) e le scienze e la scienza dell'uomo. Già da anni scriviamo che la tecnica che si mangia la scienza dell'uomo e la causa d'ogni crisi e potrà segnare l'inizio d'ogni rovina, e il nuovo "double" infimo attuale dell'uomo "robot-scimmia". Paolo del Monte perfettamente consapevole di questa atroce dissociazione, nonostante tutto cerca vuole e a volte trova la vita, sia che immagini in fantasia terre lontane note ed ignote, sia che nelle blandizie della costa, trovi ogni stato d'animo possibile e impossibile, la sua pagina è ricca e intensa dove l'azione s'intreccia con gli stati d'animo vissuti sempre sino all'orlo di una catastrofe cosmica. Ora che tra noi e Paolo del Monte è tempo morto, Cocco ci raggiunge con le sue poesie con il suo Petite fleur, è vivo e sorridente, raffinato e incredulo verso ogni cretineria di vario colore, ma sempre oltre il bene e il male incerto, convinto che all'uomo occorra libertà integra e totale, ci raggiunge con la sublimazione e supremo-estremo riscatto in arte delle sue alienazioni, che sono poi quelle di un'epoca. Il gioco può sembrare "facile" ai pedanti lette rati italioti, ma Paolo del Monte conosce invece meglio di tanti pompieri della letteratura o delle pseudoavanguardie di paese e provinciali, non solo la vita aperta e misteriosa, ma anche la storiografia scientifica dell'epoca nostra di falliti girabulloni e ominidi.                                  Guido Seborga, In memoria di Paolo Del Monte, Bordighera - Settembre 1974, articolo ripubblicato in Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 7,8

Bordighera (IM): Porta Sottana

La città [Bordighera] è una delle tante della riviera dei fiori, dall'aspetto un po' coloniale. Tolto il piccolo vecchio paese medioevale, il resto ha un aspetto di provvisorio ed artificiale: hotel, pensioni, affittacamere sono le attività principali della gente del posto. Eppure era nata bene questa città, fondata dagli inglesi: piccole ville in stile provenzale sommerse dal verde lussureggiante; "la città delle palme", era. Poi, gli inglesi vinsero la guerra e la sterlina perse valore. I lord e gli ammiragli in pensione divennero rari. Gli italiani, nella ricostruzione, in un delirio di cemento armato hanno smembrato i giardini, demolito le ville erigendo palazzi, alveari inumani. Ora per vedere il mare bisogna andare sulla battigia, le palme, se continua così, andremo al museo per vederle, e saranno di plastica. Per fortuna c'è la crisi edilizia, altrimenti si arrivava ai grattacieli sul lungomare. In compenso c'è il turismo di massa, una folla vociante, dialettale, provinciale e villana, rompe l'incanto dei lunghi silenzi notturni. Gli eroi del sabato sera e della domenica si sentono tutti corridori automobilistici. Il sangue ogni tanto sporca l'asfalto. Turisti, il salumiere di Pavia, la ragazza squillo di Biella, il tranviere di Milano e l'impiegato alla Fiat di Torino. Folla, folla anonima, uguale nei gesti, nel dire o tacere, visi smunti aggemellati dal lavoro a catena, robot rincretiniti dalla civiltà dei consumi, la propaganda dei prodotti di ogni genereli assorderà, accompagnandoli per tutta la vita. Vado sul lungomare in un tranquillo bar all'aperto, mi sdraio sulle apposite sedie, il mare mosso manda pulviscolo salmastro che la brezza diffonde nell'aria, le cactee hanno un brivido di carni verdi, l'ansimare profondo del mare mi culla come morbida nenia. Mi crogiolo al sole. Oh il sole! Lo porto nell'anima, mi entra nelle vene, sono un figlio del Sole. I miei pazzi antenati vennero dall'oriente solatio, dai deserti roventi. Poi un lungo vagare, cittadini del mondo per disperazione, dalla Spagna cacciati dalla cattolicissima Isabella siamo approdati qui, in questa povera Italia tollerante.
Passa il letterato Guido che saluta con un cenno della mano, incede con lunghi passi, è sulla pista di una femmina; come segugio segue la preda. Anche lui, è un sefardita dal profilo sumerico, ci vuole poco, per immaginarlo vestito in un certo modo, con una scimitarra al fianco: anche lui è un figlio del Sole. Sul mare di cobalto, lontano passa una nave bianca, bianchissima, miraggio pare, di moschea smagliante. Petite fleur, suona il sax del vecchio Sidney Bechet, è il disco nuovo dell'estate. Non ho niente da fare e sono contento di non fare niente, malgrado tutto sono innamorato della vita che mi sono costruito. Bevo un Bacardi, bianco rum di Martinica, che ricordo con tenerezza quasi dolorosa, laggiù, lontana come un sogno; Martinica, amore bruciante di Margot dalla pelle di vellutato ebano, laggiù, nel caraibico ombelico dell'America. Passa l'uomo delle ostriche, lo fermo. Questo vecchio pescatore dal viso scolpito dalle intemperie, il suo secchio di legno con le ostriche, il modo di staccare il mollusco con un coltello e porgerlo innaffiato di limone esercita nel mio intimo un fascino strano, tant'è, che rapito da questa visione mangio trenta delle sue ostriche piuttosto care. Tutto è avvenuto in silenzio come in un rito arcaico e civilissimo. Pago, e ci salutiamo con un cenno del capo. Guardo le azzurre alpi marittime, Nizza, Cannes, S. Tropez, vi tornerò, quando l'estate sarà bruciata. Petite fleur, ripete il disco nel sole abbacinante, chiudo gli occhi, quasi dormo, pervaso da un caldo e benefico torpore. Avverto ciò che mi circonda come cose lontane: sono un'isola beata; se Dio creò il sole è un Dio grande. Il bar è raggiunto da una comitiva di turisti tedeschi, braghe di cuoio, cappelli tirolesi. Questi tarchiati bavaresi vocianti sono sguaiati, e ridono, non per un motivo preciso, ridono per ridere, sì, ridono per niente o per colmo di imbecillità. Qualcuno mi ha detto che è il clima di qui che li fa uscire di senno i teutoni; mah, io so che o come truppa o come turisti, siamo sempre invasi. Sputo un'imprecazione tipicamente ligure, mi alzo, accendo la pipa e passeggio fendendo la folla. Mi siedo su di una panchina, arrivano due giovinastri con una radiolina a tutto volume; è inutile, la pace è avvilita; forse, sulla terrazza del Kursaal... No, è troppo presto; cammino, raggiungo il bar della Posta, entro; uffa, c'è la televisione! un tipo dal video sbraita non so cosa, l'unica è andare nel cesso a leggere il giornale.

Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 14-17

Bordighera (IM): una bella costruzione che chiude lato mare Piazza Mazzini; sulla sinistra, seminascosto, il citato Caffé della Posta

Il Ferragosto è esploso in un fragore di fuochi artificiali. Belli quest'anno, i fuochi artificiali, un milione andato in fumo, è la specialità dei paesi poveri, in Egitto ne fanno dei magnifici.
Scende languida la sera, in noi è la smania di vivere, di bruciare le tappe; domani può essere tardi. Domani mattina ci si sveglia con un regime di colonnelli, ciò non è improbabile; io lo sten lo tengo oliato, non si sa mai...
Incontriamo il pittore Pit con la sua donna di turno e...
- Ciao bastardo.
- Uh, la mia vecchia troia!
- Andiamo in Francia a prendere l'aperitivo? - Propongo io.
- Sì sì.
- In Francia in Francia! - Gridano le ragazze. Si parte per Menton al canto della marsigliese; è la presa della pastiglia! Di simpamina.
Menton è festaiola, è la Francia eternamente giovane, ed è bella la nuova generazione con i capelli lunghi e le facce da "me ne frego". È l'ora dell'aperitivo che tutti bevono. E' il pastis alla menta, alla granatina, o puro con una goccia d'acqua gelida. Colori morbidi di pastello, è la Francia dei francesi e di tutti gli altri, che non sono "stranieri" perché nessuno glielo ricorda, è un non so che, che mi entra nell'animo, una sensazione esilarante, un qualche cosa di invisibile e di palpabile nello stesso tempo, è una civiltà di cui mi sento partecipe. Qui, nessuno è escluso.
Entriamo per finire al Bar Golfo di Napoli. Ci uniamo al gruppo di gente che beve aperitivi col gomito sul banco e intavoliamo una discussione che pare serissima [...]

Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 47,48

Bordighera (IM): Ville che si affacciano sulla Via Romana

Bordighera (IM): Villa e Torre sulla collina Mostaccini

Bordighera (IM): uno scorcio del Lungomare Argentina

Il numero 1 dei Quaderni dell'Unione Culturale Democratica, pubblicato nel Febbraio del 1974, è dedicato alle intense "Poesie" di Paolo Del Monte a meno di un anno dalla sua morte, avvenuta nell'Ospedale ancora ubicato sulla via Romana di Bordighera. Il secondo quaderno, avrebbe dovuto contenere il suo racconto "Petite fleur, estate che brucia" con la prefazione che Guido Seborga aveva appositamente scritto. Cosa che purtroppo non fu possibile realizzare. Trascorsi quattro decenni e più, ora finalmente col Quaderno numero quattro viene dato alle stampe quel racconto la cui pubblicazione vuole essere un riconoscimento postumo delle qualità di Paolo Del Monte che, nella sua breve vita 'bruciata', nessuno aveva sospettato. Ma anche un 'reperto' di una Bordighera d'un tempo che sorprenderà i lettori per 'freschezza' e per attualità. A Bordighera, Paolo era un personaggio che non passava inosservato. Di corporatura esile, mobilissimo, 'naturalmente' elegante, lo si poteva incontrare in giro per la città o al banco di uno dei bar che era solito frequentare. Abitava stanze in affitto che ogni tanto cambiava ben pochi mezzi, non era molto considerato dai benpensanti che lo ritenevano un perdigiorno. Frequentava alcuni pittori, in particolare Enzo Maiolino cui si rivolgeva per ogni necessità e Gian Antonio Porcheddu col quale condivideva la passione per il jazz; era amico di scrittori e poeti, di Guido Seborga che più di tutti lo aveva capito e apprezzava la sua autenticità estemporanea; partecipava alle iniziative culturali cittadine, abitualmente a quelle della 'Buca', amico dei giovani dell'UCD di cui era socio. Con i suoi comportamenti, le sue ironiche osservazioni, le sue fantasiose 'invenzioni' divertiva chi anche occasionalmente lo frequentava e lui stesso era spesso l'argomento di conversazioni bonarie e allegre. Forse nessuno aveva capito la sua intelligenza, la complessità della sua esistenza, la sua visione tragica della vita che cercava di controllare con le 'sregolatezze' che conduceva e con la scrittura, come poi si è saputo. La sua improvvisa, prematura scomparsa a soli 41 anni, 'impoverì' dolorosamente il "paesaggio umano" di cui Paolo era parte. E coincise, anche se non la determinò, con la fine della fase più formativa di quei giovani che avevano dato vita all'Unione Culturale Democratica. Giorgio Loreti in Paolo del Monte alias Cocco, Petite fleur, estate che brucia (Racconto Sperimentale), Unione Culturale Democratica, Bordighera, novembre 2020, pp. 65,66

Borghetto San Nicolò e Sasso, Frazioni di Bordighera (IM)
 
Uno scorcio di Sasso, Frazione di Bordighera (IM)

Bordighera (IM): un esercizio turistico sul lungomare

Sulla costa la vita eterogenea con l'incrociarsi di non poche civiltà, a Bordighera il segno lasciato dagli inglesi, quando occupavano dopo l'altra guerra, quasi tutte le più eleganti ville di qui, e sentore di Francia vicina, e cadenze liguri dappertutto, di un popolo duro e rugoso, di poche parole che trasforma la sua proverbiale avarizia in economia pubblica e privata.
 
Ventimiglia (IM): le Rocche di Roverino, affacciate sulla Val Roia

Strati di turisti che si sono come innestati nella zona per desiderio di viverci, da una certa agiatezza tipo zucchero filato di San Remo, mecca di giocatori e mantenute, all'asprezza di Ventimiglia con la sua ampia valle della Roja, aperta d'aria e di sole.
Bordighera al centro, più dolce e silenziosa, le giornate attive nei lavori e nei bagni, le serate più lunghe e monotone, e il pubblico estivo di bordigotti e turisti che si riversa sullo splendido lungomare.
E sempre le valli e gli incantevoli paeselli del retroterra, Sasso, Vallebona, Dolceacqua, con le loro alte antiche torri di dove i liguri studiavano le mosse d'arrivo dei pirati saraceni, e i liguri partivano per scambiare le crudeli visite di vino e donne violate e rubate...
Guido Seborga, Riviera di Ponente, Il Lavoro Nuovo, 19 agosto 1951 

mercoledì 30 luglio 2025

Era un filo ligure, quindi di ferro, Elio Lanteri

Imperia: Piazza De Amicis, la Biblioteca ed uno scorcio della banchina del porto di Oneglia

Se Francesco Biamonti è inarrivabile per intensità, Elio Lanteri è l’unico scrittore dell’estremo Ponente ligure che gli si possa avvicinare.
[...] Lanteri non teme la prima persona, non teme di coinvolgere e coinvolgersi nella narrazione: i suoi romanzi sono in prima persona. E varrà ben qualcosa. Così facendo, questo scrittore, così coinvolto eppur così ritroso, ci ha dato tra le pagine più intense della letteratura dell’estremo Ponente ligure.
Fabio Barricalla, Elio Lanteri o dell’intensità in Elio Lanteri, a cura di Fabio Barricalla con la collaborazione di Marino Magliani, La Riviera Ligure, quadrimestrale della Fondazione Mario Novaro, n° 85 - gennaio-aprile 2018 - ANNO XXIX (1)

Luigi Berio è stato professore di francese e letteratura francese, abita sulle colline di Oneglia, frequenta la città, passeggia dalle parti del porto commerciale, entra nelle librerie a comprare libri, segue gli eventi letterari della città... e un giorno conosce Elio Lanteri.
Una sera, con un amico fotografo, ero seduto ad un tavolino del caffè Piccardo a Oneglia, quando il mio amico ha fermato un passante ed ha cominciato a parlare con lui; poco dopo me lo ha presentato come un grande esperto, in particolare di letteratura spagnola: era Elio Lanteri. Subito dopo il fotografo ha fermato un altro passante e si è messo a parlare con lui. Elio ed io ci siamo guardati, un po’ imbarazzati; per rompere il ghiaccio gli ho domandato se conosceva un poeta spagnolo che io avevo scoperto da poco, J. A. Goytisolo. Elio naturalmente lo conosceva e ha cominciato a parlarne. Nel frattempo in piazza Dante dove c’è il caffè Piccardo, che è il centro di Oneglia e lì prima o poi incontri tutti, Elio ha visto un’altra persona e, chiedendomi scusa, si è alzato per salutarlo. Poi è ritornato da me spiegandomi che era un amico scrittore di queste parti, ma che viveva in Olanda. Io avevo appena finito di leggere "Quella notta a Dolcedo" e gli ho domandato se per caso si trattasse di Marino Magliani. Era così e abbiamo parlato di lui e dei suoi libri precedenti che entrambi avevamo apprezzato.
[...] E la Imperia di Elio, Luigi?
La nostra Imperia, mia e di Elio, era essenzialmente il Caffè del Porto dove ci incontravamo quotidianamente. Naturalmente non eravamo soli, a noi si univano regolarmente altri amici e si poteva parlare di tutto. Ma non era una cerchia di seri intellettuali, si parlava certo di libri e di letterartura, ma inframmezzati spesso da battute e commenti vari, a volte anche salaci. Venuti via dal bar, spesso accompagnavo Elio per un tratto di strada - allora non stava ancora a Costa d’Oneglia, ma in via Argine destro - ma quasi sempre per fare quelle poche centinaia di metri ci mettevamo molto più tempo del dovuto perché Elio, nella foga del discorso, ogni pochi passi si fermava per potermi spiegare meglio quello che pensava. E queste conversazioni mi mancano moltissimo! 
Luigi Berio, «Una sera, con un amico fotografo…» in La Riviera Ligure cit.

Bordighera, domenica 31 luglio 2011, ore 18
Giorgio Loreti, nel solito angolo dei giardini Lowe, fra libri e mostra di pittura, presenta la rivista di Torino «Atti Impuri», che coinvolge anche scrittori del Ponente Ligure: Guido Seborga, Marino Magliani, Lorenzo Muratore, Elio Lanteri. Ideatore della rivista è Claudio Panella, coi suoi amici universitari di Torino. Claudio Panella e Giorgio Loreti si alternano alla presentazione.
Nell’attesa, fra i saluti, qualcuno mi presenta Adriana, compagna dello scrittore Elio Lanteri. Lei non ricordava il mio volto attuale e io il suo. Sorpresi, ci siamo guardati. Erano anni che non la vedevo e purtroppo si cambia. È Giorgio Loreti che ha ricordato ad Adriana chi ero e del disegno della rivista. Un’esclamazione: «Ah, sei tu! Che bravo sei stato: il volto di Elio è perfetto; ho ritrovato il suo sguardo, i suoi occhi luminosi... ancora bravo».
Adriana mi parla di Elio tenendomi la mano. La guardo e nei ricordi cerco la sua immagine giovanile. Lei mi parla di Elio e della sua morte improvvisa, indimenticabile. «Sergio, “Ciacio”, credimi: sono morta anch’io. Non riesco a superare questo dolore. Ho tanta paura». La guardo nella sua fragilità di ansia dolorosa. Ho davanti a me una donna trasformata da come la ricordavo. Capelli cortissimi, leggermente scuri, tutta tesa nel suo ricordo di un amore perso e indimenticabile. Una leggera febbre l’anima: la sento attraverso la sua mano. La sua mano ancora nella mia, attimi intensi ricordando Elio. La loro è stata un’unione di amore e affetto. Ricordo che si davano sempre la mano passeggiando. Due innamorati che si guardano parlando. Davvero rara la loro unione. Ora il mio ricordo dei due amici diventa più chiaro. Lei aveva capelli lunghi, castano chiaro, quasi biondi: bella. Lui era dolce, garbato, né bello né brutto: un uomo. Ricordo che andavamo sempre a piedi da Ventimiglia, Vallecrosia, Bordighera e viceversa, verso incontri culturali. Sempre animati fra loro. Elio aveva sempre la parola. Lei, piena di premure, ascoltava. Ecco il mio ricordo di Elio.
L’inizio della conferenza ci separa. Tutti seduti sotto gli ulivi, nell’ascolto ancora di Giorgio Loreti, di Claudio Panella, degli scrittori Marino Magliani, Lorenzo Muratore; per Elio interviene Adriana. Anche Laura Hess interviene per il padre Guido Seborga. Sia Claudio che Laura mi ringraziano per i disegni sulla rivista. Un pubblico attento ascolta i vari interventi applaudendo. Un successo straordinario.
Bordighera, agosto 2011
Sergio "Ciacio" Biancheri, Elio e Adriana in La Riviera Ligure cit.

Qualche nome e una vaga cronologia. Incontro Elio in un pomeriggio d’estate di fine anni Ottanta, a Ventimiglia. A presentarmelo è Marina Lanteri, onesta impiegata della Camera del Lavoro di via Sottoconvento. Entriamo in un bar, beviamo qualcosa. È calvo, ha i baffi; io sono poco più di un ragazzo. E poi ancora qualcosa: parla di Spagna, di cieli di vita, di Palma, di gerani nel sole. E del poeta García Lorca. Mi parla di socialismo. Ha occhi morbidi, quasi apolidi. Mi chiede se ho letto "L’angelo di Avrigue" di Francesco Biamonti. Passa per me un tempo d’amore e dolore - che poi sono la stessa vita - e nuovamente lo incontro, a Oneglia, forse con Marino Magliani, nei pressi della Biblioteca. Certo al Caffè del Porto c’era un via vai di persone come d’uccelli sui fili d’autunno. E cameriere che vanno e vengono dalla cucina belle che guardarle è una sofferenza. Ora ricordo: avevamo bevuto alcuni bicchieri di vino rosso. Elio sorride. Mi dice: tutto è metafora, anche i gerani. Ricordava... Il suo cruccio sereno era conciliare la metafora con il realismo, che è un dovere. Io non sapevo né ricordo che fosse uno scrittore. Per scrivere questo ricordo ho vanamente estratto dalla libreria "La ballata della piccola piazza", il suo romanzo. Ne è uscita una fotografia, colori da nuovo millennio: Elio, Giancarlo Biamonti, un amico fulvo di cui non ricordo il nome ed io, a San Biagio della Cima, in qualche storia di rose. I tempi e qualche nome della piccola piazza.
Taggia, 25 febbraio 2018
Marco De Carolis, «I tempi e qualche nome della piccola piazza» in La Riviera Ligure cit.

Ho avuto il piacere di conoscere Lanteri, purtroppo solo telefonicamente, nel 2010. L’avevo contattato in merito al «Premio Città di Cuneo» per il Primo Romanzo e, da subito, mi aveva colpito la sua riservatezza, una riservatezza che avevo già avuto modo di riscontrare, in tandem, però, con poesia e musicalità, nella "Ballata della piccola piazza". Lì traspare con delicatezza uno spaccato sociale tipicamente ligure che riesce a catturare il lettore e condurlo delicatamente nel pentagramma della vita fra note allegre e tristi che, spesso, solo i bimbi, nella loro ingenuità, riescono a recepire con i giusti toni. Lanteri, a mio avviso, conosceva bene quei toni e sapeva musicarli con maestria per narrare storie di quell’entroterra imperiese simile, per certi aspetti, al basso Piemonte, coerede indiscusso dell’augustea «Regio IX», con le famose Alpi del Mare, il monte Toraggio, i freddi venti invernali, le favole e le paure.
Ricordo di esserne stato ammaliato fin dalla prima pagina. La frase, però, che mi ha fatto innamorare del romanzo, del suo lessico e della leggiadria con cui è stato scritto, è la seguente: «Quando ero bambino, al calar del sole, indugiavo stupito a contemplare le ombre degli alberi che si allungavano, le guardavo crescere e raggiungere l’acqua, creando figure fantastiche di animali che si abbeveravano nella corrente». E, col medesimo filo conduttore, il libro racconta quella che, in fondo, era, ma forse continua un po’ ad essere, la quotidianità del Ponente ligure, con le tradizioni, le metafore e le storie di una zona di frontiera che, proprio grazie a Elio Lanteri, fanno battere forte il cuore e, nel contempo, sognare.
Piero Falco, La quotidianità del Ponente ligure nella sabbia in La Riviera Ligure cit.

Era un filo ligure, quindi di ferro, Elio Lanteri. Un solitario che ascoltava l’ansimare dei mari in un caffè o in un sentiero che sale nell’erba. Custode di una verità mille volte rimuginata nei silenzi che indossava come un tabarro, come un amuleto, come una promessa di decenza, sì, la virtù più difficile, così la innalzò poeticamente un baritono di Levante, Eugenio Montale. A Ponente, Elio Lanteri, originario di Dolceacqua, ha misteriosamente, gelosamente accudito
la passione letteraria, poco prima di compiere il passo d’addio porgendo "La ballata della piccola piazza", una prosa lirica che ha il respiro di una bussola morale, un mosaico di zolle, profumi, sillabe necessarie, di levissima, ancestrale sapienza.
Che cos’è "La conca del tempo", il dono postumo di Lanteri, se non un ulteriore girotondo intorno a un piccolo mondo salvifico?
Bruno Quaranta, Un novello Sisifo. Prefazione alla Conca del tempo in La Riviera Ligure cit.

martedì 22 luglio 2025

Io mi sono mangiata le quattro banane davanti al doganiere

Camporosso (IM): uno scorcio di Piazza Garibaldi

Pierina
A Camporosso veniva l'ambulante a vendere e a comprare e ogni volta che veniva c'era un signore che "batteva la cria", cioè avvisava tutti; con una trombetta suonava e poi diceva: «Oggi c'è uno che compra le olive». E se gli davi le olive, si faceva lo scambio, il baratto con qualcosa.
L'indomani diceva che comprava l'olio e invitava di nuovo a comprare o a vendere. Tutti i giorni c'era qualcosa di nuovo da scambiare.
[...]
Pierino S.
Qui nella zona del ventimigliese più del commercio funzionava il contrabbando. C'erano persone senza un lavoro che per guadagnare qualcosa andavano in Francia a vendere verdura, ad esempio carciofi e frutta. C'era un limite alla merce che doveva passare alla frontiera: per esempio, una persona poteva portare 7 carciofi e non di più. Ma quelle persone riuscivano a sistemarseli così bene che ne passavano 10-14 alla volta. Per passare più roba, sia all'andata che al ritorno, se la nascondevano sotto; erano talmente cariche che camminavano male; tante volte si pensava che si fossero proprio fatte male!
In Francia si portavano verdure, liquori, parmigiano, gorgonzola, salumi... Di ritorno si portavano in Italia carne, zucchero a zollette, banane, cioccolato e le famose caramelle "berlingo" (erano caramelle di forma un po' irregolare con strisce colorate secondo i gusti). Si importavano molto anche i profumi, le colonie, le essenze.
Era "le petit trafic de frontière".
Ziviana
C'era della gente povera che faceva questo piccolo traffico di frontiera proprio per vivere. Ricordo un certo Franceschino che negli anni d'anteguerra era venuto da Milano ed aveva aperto un negozio di biciclette a Ventimiglia. Negli anni venti questo negozio era rifornitissimo di bici da corsa e Franceschino faceva affari d'oro. Poi è invecchiato: durante la guerra non c'erano più mezzi sufficienti per il commercio di biciclette, la moglie si era ammalata, non avevano possibilità di un altro lavoro e non avevano più niente. C'era a quel tempo, nel dopoguerra, l'ECA (Ente Comunale di Assistenza), che dava loro un Kg. di zucchero al mese, la pasta, ecc., ma non riuscivano ad andare avanti solo con quello. Allora per poter campare si erano messi a fare anche loro un po' di contrabbando: tutti i giorni si trascinavano in Francia a portare quello che potevano e ritornavano con quello che riuscivano a comprare là. Poveri vecchietti, facevano pena, perché facevano con grande fatica questo commercio per pochi spiccioli, proprio per vivere! Eppure qualche volta, anche in quel caso lì, la dogana "cattiva" perquisiva tutto! Sono morti infatti in miseria assoluta, tanto che i funerali sono stati fatti dal Comune (con una cassa al risparmio che sembrava una cassa da frutta!).
La dogana con questi limiti è durata ancora per alcuni anni dopo la guerra. Ricordo che una volta ho partecipato ad una gita di insegnanti supplenti a S. Paul de Vence. Al ritorno, per portare qualcosa ai miei genitori, ho comprato quattro banane che pesavano un Kg. Arrivati alla frontiera, alla dogana ci hanno fatti scendere tutti e il doganiere ha cominciato a dire: «Questo non si può passare... questo ce n'è troppo... Anche lei, quelle banane o le lascia qui o paga la dogana».
«Le lascio qui? Ma neanche per sogno! Scommettiamo che me le mangio? La dogana se la paghi lei!».
Il doganiere non pensava che lo facessi davvero e mi teneva d'occhio. Io mi sono mangiata le quattro banane davanti a lui: è rimasto esterrefatto!
Emma
Ma c'erano anche quelli che con il contrabbando si arricchivano veramente: a Ventimiglia c'è una casa che, si dice, "è stata fatta col gorgonzola", perché i proprietari in mezzo alla sabbia che trasportavano con i loro camion nascondevano le forme di gorgonzola da vendere in Francia. Anche la moglie poi, visto che il contrabbando rendeva, aveva iniziato a fare un suo "petit trafic", ma portando oro e sterline.
Redazione, ... E il commercio funzionava? in Il tesoro della memoria, Città di Camporosso, 2007, pp. 127-130

martedì 15 luglio 2025

Ma questa donatrice è in pessime acque

Due casi emblematici: il Premio Mediterraneo e il Premio San Remo Nato nella primavera del 1932 entro la cornice sanremese, il “Mediterraneo” è stato un premio letterario istituito dai giovani scrittori Giovanni Comisso e Adolfo Franci (fondatore anche del Premio Bagutta a Milano), con la collaborazione di Bianca Maria Brayda, la proprietaria del Grand Hôtel de la Méditerranée di Sanremo. La manifestazione, che ricevette il benestare di autorità politiche e accademiche, rispettivamente nella persona di Giovanni Gentile e Guglielmo Marconi, era sorta allo scopo di premiare con cinquemila lire «un libro di prosa italiano edito tra il 1931 e il 1932» <112, che fosse riconosciuto come la migliore opera della giovane letteratura.
Il compito, assai delicato, spettava a un giurì - come Montale soleva definire le commissioni giudicatrici <113 - ben assortito: a presenziare il «canagliesco convivio» <114 una folta compagine di letterati, tra cui «strapaesani» e «stracittadini» (oltre che una piccola componente di giudici stranieri) <115, tra i quali Antonio Baldini, Alberto Moravia, Corrado Alvaro (che nel 1931 aveva vinto - pur «fra molti contrasti» <116 - il prestigioso “Premio Edoardo Agnelli” de «La Stampa»), Adriano Grande, Enrico Falqui, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Bertuetti, Giacomo De Benedetti, Mino Maccari, Camillo Pellizzi, Sandro Volta, gli stessi Comisso e Franci e, appunto, Bontempelli. Il quale sembra fosse stato chiamato a presiedere la commissione non tanto in virtù del suo ruolo da accademico, quanto per essere «il solo scrittore che a buon diritto può stare fra i giovani: egli che fu il fondatore del novecentismo letterario, e la cui arte ha un’impronta così schietta di originalità e di modernità <117»; caratteristica, quest’ultima, a cui l’assegnazione del premio stesso era ispirata.
Il prefetto d’Imperia però decise di proibire l’evento, nel rispetto di alcuni veti burocratici tesi a sancire che per lo svolgimento di qualsiasi manifestazione artistica e sportiva fosse necessario chiedere il permesso alla Presidenza del Consiglio almeno un mese prima (iter che gli organizzatori del Mediterraneo non avevano osservato). Tale risoluzione mandò in escandescenze Bontempelli, il quale, oltre a protestare duramente, si rivolse al presidente Marconi per chiedergli di appoggiare la sua causa. In una lettera datata 7 aprile 1932 si legge:
"Eccellenza,
La ringrazio della autorevole [illeggibile] e delle amichevoli parole da Lei scritte a riguardo del “Premio Mediterraneo”.
Il quale premio è stato proibito dal Prefetto d’Imperia, di qui una mia protesta, sia per la ingiustificata proibizione, sia per il contegno del Prefetto nei miei riguardi - contegno nel quale ho visto gli estremi di una deplorata mancanza di rispetti verso l’Accademia di cui sono tanto onorato di far parte.
Le comunico il testo delle mie proteste, nella speranza che Ella voglia abbracciarle e appoggiarle, facendolo magari per la parte che può integrare la dignità della nostra Accademia, da Lei con così geloso fervore protetta". <118
In difesa di Bontempelli intervenne anche Carlo Formichi, che si rivolse al Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Interno, Leandro Arpinati, per chiedergli di risolvere la questione:
"Roma, 9 aprile 1932/X
Eccellenza,
Verso S.E. Massimo Bontempelli, reo di essere presidente di una commissione per un premio letterario costituito a S. Remo e intitolato “Mediterraneo” (sul tipo di premio “Viareggio” - “Bagutta” ecc.), il contegno di S.E. il Prefetto d’Imperia è stato assai poco obbiettivo e sereno, oltre che, per diverse ragioni, inesplicabile.
S.E. Bontempelli si è ritenuto inoltre offeso da alcune frasi a lui dirette dallo stesso Prefetto.
Ed è per questo ch’egli ha indirizzato a V.E. la qui unita protesta di cui mi risulta essere V.E. già a conoscenza.
Nella mia qualità di Presidente della Classe di Lettere, e anche a nome del Presidente Marconi, prego V.E. di voler esaminare la vertenza, nella speranza che essa abbia una soluzione atta a salvaguardare la dignità e il buon nome dell’Accademico, chiamato a presiedere una manifestazione d’arte, promossa da giovani scrittori.
Con gli atti della più alta considerazione <119
[Carlo Formichi]"
Il presidente della commissione, sia pure con la mediazione di altre importanti personalità, agì dunque da vero e proprio deus ex machina, riuscendo a salvare il premio da un annullamento quasi certo. Era, questo, un incontrovertibile segno del suo prestigio accademico.
Risolti finalmente i contrasti, il 30 aprile 1932, sulla scorta dell’orientamento teso alla volontà di premiare un autore giovane, la giuria - riunita nei locali della Taverna Mediterranea presso l’albergo “Mediterraneo” di Sanremo - apriva le discussioni per decretare il verdetto del premio conteso dai due schieramenti letterari, discussioni che, ben s’intende, furono animate, tanto che Quasimodo ne parlò in termini di «antiche lotte elettorali» <120.
[...] Le preferenze della giuria furono accordate all’opera del giovane Gallian, assiduo scrittore in «900», nonché affezionato “novecentiere” <123. La premiazione, arrivata dopo «tanta inquietudine e siccità» <124, avvenne certo tra il giubilo di Bontempelli, il quale tanto peso aveva avuto nel far trionfare un autore della sua cerchia. La vittoria di Gallian infatti era senz’altro sintomatica del potere e dell’influenza del suo “maestro” all’interno del certame letterario, il quale nel suo ruolo di giurato era evidentemente orientato alla consacrazione del successo delle opere dei suoi sodali. 
[...] Al di là della vittoria, che inevitabilmente avrebbe scontentato alcuni e rallegrato altri, va detto che l’evento, in termini generali, non godeva di grande stima, così come, del pari, non godeva di buona reputazione la sua ideatrice, Bianca Maria Brayda; quantomeno stando alle dichiarazioni di Giovanni Ansaldo, il quale ne sintetizza il profilo, a partire dalla sua esperienza alla manifestazione. Scrive nel suo diario: "Sono stato due giorni a Sanremo, per il “Premio Mediterraneo”. La scena si prestava a qualche osservazione interessante. Il premio (5.000 lire) è donato dalla proprietaria dell’albergo “Mediterraneo”, una torinese introdotta e scaltra, che ha la mania di essere in relazione con letterati ed autorità, e - nonostante la sua furbizia - è così ingenua da credere che la presenza di qualche Accademico giovi al suo albergo. Ma questa donatrice è in pessime acque. Il “Mediterraneo” è in stato fallimentare; la vigilia del premio le “scorte vive” erano sotto sequestro. La signora si difende contro i creditori valendosi delle sue relazioni politiche; essa - si dice - è molto amica del Segretario Federale Brusa di Milano. L’anno scorso essa irretì tutte le Autorità; il Prefetto pareva alle sue dipendenze. Quest’anno, le Autorità, informate delle profonde “carie” della faccenda hanno fatto macchina indietro; il Prefetto non presenziò alla Fiera del Libro, che essa era riuscita ad ottenere si facesse nel proprio giardino. Tutto il paese l’ha sui c…; ma essa s’impone con i suoi rigiri, tiene in scacco il Comitato locale turistico, va a Roma e ottiene lei dal ministero delle Comunicazioni, i ribassi per Sanremo; ribassi che poi rivende al Comitato stesso. Minaccia il confino ai propri creditori". <127
Il giornalista non riserva commenti più benevoli per Bontempelli, accusato di aver passato «dei mesi a… sbafo» presso questa «mecenate della letteratura italiana» <128.
[NOTE]
112 Un premio letterario “Mediterraneo”, «Corriere della Sera», 1 marzo 1932.
113 Cfr. MARIA CORTI, Premessa, in EUGENIO MONTALE, Lettere a Quasimodo, a cura di Sebastiano Grasso, Milano, Bompiani, 1981, p. VIII.
114 SALVATORE QUASIMODO, Carteggi con Angelo Barile, Adriano Grande, Angiolo Silvio Novaro (1930-1941), a cura di Giovanna Musolino, p. 70.
115 La presenza della quota straniera, segnatamente nei nomi di Valery Larbaud, Benjamin Crémieux, Léon Kochnitzky, Orlo Williams del Times ed Henry Furst, rispondeva alla volontà di sprovincializzare la cultura letteraria italiana, in linea con quelle simpatie europeiste e antiprovinciali che avevano marcato la rivista bontempelliana «900». Il giornalista americano Henry Furst, peraltro, in data 10 aprile 1932 aveva pubblicato sulle pagine di «The New York Times Book Review» un memoriale dell’evento sanremese, che qui si riproduce in appendice B.9. Per la lettura del testo in lingua originale si rimanda ad ANDREA AVETO, Incontri liguri di Elio Vittorini (1931-1943), Novi Ligure, Città del silenzio, 2012, pp. 39-42, dal quale traggo anche la citazione della versione italiana dell’articolo di Furst (ivi, pp. 28-30).
116 CORRADO ALVARO, Quasi una vita, Milano, Bompiani, 1950, cit. in GASPARE GIUDICE, La renitenza di Alvaro. Un anno a Berlino, «Belfagor», 31 maggio 1990, p. 254. Il premio letterario in questione gli venne affidato per due raccolte di racconti (Gente in Aspromonte e La signora dell’isola) e per il romanzo di ambientazione bellica Vent’anni (Treves, Milano 1930).
117 Il “Premio Mediterraneo”. I diciannove giudici e le opere in esame, «La Stampa», 25 marzo 1932.
118 Lettera del 7 aprile 1932, RAI, Corrispondenza con gli accademici e sulle loro funzioni, B. 3, fasc. 20. Il testo al quale Bontempelli fa riferimento non risulta essere allegato alla lettera.
119 Lettera del 9 aprile 1932, RAI, Corrispondenza con gli accademici e sulle loro funzioni, B. 3, fasc. 20.
120 Lettera di Quasimodo ad Angelo Barile, in SALVATORE QUASIMODO, Carteggi con Angelo Barile, cit., p. 70. Nella missiva Quasimodo non risparmia allusioni alla dubbia rettitudine della modalità di svolgimento del concorso: «La Gazzetta porta come candidato (che ingenuità questa parola) M. Gallian» (ibidem).
123 Sulla definizione di ‘novecentieri’ cfr. Il Futurismo; Il Novecentismo, a cura di ENRICO FALQUI, Torino, ERI, 1953, p. 95. Bontempelli ha inserito Gallian nel novero degli scrittori “novecentisti”, tra i quali aveva pure menzionato Antonio Aniante, Aldo Bizzarri, Corrado Alvaro, Paola Masino e Gian Gaspare Napolitano. Tuttavia, non si possono trascurare, dal punto di vista della poetica, le innegabili differenze che separano il caposcuola del realismo magico da Gallian. Se per il primo, infatti, la locuzione “realismo magico” «significa non tanto uno sbrigliarsi della fantasia o un tuffo nel caos dell’irrazionale, quanto piuttosto uno sguardo sempre lucido e razionale attraverso la sostanza reale delle cose», il secondo «muove, invece, da un punto di vista opposto: alla scrittura ‘razionalista’ e ‘funzionalista’ che Bontempelli, ispirandosi all’architettura moderna, si auspica nel suggerire di “edificare senza aggettivi, scrivere a pareti lisce”, egli contrappone un itinerario tormentato, al limite dell’allucinato, costruito non certo con una linea retta ma con la curva barocca che si perde in spirali e vortici. È notturno quanto Bontempelli è solare» (CLAUDIA SALARIS, Gallian magico, in MARCELLO GALLIAN, Nascita di un figlio ed altri scritti, introduzione di MASSIMO BONTEMPELLI, Montepulciano, editori del Grifo, 1990, pp. 36-37).
124 ENRICO FALQUI, «Critica Fascista», poi in In margine ad un premio letterario, cit., p. 3.
127 GIOVANNI ANSALDO, nota del 22 aprile 1933 in Il giornalista di Ciano. Diari 1932-1943, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 38-39, cit. in ANDREA AVETO, Incontri liguri, cit., p. 34.
128 Ibidem.
Rosiana Schiuma, «Elencare e graduare». Il profilo "istituzionale" di Massimo Bontempelli, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2020

domenica 6 luglio 2025

La vita sociale si è ridotta o spostata nel vicino centro di Imperia

Pontedassio (IM): Piazza San Pietro

Vittorio Coletti, professore emerito dell'Università di Genova, è stato docente in atenei italiani e stranieri, linguista, storico della lingua, lessicografo, grammatico, accademico della Crusca. Ha pubblicato oltre cento titoli, tra libri e saggi. Ha collaborato con le pagine liguri di 'la Repubblica'.
Caro Professore, ci parli un po' della sua famiglia, se non le spiace.
La famiglia materna era di Pontedassio, in passato di discreto censo, basato su terre e fabbricati, come usava una volta. Ma la sua prosperità, già più che dimezzata dalle divisioni successorie, era stata ulteriormente ridotta dalle vendite di necessità. Non di meno, il fratello di mia madre, lo zio Carlo, poté studiare e divenne un alto funzionario della Banca popolare di Novara e la sorella, la zia Menuccia, ebbe l'istruzione sufficiente per essere assunta come impiegata dalle Poste dove lavorò sino alla pensione.
Mia madre, Giovanna, si dedicò invece ai quattro figli, di cui io sono l'ultimo. Mio padre, Paolo, era di famiglia lombarda per via paterna, del varesotto, ed era presto rimasto orfano dei genitori e non molto dopo senza nessuno dei tre fratelli: uno, molto più vecchio di lui, morto in seguito alle ferite riportate nella prima guerra mondiale, le due sorelle uccise ancor giovani dalla tubercolosi. Mio padre si fece letteralmente da sé e praticò diversi mestieri. La seconda guerra fu una durissima prova per lui, perché, avendo firmato a favore del locale ospedale. di cui era segretario, la donazione dei mobili della sede del Fascio chiusa nell'estate del '43, fu poi schedato dai tedeschi occupanti come antifascista e ostaggio da catturare e uccidere in caso di rappresaglie. Avvertito da una giovane cugina, riuscì a fuggire e rimase alla macchia fino al '45, dopo mesi di paure, avventure e fame. Al ritorno, con grande preoccupazione di mia madre, papà, tanto ostile al fascismo quanto diffidente del comunismo, si diede alla politica nella Democrazia Cristiana e fu a lungo saggio e disinteressato amministratore del suo paese. Per anni fece il vicesindaco, ma sindaco di fatto, perché il sindaco, un autorevole ammiraglio, viveva a Roma e veniva a Pontedassio giusto un paio di volte l'anno (incredibile oggi …).
Come un po' ovunque, il paesaggio sociale e urbano di Pontedassio è stato a un modo sino a tutti gli anni Cinquanta e poi è cambiato radicalmente. Negli anni Cinquanta, quelli della mia infanzia, un carro ci portava ogni giorno il latte, le barre di ghiaccio per conservare i cibi e solo verso la fine del decennio fu sostituito da un non più veloce camioncino; una pastorella veniva a vendere la ricotta, una vecchina i fagioli di Conio e un ex frate, sempre molto pio, il formaggio; un mendicante zoppo si presentava ogni due settimane arrivando a piedi con le stampelle da Diano Arentino lungo una mulattiera.
Pur essendo la mia famiglia di condizioni modeste, il costo del lavoro era così basso che si poteva permettere degli aiutanti, in casa e in campagna: una donna veniva alcuni giorni della settimana per il grande bucato, un'altra per alleggerire un po' nei lavori di casa mia madre, sempre impegnata a sfamare quattro figli e un marito di ottimo appetito; una coppia di marito e moglie, piemontesi, lavorava nelle nostre campagne. In scuola ci si scaldava con una stufa a legna e c'erano dei bambini bravissimi ad accenderla e alimentarla (io purtroppo non ero tra questi). La chiesa e la religione erano il centro della vita sociale, tanto più per i miei, specie per la mamma, molto devota e praticante. Le feste religiose (San Pietro in aprile, Santa Margherita in luglio) erano anche laiche, con balli e cene all'aperto.
Con gli anni Sessanta è cambiato tutto, come si sa, anche a Pontedassio. Il paese si è trasformato; la strada nazionale, prima spesso usata anche come campo di calcio o di pallone elastico, si è riempita di automobili rumorose, pericolose e ingombranti; la vita sociale si è ridotta o spostata nel vicino centro di Imperia; la gente ha cominciato a parlare solo in italiano e a non salutarsi più per strada; abitare nel centro del paese, un tempo luogo di prestigio, è sempre meno ambito e chi può si costruisce una villetta in collina e di fatto ignora il paese.
Durante il corso di studi da qualche insegnante avrà avuto una particolare lezione di vita, oltre che disciplinare.
Al liceo solo dal professore di religione, un avvocato e prete di grande qualità umana e apertura culturale. Ricordo però anche i docenti più giovani e supplenti, come lo scrittore Beppe Conte, che interessò con le sue lezioni me e i miei compagni assai più del precedente titolare, che, essendo sindaco della città, si dedicava assai poco all'insegnamento. Tra i professori più bravi, debbo anche menzionare quello di greco, Antonio Battegazzore, cui la mia perenne agitazione dava ai nervi, ma che mi dava anche dei bei voti: anni dopo l'ho ritrovato in università come collega, di cui, curiosamente, ero un po' più anziano dal punto di vista accademico. [...] 
Gian Luigi Bruzzone, Intervista/ Vittorio Coletti dal 'clan dei ponentini' al gotha dei linguisti... L'infanzia a Pontedassio, Trucioli. Blog della Liguria e Basso Piemonte, 28 luglio 2022 

martedì 1 luglio 2025

Il Partito comunista nizzardo concordava sulla proposta di dar vita a gruppi di lavoro

Nizza: rue Bonaparte, dove un tempo aveva la sede la Federazione del Partito comunista delle Alpi Marittime

All'inizio del 1989 il Comitato federale del Pci di Imperia aveva approvato un documento impegnativo che nelle intenzioni doveva porre basi per un salto di qualità dell'iniziativa politica del partito nel Ponente Ligure. Con ambizione e un po' di presupponenza l'avevamo intitolato "Progetto di Polo transnazionale. L'opportunità del Ponente ligure    per gli anni duemila".
Redigere il documento era costato non poca fatica, che ricordo assai bene per essermi sobbarcato gran parte dell'impegno per darvi corpo; ma ne era valsa la pena in quanto eravamo riusciti a sintetizzare le proposte politiche che avrebbero caratterizzato il Pci nella provincia di confine. Non eravamo partiti da zero per definire i nostri punti di vista, ma avevamo prodotto uno sforzo di elaborazione per corrispondere in modo appropriato alla realtà che stava mutando.
Il documento enucleava in dieci punti le scelte che erano state alla base dei diversi fallimenti della politica regionale del Pci, a partire dalla strategia che puntava sulla priorità dell'area centrale Genova-Savona e concludere con la mancanza di politiche innovative. Avevamo intravvisto, come anche i nizzardi, in modo speculare, avessero problemi di emarginazione rispetto a Marsiglia, come noi avevamo già sperimentato con Genova.
Denunciavamo le responsabilità dell'imprenditoria ligure che aveva privilegiato la rendita, condannando conseguentemente al mancato sviluppo il nostro territorio. Nel Ponente la regressione padronale si era identificata con la difesa della mezzadria e della rendita urbana, frutto della speculazione edilizia.
Con il passare degli anni si era costruita una tela di interessi parassitari tutelati dalla Dc e dal suo sistema di alleanze, un sistema che aveva favorito l'intreccio tra mondo della politica, mafia, logge d'affari, come le vicende Teardo e Casino avevano chiaramente esplicitato.
Il credito veniva gestito con priorità esterna al nostro territorio. Alcune migliaia di persone, inoltre, erano strutturalmente interessate al proliferare dell'economia criminale se teniamo presente che il mercato della droga si calcolava movimentasse un giro d'affari dell'ordine di cento miliardi di lire.
Eravamo consci, come Pci, che con la crisi del pentapartito, una forza di sinistra doveva proporre soluzioni alternative per favorire la modernizzazione di un Polo fortemente integrato tra Ponente ligure, basso Piemonte e Sud-Est francese, presupposto per un'efficace inversione di rotta. E quindi per quello che riguardava noi, una riforma elettorale che garantisse la rappresentanza con scelte del territorio e una riforma della finanza locale che attribuisse la prevalenza delle risorse ai comuni e una politica di partnership tra i diversi livelli istituzionali.
Il documento individuava, per le scelte successive, la formazione di un organismo sovranazionale per determinare e coordinare le opzioni fondamentali del Polo transfrontaliero. I giovani e l'occupazione qualificata dovevano diventare la stella polare della nuova politica.
La proposta enunciava alcuni progetti, come l'istituzione dell'Università del Ponente ligure, la riforma del Festival della Canzone in sintonia con una nuova politica turistica, l'impiego dei proventi della Casa da gioco per grandi scelte strategiche e favorenti l'arte e la cultura, la costituzione di grandi centri per la fornitura di servizi alle piccole e medie aziende, la revisione della politica regionale per l'istruzione professionale, l'istituzione del "salario sociale", il favorire l'autoimpresa giovanile nei settori innovativi e infine dar vita a una Costituente per il rilancio industriale.
Nella seconda parte del documento venivano individuate le principali questioni su cui esisteva una forte comunanza delle diverse aree come la politica di tutela e valorizzazione dell'ambiente, con la realizzazione del Parco delle Alpi Marittime e la politica del mare, la custodia e il coordinamento contro gli incendi boschivi, la politica dei collegamenti per superare i ritardi e includervi anche il cabotaggio.
L'elencazione proseguiva con la lotta alla criminalità organizzata e il controllo delle Case da gioco per colpire il riciclaggio di denaro sporco. Centrale diventava la politica del lavoro e la difesa dei diritti dei lavoratori a partire dalla priorità del collocamento pubblico e la revisione della Convenzione italo-monegasca, la rivendicazione dello Statuto internazionale dei lavoratori migranti da parte della Cee e il dare vita a Centri di tutela per le minoranze e organizzare un Centro studi di informazione della cultura islamica. 
Il Mercato dei fiori di Sanremo poteva diventare, secondo il documento, un riferimento anche per la produzione dei fiori coltivati nella regione Paca. Sarebbe stato opportuno, inoltre, dare vita al coordinamento dei rispettivi piani sanitari e sviluppare la politica di cooperazione, così come una nuova politica bancaria. Si dovevano incentivare gli studi sulle modalità di integrazione del mercato transfrontaliero, così come i vasti temi culturali e tutte le forme di bilinguismo.
Per approdare alla Convenzione dei territori del Polo italo-francese si auspicava il maggior numero di incontri tra organizzazioni politiche, sociali, sindacali e produttive.
Nel giugno di quell'anno l'Europa era stata al centro del dibattito politico in quanto si erano svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e, soprattutto in occasione della tornata elettorale, si era tenuto un referendum per conferire il mandato costituente al Parlamento stesso.
Ritenevamo, noi comunisti del Ponente, che fosse opportuno inserire nel dibattito sui temi europei la proposta di costituire un Polo transfrontaliero. Sempre in quell'anno la Festa nazionale de l'Unità si svolgeva a Genova e avevamo approfittato dell'occasione per fissare un incontro con i socialisti francesi delle Alpi Marittime nell'ambito della Festa stessa.
Avevamo presentato la proposta di Polo transnazionale con la conseguente necessità di dar vita uno specifico gruppo di lavoro. Anche in Costa Azzurra, ci riferivano i nostri interlocutori, l'economia mostrava segni di difficoltà, ma aveva speranze sullo sviluppo di Sophia Antipolis, un polo intellettuale che avrebbe calamitato giovani intelligenze. Anche sul versante francese era all'ordine del giorno il problema dei collegamenti.
Il segretario socialista Colonna aveva manifestato la gioia, aveva detto proprio così, con cui avevano accolto il nostro invito, riconoscendo che i partiti italiani erano più flessibili che non in Francia dove le relazioni tra il Partito comunista e quello socialista non erano ottimali. In quanto socialisti, continuava il segretario, dovevano tener conto della presenza del Psi, ma ciò non avrebbe impedito i rapporti tra i nostri partiti per riflettere sulla proposta di costituzione di un Polo transfrontaliero. Il segretario socialista teneva a sottolineare come la destra francese avesse connotazioni politiche vicine al fascismo e in Costa Azzurra tale realtà fosse assai pesante in quanto la destra fruiva di una situazione di monopolio.
Pochi giorni dopo incontravamo a Nizza, presso la sede comunista, i compagni del Pcf delle Alpi Marittime. Il segretario Tiberi sottolineava l'importanza dei rapporti tra i nostri partiti anche per far fronte a una situazione particolarmente difficile per i salariati. Il segretario valutava buono il documento del Pci imperiese sul Polo transnazionale e in particolare riteneva assai importante che avessimo evidenziato il tema della penetrazione mafiosa nell'economia.
Nella stessa occasione ci avevano informato sulla loro contrarietà al raddoppio dell'Autostrada n.8, quella che si raccordava con l'Autostrada dei Fiori.
Il Partito comunista francese (Pcf) nizzardo postulava un rapporto privilegiato tra i nostri due partiti ed evidenziava le cattive relazioni con il Psf, un partito senza organizzazione, né impianto sociale che si scontrava con la destra, così lamentava il segretario comunista, solamente sulla pura gestione del potere. Comunque sarebbe stato possibile creare larghe intese su aspetti concreti e concordava sulla proposta di dar vita a gruppi di lavoro.
Per rafforzare la nostra proposta di costruzione di un Polo transfrontaliero avevamo organizzato un incontro provinciale con le tre confederazioni sindacali più rappresentative. I sindacalisti avevano apprezzato la proposta che, tra l'altro, aveva stimolato un dibattito assai interessante sul complesso delle problematiche economiche e sociali del Ponente. Le organizzazioni sindacali avevano espresso l'intendimento di farci pervenire quanto prima gli elaborati che avevano intenzione di produrre. Giuseppe Rainisio, a nome del Pci, aveva annunciato la decisione del Partito di organizzare entro dicembre un convegno specifico. Purtroppo gli avvenimenti susseguenti alla "Bolognina" avrebbero modificato il calendario degli impegni.
Singolarmente, ci eravamo ritrovati con i compagni francesi a Imperia in occasione di un nuovo incontro nel giorno che sarebbe stato ricordato per l'abbattimento del Muro di Berlino, avvenimento che avevamo appreso quella stessa giornata.
Nella mattinata, in occasione dell'incontro, i compagni francesi avevano riconfermato l'importanza del documento sul Polo transnazionale, preannunciandone uno loro sui punti comuni, non senza aver lamentato, penso a ragione, che nelle nuove organizzazioni del Pci in Francia entrassero comunisti francesi. Come erano cambiati i tempi: negli anni '60 il Pcf non permetteva che il Pci organizzasse i lavoratori italiani in proprie strutture, tanto che si era dovuto dar vita ad una associazione, l'Amicale, attraverso la quale poter far conoscere l'elaborazione del nostro partito, mentre trent'anni dopo si verificava il fenomeno inverso!
Con l'abbattimento del Muro non sapevamo ancora che tre giorni dopo avrebbe iniziato il calvario del Pci verso la sua fine, di cui raccontiamo in uno specifico capitolo, con le priorità del dibattito che sarebbero cambiate.
Giuseppe Mauro Torelli, Viaggio tra generazioni e politica, ed. in pr., 2017, pp. 697-700

giovedì 26 giugno 2025

Regalare ai poveri olandesi il sole e il cielo mediterranei

Foto: Silvana Maccario

Foto: Silvana Maccario

Vallecrosia (IM): Via Don Bosco

A Vallecrosia in via Don Bosco negli anni Sessanta, come racconta Arnaldo Scotto, erano parcheggiati per giorni autotreni in attesa del carico di piccole palme, pronte per lasciare la terra di Liguria.
Posseggo due vasetti con tre fori laterali circa i quali nessuno finora aveva dato una spiegazione.
Varie ipotesi tutte errate.
I suddetti sono di coccio e provengono dalla Vaseria Tonet sparita dopo l’avvento dell’odiata plastica.
Era ingegnoso il procedimento per ottenere in breve tempo dai semi, ovvero dai datteri della palma Phoenix Canariensis, palme svettanti: i floricoltori avevano programmato la crescita più veloce semplicemente sostituendo in successione tre vasetti di diverse dimensioni.
Una bella storia che rischia di essere dimenticata e con questa l’ingegno di quei lavoratori, ascoltata da un ex bambino, Arnaldo Scotto, che aiutava il padre nella semina.
Si iniziava ad interrare il dattero in un vaso piccolo con un solo foro d’uscita: appena germogliava e uscivano le prime foglie, veniva trasferito in un secondo vaso con tre fori di uscita.
In seguito venivano interrati palma e vaso in un terriccio ricco di sostanze nutrienti che le radici della palmetta uscivano a cercare per crescere.
Il gioco era fatto: la pianta ora era una vera palma e rimaneva solo l’ultimo passaggio nel terzo vaso da spedire in Olanda.
Dopo che i piccoli contenitori erano stati impilati uno sull’altro in alte file nei loro pianali i camion partivano verso i cieli nebbiosi dalla luce opaca per regalare ai poveri olandesi il sole e il cielo mediterranei.
Silvana Maccario, 6 giugno 2025

Phoenix canariensis. Foto: Vito Buono. Fonte: Acta plantarum

Ho letto il racconto di Silvana Maccario ed è molto ben dettagliato. Quindi quanto ad aggiungere qualcosa non saprei proprio cosa inserire in quello che è stato già espresso così bene.
L'unica cosa che posso dire è che quando andavo ad aiutare i miei lo facevo con un po' di fastidio, perché sacrificavo la compagnia dei miei amici che andavano al mare, in quanto questi lavori venivano effettuati d'estate. Quindi andavo un pochino malvolentieri ad aiutare i miei.
Dopo, col tempo, si ricordano queste cose con grande piacere e il sacrificio, che all'epoca si era fatto, passa in secondo piano. Resta la soddisfazione di quello che si è fatto e che viene ricordato anche con un po' di orgoglio.
Arnaldo Scotto, 8 giugno 2025

giovedì 19 giugno 2025

Il libro "Piccolo bestiario tascabile": a Sanremo mostra dei disegni, lettura dei testi, dialogo con l'autore


 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO

PICCOLO BESTIARIO TASCABILE 

di MARCO INNOCENTI

 

venerdì 20 giugno 2025 - ore 17

 

SANREMO, Sala Punto d'incontro Coop - Corso Matuzia, 113

 

Nella sala sarà allestita un'esposizione delle illustrazioni che Silvana Maccario ha realizzato per il libro.

Dialoga con l'autore: Fabio Barricalla

Lettura dei testi: Gianfranco De Mori.

 

Ingresso libero 

 

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Il Regesto, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna - Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di Marco Innocenti), Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco - per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l'Europa. L'immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 - 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull'arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini 
 

lunedì 16 giugno 2025

Arriviamo così alla conosciutissima cittadina di Bordighera

Bordighera (IM): una vista su Ospedaletti

7a TAPPA - venerdì 29 marzo 2019
SANREMO - VENTIMIGLIA - Km. 17
Partiti h.7.30 - Arrivati h.12.20
Fermati a: OSPEDALETTI 15' - BORDIGHERA 20'
Ultimo giorno di cammino, oggi terminiamo il nostro percorso a Ventimiglia, la tappa sarà più corta rispetto alle precedenti. Il meteo é ancora buono, con un cielo serenissimo ed un venticello che non infastidisce più di tanto. Alle 7.30 lasciamo il centro di Sanremo dove siamo alloggiati, prendiamo la ciclopedonale che corre vicino al mare da una parte e all'Aurelia dall'altra; il tratto é piacevole con la città che si allunga con le sue belle costruzioni ed il mare leggermente mosso che ci accompagna. Imbocchiamo poi una lunghissima galleria, larga circa otto metri e lunga 1,8 chilometri, siamo sempre sul tracciato della vecchia ferrovia dismessa, é bene illuminata ed ogni tanto passa qualche ciclista amatoriale, mentre a piedi non incontriamo nessuno. Pensiamo sia la galleria del ciclismo per eccellenza, forse passerà di qui la Milano-Sanremo prima della passerella finale sul lungomare, in quanto ogni 25-30 metri troviamo pannelli a mezzaluna sulla volta della galleria con foto e scritte inerenti al ciclismo ed ai suoi campioni e sul pavimento corte frasi o pensieri scritte dai tifosi tutte in colore rosa. Usciti dopo quasi mezz'ora dalla galleria, vediamo Ospedaletti, anche se ci vuole un buon momento per arrivarci, ed alle 9.00 ci fermiamo sul suo deserto ancorché bello e semplice lungomare. 
[..] Alle 9.15 prendiamo l'Aurelia in quanto qui [ad Ospedaletti) termina la ciclopedonale e camminiamo poco sopra il mare, passiamo non lontano dal Monte Caggio, dove su un territorio di circa quattordici chilometri quadrati si trova il conosciuto e non riconosciuto Principato di Seborga.
La camminata é piacevole, il mare leggermente mosso e spumeggiante, sotto di noi non ci sono spiagge ma solo scogli, arriviamo così alle 10.50 alla conosciutissima cittadina di Bordighera. Il primo tratto di lungomare é poco attraente, mentre quello dopo la stazione ferroviaria, (anche qui la ferrovia corre davanti al mare) é più consono alla fama della località balneare, forse é il lungomare Argentina, inaugurato da Evita Peron. Il centro storico di trova a Bordighera alta ricca di ville e parchi, località prediletta dagli inglesi a tal punto che all'inizio del XX° secolo, superarono come numero gli stessi abitanti del posto. Ci sono le Chiese di Santa Maria, di San Bartolomeo degli Armeni del XV° secolo e quella sul mare di San Ampelio dell'XI° secolo.
C'é il Museo Bicknell, calchi di pitture preistoriche della valle delle meraviglie nelle Alpi Marittime. Importante il Municipio progettato da Charles Garnier, lo stesso che progettò l'Opéra di Parigi ed il Casinò di Montecarlo, dove si svolge la più importante rassegna internazionale degli artisti di fumetti e vignette satiriche. 
Alle 11.10 torniamo a percorrere l'ultimo tratto di questo cammino del Ponente, ormai sono pochi i chilometri che ci dividono da Ventimiglia.
Percorriamo tutto il lungomare ed entriamo nel territorio di Vallecrosia, attraversiamo il torrente Nervia e ci troviamo a Ventimiglia, ancora un po' ed alle 12.20 ci troviamo nel pieno centro del lunghissimo mercato settimanale, considerato da alcuni tra i più grandi d'Italia, in effetti é molto vasto e moltissimi i visitatori, in prevalenza francesi.
Da qui abbiamo una superba vista su tutta la costa verso occidente che fa un semicerchio fino al promontorio di Montecarlo.
La cittadina ha un centro medievale con le porte: Marina, Porta Nuova, Porta Nizza e Porta Canarda, quest'ultima a doppio arco gotico del XIII° secolo, accesso occidentale della città. Inoltre c'é la Loggia del Parlamento del XIV°-XV° secolo, la Cattedrale del X°-XIII° secolo con vicino il Battistero dell'XI° secolo, il Monastero delle Canonichesse Lateranensi del XVII secolo sulle rovine di un Castello medievale, la Chiesa di San Michele del XII° secolo e più su in alto, a quota 345 metri c'é Castel D'Appio.
Non arriviamo ai Balzi Rossi, nome dato alla spiaggia, con molte grotte sulla costa, che arrivano fino a Nizza. Fu uno dei primi territori abitati in Europa, furono ritrovate ossa umane risalenti a circa 250.000 anni fa, custodite appunto nel Museo preistorico dei Balzi Rossi.
Nel tardo pomeriggio prendiamo il treno per rientrare a casa, ci meravigliamo come in sole due ore arriviamo a Genova, mentre per lo stesso percorso in senso opposto abbiamo impiegato ben sette giorni, andando però a piedi!
Giorgio Arcioli e Maria Teresa Tedeschi, Il Ponente ligure a piedi (da Genova a Ventimiglia). Diario di un viaggio, il cammino di Santiago... e oltre, marzo 2019